Convegno di Bergamo 2019 (1)


 

«Egli strapperà il velo
che copriva la faccia di tutti i popoli» (Is 25,7)

 

Premessa

Innanzitutto dobbiamo chiarire il senso del termine. Apocalisse significa rivelazione, cioè togliere il velo che copre la realtà: scoprimento, smascheramento, rivelazione appunto.

Inoltre, e questo è davvero importante, « Ὰpokàlupsis/rivelazione non indica la presentazione di un contenuto già elaborato…ma lo svolgimento di una rivelazione che sta avvenendo»1.Riguarda cioè lo svolgersi della storia umana. Si parla dell’umanità intera e della sua storia drammatica che si snoda nel tempo sino alla fine dei tempi. Ogni generazione, nel preciso contesto in cui si snoda la vita, ha bisogno di un’opera di smascheramento delle false narrazioni che occultano la violenza e le ingiustizie e le vere vittime. E’ profezia dentro la storia e «in quanto tale ha le stesse caratteristiche della testimonianza di Gesù, cioè fedele e veritiera. La profezia, rivelando il senso di Dio nei fatti degli uomini, fa verità e giustizia e smaschera violenza e menzogna»2.

Dunque «L’oggetto dell’Apocalisse è il mondo concreto degli avvenimenti umani, visti alla luce dell’azione trascendente di Dio… Le beatitudini di apertura e chiusura (Ap 1,3 e 22,10) mettono in risalto il carattere profetico di tutto il libro e la forza pressante di queste parole destinate non al futuro, ma al presente della storia che stiamo vivendo»3

Un testo di Moltmann mi sembra particolarmente efficace per aiutarci a capire:
«Apocalisse significa scoprimento, smaschera­mento, rivelazione. E’ dunque un termine che serve a scoprire e rivelare questo mondo davanti al giudi­zio di Dìo, a mostrarlo nella sua effettiva realtà di fronte al giudice divino e a rivelare al mondo, nell’ora della verità, il Dio nascosto. E’ un termine che non ha nulla a che vedere con la ‘fine del mondo’ o il suo ‘annientamento’, connotazioni che si profi­lano soltanto perché ‘questo mondo invertito’ non può rimanere davanti a Dio quello che esso è, una volta che sia venuta alla luce la sua verità. Chi si muove nella prospettiva dello stragismo e qualifica i contemporanei come ‘ciechi’ di fronte all’apoca­lisse incombente, costui non disvela, ma maschera la verità dei delitti, di cui gli esseri umani si mac­chiano. Chi interpreta la minaccia nucleare, che potrebbe da un momento all’altro annientare il ge­nere umano, nei termini apocalittici dell’Armaghedon, costui ascrive a Dio stesso ciò di cui solo l’uomo è responsabile. E qui si arriva proprio al­l’acme dell’empietà e dell’irresponsabilità. Il primo compito di una vera escatologia apocalittica è pro­prio quello di smascherare l’uso mistificatorio che attualmente si fa del linguaggio apocalittico. Essa dovrebbe aiutarci a vedere come lo sterminismo di tipo militare, ecologico ed economico può ricono­scersi negli occhi delle sue stesse vittime»4.

Le radici nell’Antico Testamento

Apocalisse è la parola che apre il libro ultimo che chiude la Bibbia. Un grande arco va da Gen 1,1 (in principio…) all’amen conclusivo della seconda venuta di Gesù alla fine dei tempi (Ap 22,20).
E’ un libro difficile perché è costituito da circa 800 richiami alla Bibbia ebraica, anche se non vi è mai una citazione esplicita. La difficoltà in buona parte deriva anche dalla nostra scarsa conoscenza dell’Antico Testamento e della letteratura ebraicadel tempo. E’ costruito con una serie di figure simboliche che è necessario decodificare.
La dimensione dello spazio è secondo la classica struttura biblica su tre piani: il cielo che è la zona di Dio, la terra e gli inferi.

In ambito ebraico l’apocalittica fu una corrente vitale dal V-IV secolo a. C. al I d. C. Questo genere letterario lo troviamo anche in Isaia (24-27), Ezechiele (38-39) e Zaccaria, ma in particolare nel libro di Daniele, e anche nel Nuovo Testamento, in Paolo e nei Vangeli sinottici. Nella nostra Apocalisse, ritroviamo molta simbologia e messaggi in codice derivati soprattutto da Daniele.

