Quando Roma condanna


 

La condanna dei Preti Operai nel 1954. Un incontro mancato della Chiesa con il mondo, che grava ancora pesantemente sulle coscienze d’oggi per coloro che hanno fede. Dopo 50 anni di silenzio, rimangono alcuni di quegli uomini. Sei di loro hanno deciso di prendere la parola dopo mezzo secolo di silenzio.

(Pubblicato da Golias Magazine n. 95 marzo/aprile 2004, 11-16. – trad. di Roberto Fiorini e di Noëlle Mangia)

 

L’Evangelo, ognuno lo sa, è la storia di Gesù di Nazareth che volle “incarnarsi” tra gli uomini e lasciare un messaggio di amore. Nacque una prima comunità fervente: “ guardate come si amano”, si diceva dei primi cristiani. Essi condividevano tutto; la Chiesa era l’assemblea, il popolo.
Dopo la Chiesa divenne una organizzazione potente, con il suo proprio stato, i suoi vescovi divenuti dei signori (e che rivendicano ancora il titolo in questo ventunesimo secolo!).
La frattura si era fatta tra la Chiesa e il popolo. L’industrializzazione, particolarmente in Francia, ha accentuato questa frattura tra una Chiesa infeudata al capitalismo e il popolo sfruttato delle fabbriche che non poteva che rimettere la sua speranza nel comunismo.
Eppure l’ideale cristiano era sempre presente nel messaggio dell’Evangelo. Degli uomini generosi, specialmente preti … vollero una volta ancora rivivere l’incarnazione, diventare o ridiventare uomini con gli uomini, del popolo e nel popolo, con il sostegno di pochissimi vescovi.
È da questa idea che nacque la storia dei PO. Nel 1943, esattamente il 5 marzo, due preti: Godin e Daniel, consegnarono al cardinale Suhard, arcivescovo di Parigi, uno studio, frutto di dieci anni di esperienza, sulla scristianizzazione generale in Francia delle masse operaie che non hanno più il loro spazio nella Chiesa.
Il cardinal Suhard, uomo generoso e pieno di fede, chiede loro di rendere pubblico questo documento che sarà pubblicato il 19 settembre 1943 con il titolo “Francia, paese di missione”. L’impatto fu straordinario: più di 100.000 copie vendute in pochi mesi.
Durante lo stesso 1943, l’arcivescovo di Parigi, in accordo con loro, lancia la “Missione di Parigi”, con il progetto della creazione di una équipe di preti liberati da ogni ministero per consacrarsi alla evangelizzazione degli ambienti popolari di Parigi, precisando che “questo grave problema rischia di sconvolgere una vita” perché questo sarà senza ritorno. Ma l’abbé Godin moriva il 17 gennaio 1944, asfissiato da una mal funzionante stufa a carbone nella sua piccola camera di via Ganneron a Parigi. Aveva 37 anni.
Finalmente il 1 luglio del 1945 la Missione di Parigi viene ufficialmente creata. Alcuni preti cominciano a lavorare in fabbrica a Parigi, poi subito dopo degli altri si aggiungono a Marsiglia, Givors, Tolosa, Bordeaux, nella bassa Lorena, sulle “dighe”. Dal 20 giugno 1945 Roma si allarma, e lo fa sapere.
Ecco quello che più tardi scriverà la Civiltà Cattolica del 20 febbraio 1954: “ Per la prima volta la Santa Sede esprime al Card. Suhard le gravi inquietudini suscitate dai pretioperai, sulla base ‘di informazioni degne di fede’ ”.
Denunce calunniose e lettere anonime pervengono parimenti all’arcivescovo di Parigi, che esprimevano l’opposizione sorda suscitata già dallo stile di vita dei PO.

Le numerose incognite presentate dalla vita dei PO destarono fin dagli inizi le paure della Santa Sede; e i fatti dovevano darle ragione. Così Roma assunse un atteggiamento di prudente precauzione e di riserva: permise il movimento a titolo sperimentale, sotto la diretta responsabilità dei vescovi”.
Malgrado questo, il card. Suhard persiste: dall’11 al 13 luglio 1945 si tengono delle giornate di studio, alle quali assiste il card. Suhard. La Missione di Parigi precisa di nuovo il suo scopo: “ far nascere la Chiesa in seno alle masse proletarie, considerate nella loro propria mentalità, la loro propria vita, le loro proprie organizzazioni. Per questo appare necessario che il sacerdozio debba trovare forme nuove che l’avvenire preciserà”.
I preti al lavoro scoprono che essere operai non è soltanto lavorare, anche se è duro, ma è far parte di un popolo col quale essere solidali.