Il libro di Daniele fu scritto nel II secolo a.C. in contemporanea con la persecuzione subita dagli Ebrei da parte di Antioco IV Epifane al tempo dei Maccabei. Protagonista è un personaggio mitico della storia di Israele e il suo messaggio è volto a sostenere la fiducia in Dio, rimanendo a lui fedeli anche in tempo di persecuzione. E’ una resistenza ai poteri imperiali descritti nella loro caducità. Vengono presentati al capitolo secondo come una grande statua formata da quattro metalli, ma con i piedi d’argilla,che va in frantumi, colpita da una pietra misteriosa che non proviene da mani di uomo.

Nel capitolo settimo appaiono in successione quattro bestie che rappresentano i quattro imperi che si sono succeduti il cui destino è il decadimento con la vittoria del popolo dei santi5. E’ da notare questa focalizzazione sulle realtà politiche imperiali che esprimono un totalitarismo al quale occorre resistere. In maniera non violenta in Daniele, a differenza delle narrazioni che troviamo nei libri dei Maccabei.

L’Apocalisse di Giovanni

Fu scritta tra la fine del I secolo e l’inizio del II sotto dominio dell’impero romano. Alle spalle c’era la persecuzione cruenta di Nerone, con il mito che si era diffuso di “Nero redivivus”6. Certamente l’esperienza concreta della persecuzione è presente come terreno sul quale questo libro è germinato.

Infatti lo scrivente così si presenta: «Io, Giovanni, vostro fratello e compagno nella tribolazione, nel regno e nella perseveranza in Gesù, mi trovavo nell’isola chiamata Patmos a causa della parola di Dio e della testimonianza di Gesù» (1,9).
«Basìleia kài upomòne en Iesou»: Basìleia, che corrisponde al latino imperium, era il nome col quale l’impero romano si presentava nella sua parte orientale. Dunque lo stesso termine greco – Basìleia – per tutti significava l’Impero romano, mentre per i credenti significa il loro essere fatti regno nuovo in Gesù. Impossibilità dell’appartenenza a due regni, a due imperi, che hanno un carattere totalizzante.

Se qualche decennio prima Paolo scriveva ai Corinti: «passa la figura di questo mondo» (1Cor 7,31), ora nell’Apocalisse tutta la narrazione è polarizzata verso «Sì, vengo presto» (22, 20): la promessa di Gesù che chiude il libro.

Togliere il velo alle chiese

Il secondo e terzo capitolo sono dedicati allo scoprimento delle sette chiese dell’Asia Minore. E’ un alzare il velo sulla loro situazione reale. Ne scegliamo due: la chiesa di Smirne (2, 8-11) e la chiesa di Laodicea (3, 14-22). La prima è una chiesa povera che vive in un ambiente ostile7. Anche precarietà materiale probabilmente connessa alla pressione del contesto. Ma una povertà vissuta con fiducia «so la tua tribolazione e la tua povertà – ma tu sei ricco» sono le parole rivolte all’angelo della chiesa. E’ la rivelazione di un giudizio assolutamente positivo da parte «del Primo e l’Ultimo, che era morto ed è tornato alla vita» nei confronti di una chiesa povera e soggetta a tribolazioni.

Esattamente il rovescio avviene con la chiesa di Laodicea: «Parla l’Amen, il Testimone degno di fede…tu dici: sono ricco, mi sono arricchito, non ho bisogno di nulla. Ma non sai di essere un infelice, un miserabile, un povero cieco e nudo». In questo secondo caso la rivelazione diventa lo smascheramento di una situazione illusoria e falsa. Quindi di una cecità che ha bisogno del «collirio per ungerti gli occhi e recuperare la vista»8.

Questi brevi cenni per dire che anche le chiese hanno bisogno di rileggersi continuamente, in ascolto della rivelazione, cioè della Parola viva del Signore, nel loro lungo percorso dentro la storia, nella situazione presente e, come insegna l’Apocalisse, alla luce della dimensione escatologica della fede.

Smascheramento della storia

La seconda parte è lo svelarsi di una lotta senza quartiere tra il male e la violenza diffusi nella storia umana e una salvezza che appare sotto la forma di un agnello sgozzato, ma ritto e pieno di vita con il potere di aprire i sigilli di un rotolo scritto nei due lati che contiene il segreto della storia. Solo lui può togliere i sigilli. Il mysterium iniquitatis e il misterium Dei si confrontano e si scontrano e l’agnello è la chiave di volta.
«Tu sei degno di prendere il libro e di aprirne i sigilli, perché sei stato immolato e hai riscattato per Dio con il tuo sangue, uomini di ogni tribù, lingua, popolo e nazione… (5, 9).

L’Agnello comincia ad aprire i sette sigilli. Man mano che procede escono: un cavallo bianco, e chi lo monta ha un arco e una corona e di lui si afferma che esce per vincere e per con­tinuare a farlo; poi un cavallo rosso fuoco, e a chi vi siede sopra è dato il potere di togliere la pace sulla terra e una grande spada, simbolo dell’uccisione reciproca tra gli uomini; un cavallo nero, e chi lo cavalca ha in mano una bilancia, segno della penuria dei generi alimentari e della carestia; infine esce un cavallo verde, e sopra di esso vi è colui che è nominato Morte, cui segue l’Ade. Il primo cavaliere, contraddistinto dal bianco – colore che nell’Apocalisse indica sempre la salvezza e la santità -, non apporta distruzione; esso è infatti il segno della vittoria di Gesù Cristo sulle potenze av­verse (cfr. 19,11-21).

Essi sono simboli di quello che continuamente succede nella storia e che viene occultato. Ci fanno aprire gli occhi su quanto oggi continua ad accadere nella realtà: guerra, fame e ingiustizia, morti prodotti a seguito di decisioni umane…contro cui lotta il cavaliere bianco. Ma dov’è la vittoria?

E’ la domanda che emerge con l’apertura del quinto sigillo: a porla sono coloro che hanno dato la vita a causa della parola di Dio: E urlarono dicendo «fino a quando, Tu che sei il padrone, il santo e il verace non giudichi non vendicherai il nostro sangue?» (6, 10). Il grido angosciato «fino a quando?» ricorre oltre 50 volte nella Bibbia per lo più nei salmi (venti volte) e in Geremia, il profeta dell’esilio (8 volte). Forse mai domanda fu più corale e condivisa da Abele in poi in tutti gli angoli della terra.

E passiamo a nuove figure
come vengono presentate dal capitolo 13

L’impero come bestia violenta viene applicata all’impero romano: «la bestia che viene dal mare» (con le navi) alla provincia asiatica, l’attuale Turchia. La sua descrizione è la sommatoria degli animali utilizzati in Daniele per indicare la potenza smisurata rispetto ai precedenti imperi. A questa si aggiunge una seconda bestia, che viene dalla terra, che ha la funzione della propaganda per assoggettare tutti, con la seduzione, sino all’adorazione della statua della bestia venuta dal mare: «Essa fa sì che tutti, piccoli e grandi, ricchi e poveri, liberi e schiavi, ricevano un marchio sulla mano destra o sulla fronte, in modo che non si possa comprare o vendere senza avere tale marchio, cioè il nome della bestia o il numero del suo nome» (13,16-17).

L’uso della forza e la seduzione sono i due fattori del dominio. La bestia a cui si aggiunge la prostituta sono i due volti di Babilonia. Quello che non si riesce ad ottenere con la seduzione lo si raggiunge con la forza. Ma Babilonia è destinata a cadere (17, 15-17). Anzi si arriva a dire: Babilonia è caduta (18, 1ss).

Ma oltre all’identificazione con l’impero romano di cosa ancora è simbolo Babilonia?
«Babilonia costi­tuisce un “tipo”, uno schema e un paradigma teologico che ha trovato nella Roma corrotta della fine del I secolo d.C. una sua attuazione esemplificativa. Proprio perché simbolo, Babilonia supera la vicenda della Roma storica ed è applicabile a tutte le situazioni simili che si potranno realizzare.

«Il paradigma teologico espresso dalla figura di Babilonia, nei cap. 17-18, è quello della città-convivenza che si chiude nella sua imma­nenza ed erige a sistema il lusso e il consumismo. Ne deriva la pro­sperità materiale, con tutto il dinamismo di espansione e la capacità di seduzione degli esseri umani. Il prezzo che viene pagato per sostenere tale consumismo è il più alto possibile: un sistema di ingiustizia sociale che comporta il sacrificio anche di vite umane per la prosperità e il lusso altrui (cfr. 18,13). Questa grandiosità assolutizzata si corrode anzitutto dal di dentro: tutto ciò che rende la vita autentica e attraente scompare da lei. La sua negatività le si rivolgerà contro. Ma c’è soprattutto una pressione corrosiva dal di fuori: è il giudizio divino, che si farà sentire duramente su di lei»9.