Il 7 ottobre 1946, due preti che hanno aderito alla CGT, danno spiegazioni al cardinale: “ noi siamo un gruppo di preti cattolici il cui scopo e missione sono di partecipare con tutte le forze alla liberazione umana e spirituale del proletariato. Lo spirito del vangelo e del cristianesimo ci obbliga a lavorare così, all’unità di tutti gli uomini per il perseguimento della carità e della giustizia. Ci è parso impossibile farlo efficacemente senza legare la nostra vita, in una totale comunione di destino, con la classe operaia. Per questo noi non accettiamo più altri mezzi per vivere che il nostro salario di lavoratori. È per questo che noi siamo solidali, senza alcun secondo fine, con tutte le forze rappresentative della classe operaia, salvo se un giorno i mezzi impiegati fossero in contrasto con la nostra coscienza cristiana o con la vera solidarietà di tutti i salariati”.
Il card. Suhard, convocato a Roma, sempre inquieta, decide di insistere e consegna a Padre Hollande, superiore della Missione di Parigi, l’ordine di accelerare l’invio di preti al lavoro: “è arrivato il tempo di andare”.

Il 5 dicembre 1948, egli celebra a Nôtre-Dame de Paris il cinquantesimo della sua ordinazione sacerdotale e dichiara: “Salvare le anime di Parigi, questo è il primo compito. Di questo popolo io dovrò rispondere al giorno del giudizio. Comprendete, allora, l’angoscia che io provo? È un’ossessione, un’idea fissa che non mi lascia. Quando io percorro le periferie vicine alle cupe fabbriche, o le strade del centro illuminate, quando io vedo questa folla, di volta in volta raffinata o miserabile, il mio cuore si chiude sino a farmi male. Io non ho bisogno di cercare lontano il soggetto delle mie meditazioni. È sempre lo stesso; c’è un muro che separa la Chiesa dalla massa. Bisogna abbattere questo muro ad ogni costo per rendere a Cristo le folle che l’ hanno perduto. Ecco perché siamo felici di affidare ad alcuni nostri preti, pionieri dell’avanguardia, la nostra missione di Parigi”.

 

Roma soffia il caldo e il freddo



L’Osservatore Romano scrive il 5 marzo 1949: “ Un buon cattolico non passa al campo degli avversari, nell’illusione di fare meglio in mezzo a loro. No, egli compie il suo dovere tra i suoi, senza disertare”.
Dopo il 31 marzo 1949, lo stesso Osservatore Romano “rende omaggio alla Missione di Parigi”. Così titolerà La Croix qualche giorno dopo): “ Il padre spirituale e il fervente protettore di quest’opera è il card. Suhard, arcivescovo di Parigi, che ne ha assunto con ardore la piena responsabilità. Si può veramente parlare di responsabilità, perché l’impresa è audace, almeno come quella dei primi cristiani tra i pagani. Il carattere più dirompente, se non il più importante, di questa missione è il seguente: quasi tutti i missionari sono allo stesso tempo preti e operai. Operai non soltanto per una esperienza fugace, ma per la vita, nel senso ordinario del termine”.
L’articolo conclude: “ L’odio del mondo si accanirà forse un giorno contro di loro, più che contro gli altri operai; migliori dei loro compagni, non sono più… pericolosi? Ma a questi poveri uomini in cerca di Dio per se stessi e per gli altri, una cosa basta: la coscienza d’aver seguito al meglio il Maestro degli umili”.
Il card. Suhard però moriva il 30 maggio 1949. Con lui spariva un grande sostegno per i PO.

Nel 1950 il Movimento mondiale per la pace lancia un appello da Stoccolma per l’interdizione della bomba atomica. Tra i firmatari ci sono alcuni pretioperai. Una parte dell’opinione pubblica li approva, un’altra, anche dentro la Chiesa, li denuncia.
L’8 marzo 1952, Gilbert Cesbron pubblica il suo romanzo, I santi vanno all’inferno, che sconvolge l’opinione pubblica. La tiratura supererà le 200.000 copie e l’opera verrà pubblicata a puntate da Témoignage Chrétien e La France Catholique, mentre Paris-Presse pubblicherà degli estratti. I pochi pretioperai che conobbero il progetto si opposero: questo libro, nel quale non c’è spazio per la vita di fabbrica, deformava la realtà – operaia e religiosa – che voleva descrivere e coltivava le illusioni degli ambienti cristiani. Si attirerà critiche severe dei dirigenti operai. Ciononostante portò alla luce la miseria del mondo operaio e la condivisione con la loro vita da parte dei pretioperai.
L’11 marzo 1952, a Parigi, per la prima volta si riuniscono insieme dei vescovi con dei pretioperai. Questi, preoccupati di informare la Gerarchia dei problemi religiosi che si pongono a partire dalla condizione operaia, stimavano insufficienti i contatti tra ciascuna équipe ed il proprio vescovo, anche se erano numerosi e liberi. Alla loro richiesta, i vescovi interessati avevano accettato di ricevere alcune équipes “ non per discutere, ma per ascoltare”.
Il 30 marzo 1952, sotto il titolo “Malessere nella Chiesa di Francia”, Le Monde pubblica un articolo di una “ alta personalità ecclesiastica sui procedimenti di cui sono vittime intellettuali cattolici, militanti cristiani e PO, da parte di osservatori francesi senza titoli, ma ben introdotti alla corte di Roma”.
Il 28 maggio 1952, il Movimento della Pace “chiama il popolo di Parigi a riaffermare la propria volontà di pace contro l’insediamento del generale Ridgway a capo dell’armata atlantica, nell’ambito della quale doveva essere integrata una armata tedesca”.
La manifestazione, proibita, ha luogo. Decine di migliaia di persone sfilano nelle grandi arterie della capitale e si scontrano con le forze di polizia. Diverse centinaia di manifestanti sono arrestati, e tra loro due PO, che la polizia brutalizza in modo particolare durante la loro detenzione. Viene redatto il referto medico che verrà confermato dal dott. Paul, medico legale. Uno dei due sarà licenziato dalla sua azienda per “ assenza non giustificata” . “La sera stessa il Quai d’Orsay si rivolge alla nunziatura che telefona a Roma” ( Paris-presse, 25 febbraio 1954).

Il 30 maggio 1952 i due preti, sfigurati per i colpi, sono ricevuti da Mons. Feltin al quale forniscono un racconto circostanziato . “Miei poveri figli, che cosa vi hanno fatto? Credetemi, il vostro sacrificio porterà i suoi frutti”.
Egli interpella il governo che, sotto banco, denuncia una volta di più i pretioperai a Roma. Ormai la pressione politica si accentua contro di loro e Roma vuole mettere delle barriere. L’11 giugno 1952, Paris-Presse titola: “ Ultimatum della Chiesa ai suoi pretioperai, dopo gli incidenti del 28 maggio: o vi sottomettete alla disciplina gerarchica, o cesserete di esistere”.
Tre preti non allineati rispondono: “ Il proletariato merita più dedizione che la Chiesa, il sacerdozio non può valere la militanza, e il comunismo ha spesso ragione contro la Chiesa”. (Questa “informazione” emana da un bollettino riservato, l’ index quotidien de Presse del 9 giugno).

 

La questione si inasprisce



Il 20 agosto 1953 sull’Osservatore si legge: “ siamo alla vigilia di decisioni importanti per l’avvenire dei PO”. Segnala che voci persistenti parlano di un decreto recente e segreto del Sant’Ufficio sulla soppressione dei PO. Una delle motivazioni sarebbe l’incompatibilità della vita sacerdotale con la vita operaia.
Il 29 agosto 1953, la Congregazione dei religiosi effettivamente richiede ai superiori di richiamare i loro PO. Il 27 luglio 1953, il card. Pizzardo viene da Roma appositamente per dare le sue direttive.
Il 29 agosto 1953, esce una circolare della Congregazione dei religiosi, ai superiori religiosi: “ Occorre richiamare poco a poco, ma senza troppo tardare, i preti che, con il permesso dei loro superiori, sono impegnati come operai nelle fabbriche, nei laboratori o altri ambienti di lavoro, in ragione dei gravissimi danni, per la stessa fede e per lo spirito di disciplina ecclesiastica e religiosa, ai quali si trovano esposti questi pretioperai”.
Il 30 agosto 1953, definendo la missione del prete alla presenza del suo clero, il card. Saliège, arcivescovo di Tolosa, manifesta la sua opinione su “la questione dei pretioperai” : “La vocazione del laico non è la stessa di quella del prete. In linea di massima, ai laici i compiti temporali o della creazione, ai preti i compiti spirituali o della redenzione… Lo stile di un’esistenza sacerdotale non potrebbe mai identificarsi completamente con lo stile di una esistenza laica. [ ] Sembra che vi sia un’azione orchestrata tendente a preparare, in seno al cattolicesimo, un movimento di accoglienza al comunismo”.
Il 6 settembre 1953, il card. Liénard, annuncia ufficialmente la chiusura del seminario della Missione di Francia, riguardo al quale il papa in persona aveva manifestato una grave inquietudine. I professori vengono rimandati alle loro rispettive diocesi.