Vorrei condividere una mia scoperta recente. Nel 1935 Bonhoeffer ha utilizzato il testo di Ap 14, 6-13 per un sermone rivolto al gruppo di giovani candidati a diventare pastori, che clandestinamente stava formando per conto della chiesa confessante. Era l’annuncio della caduta di Babilonia. Si era nel pieno dello sviluppo della potenza nazista. Bonhoeffer pone la domanda: «Chi è Babilonia? Era Roma? Dov’è oggi?». Poi rivolgendosi ai presenti dice loro: «Non temete Babilonia. […] Rimanete saldi nella fede, aggrappatevi saldamente a Cristo, non lasciatevi contaminare da Babilonia». E continuava prendendo di mira colui che aveva nelle mani tutto il potere: «La bestia è il signore di Babilonia, l’uomo della blasfemia, della presunzione, della violenza. E questa è la cosa spaventosa: la bestia non si accontenta del fatto che gli uomini la servono, bensì vuole che si segnino la fronte e la mano con il suo marchio, vuole che le appartengano visibilmente con la testa e con le azioni».

Ed ecco il messaggio profetico: «E’ caduta…Babilonia la grande città. […] Babilonia è caduta, rallegrati comunità dei credenti. […] Questo dobbiamo comprendere fin d’ora […] fin da questi tempi in cui la potenza di Babilonia e della bestia diventa strapotere. […] Signore […] vogliamo con tutto l’animo vedere il tuo vangelo eterno. Amen».

Dieci anni dopo questa parola si avverava.

Tocca a noi oggi alzare il velo sulla realtà che ormai ha assunto dimensione globale. E’ nostro compito attuare lo smascheramento di una «forma di organizzazione totalmente immanente fondata e incentrata sulla violenza, sull’inganno, sullo sfruttamento dell’ambiente e sul consumismo sfrenato. La sua forza attrattiva è tale da assumere una prospettiva universale, che coinvolge tutti gli aspetti della società. Tale sistema ha una notevole capacità di presa sugli esseri umani e si insinua nella vita dei singoli, al punto da irretirli e schiavizzarli […]

E’ un messaggio molto forte, di grande attualità: un avviso preoccupato sulle immense possibilità che la politica, l’economia, la finanza e In tecnica moderna hanno nel costruire la società. Attenzione, ammonisce l’Autore dell’Apocalisse; se si costruisce la convivenza su fondamenta fragili e perverse, l’umanità è destinata alla violenza e alla sopraffazione reciproca, alla sofferenza dei più deboli e indifesi, allo sfruttamento dissennato del creato e, infine, all’autodistruzione»10.

Ma non è questa la finale. Un’altra città, anche qui una città simbolo, una città messianica viene presentata come una direzione che sta sempre davanti come possibilità. E’ attraversata da un fiume di acqua viva, limpida come il cristallo. Al centro ci sta l’albero della vita, quello nominato nella Genesi, all’inizio della Bibbia. Le foglie di quest’albero «servono a guarire le nazioni». Un processo di guarigione planetario è l’unica possibilità che ci sta dinanzi se vogliamo un futuro che non sia preda della follia di onnipotenza cieca.

ROBERTO FIORINI


1 U. VANNI, Apocalisse di Giovanni I, Cittadella Assisi 2018, 69.

2 E. Franco cit. in U. VANNI, Apocalisse di Giovanni II, Cittadella Assisi 2018, pp.39-40.

3 Ibidem, p.41.

4 J. Moltmann, L’avvento di Dio, Queriniana, Brescia 1998, p. 243.

5 Analoga a quella di Dn 2, 37-45, troviamo una sequenza di governi: un leone (l’impero neo-babilonese), un orso (i Medi), un leopardo (i Persiani), una bestia con dieci corna (l’impero di Alessandro Magno di cui i Seleucidi di Siria sono gli eredi diretti. L’iconografìa babilonese conosceva immagini simili. La malignità progressiva degli animali nominati segnala un graduale peggioramento delia storia,

6 La leggenda che Nerone fosse ancora vivo circolava ancora nel IV secolo, tanto che S. Agostino la ricorda come la leggenda di Nero redivivus.

7 «Smirne era nota per il culto alla dea Roma e all’imperatore» (VANNI, Apocalisse II, p. 121.

8 Commenta Vanni, Ibidem p.124: «Mentre alla chiesa di Laodicea che chiusa nella sua autosufficienza favorita da una situazione di prosperità, viene svelata senza mezzi termini la sua situazione reale…alla condizione di povertà reale e interiore della chiesa di Smirne viene contrapposta una situazione di ricchezza».

9 VANNI, Apocalisse II, pp.590-591.

10 Ibidem, p.574


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