Una campagna mediatica senza precedenti si sviluppa attraverso la Francia e l’Europa, l’Africa e perfino l’America. Non meno di 900 comunicati, attraverso non meno di sessanta tra giornali e riviste, senza contare le trasmissioni radiofoniche, sono diffusi nell’opinione pubblica, a partire da La Croix, Le Monde, la Vie, Témoignage Chrétien, La Quinzaine, Jeunesse de l’Église, Études, Le Pèlerin, Réformes e passando per Paris-presse, Osservatore Romano, L’Aurore, L’Observateur catholique, AFP, Carrefour, Dimanche-matin, La Revue administrative. Algérie libre. La Semine religeuse de Paris, Le Figaro, France-soir, Associated Press, Les Cahiers internationaux, L’Humanité, Radio-Vatican, La Jeune République, L’Homme Nouveau, Réalités, Combat, Aspet de la France, Le Sillon, Oggi (Italia), Soud-Ouest, Le Centre français du patronat chrétien, Les Événements et la foi, L’Express, Samedi-soir, La Semaine du Monde, Le Populaire, Vie intellectuelle , fino a Franc-Tireur, Rivarol e Le Canard enchaîné ed altri ancora.
Una citazione tra le tante: “ I pretioperai giudicati ad occhi chiusi: sono stati condannati per marxismo dal portavoce del Vaticano… Per la prima volta nella storia, un nunzio convocava dei cardinali a nome della concistoriale ( Paris-Match, 3 ottobre).
Il 24 settembre 1953, a Parigi, due pretioperai sono ricevuti dal card. Feltin che li mette al corrente della situazione: “La Santa Sede chiede la vostra soppressione e la vuole assolutamente. Noi ci siamo opposti. Andremo a Roma. Essa chiede anche il segreto più stretto: ma questo non è possibile”.
Stessa eco a Lille, dal card. Liénard: “ Questa soppressione non risolve il problema, aggrava la situazione, avvilirà gli amici e rallegrerà gli avversari”
A Nancy mons. Lallier: “ È finita”.
I vescovi sono divisi in profondità, ma si accordano sul rinvio di tutte le misure.

Il 25 settembre 1953, La Croix: “L’opinione cattolica nella sua grande maggioranza ritiene che, se sono auspicabili dei regolamenti e necessarie delle riforme, però l’esperienza dei pretioperai presenta anche sufficientemente dei titoli positivi per poter essere continuata. Ma essa sa anche che l’avvenire della Chiesa non è legato ad alcuna forma particolare di apostolato”.
Il 6 ottobre 1953: “ I pretioperai costituiscono il nostro orgoglio… Noi non possiamo neppure immaginare che un giorno essi non possano più esserci (François Mauriac, sul Figaro )” .
Il 10 ottobre 1953, all’inaugurazione del monumento eretto alla memoria del card. Suhard, nel suo villaggio natale, il card. Feltin dichiara: “In queste ore particolarmente difficili, dico che non ho altro scopo che proseguire l’opera apostolica voluta dal card. Suhard, perché lui aveva visto chiaro”.

Il 28 dicembre 1953, la Compagnia di Gesù richiama i suoi pretioperai. “ I padri gesuiti sanno bene che non vi è più grande gloria di Dio che l’evangelizzazione dei poveri… E nell’obbedienza filiale essi uniranno ad una comprensibile sofferenza la volontà di mantenere l’essenziale: portare la buona novella agli ambienti popolari a cui essa è destinata ( La Croix ).
Le populaire, il 1 dicembre 1953: “ Quando i pretioperai evangelizzano la classe operaia ( F. Caussy ). Quello che ha contribuito a far guadagnare ai pretioperai la considerazione dei loro compagni, è che essi hanno giocato francamente il loro gioco. Essi non sono loro apparsi come rappresentanti di una Chiesa al servizio dei ricchi, ma come rappresentanti sinceri dell’Evangelo”.
L’Observateur, 4 marzo 1954 (lettera di una lettrice , M.lle Blachère: “ Torrenti di inchiostro scorrono sulla questione dei pretioperai, e di quella dei domenicani. Ma, in tutto ciò che io leggo sull’argomento, io cerco invano la risposta a una domanda che sento in me da qualche tempo: perché la ‘sinistra’, tutta la sinistra, compresa quella che è laica, areligiosa, se non antireligiosa, atea o almeno agnostica, si appassiona tanto per questa faccenda? ( Dovrei aggiungere: perché io stessa mi sto appassionando…? Poiché io sono areligiosa, laica ecc. ) […] e sarei contenta se io trovassi un chiarimento su una situazione dello spirito (‘état d’esprit’) che è, lo ripeto, un po’ il mio, ma non per questo mi è più chiaro ”.

Le Canard enchainé , 13 febbraio1954. “ Temporale sulla Chiesa” (Morvan Lebesche): “ Questi uomini hanno avuto questo merito: essi non si sono chinati sui piccoli, essi si sono fatti piccoli con i piccoli… Questi sono uomini che hanno visto ciò che non dovevano vedere, non più la miseria pittoresca di una volta, ma il peggiore stato al quale l’umanità sia mai pervenuta: il lavoro irresponsabile, abbrutente, degradante e meccanico. Oggi, Francesco d’Assisi non farebbe più il mendicante: si farebbe minatore o metallurgico.
[…] Io non posso dunque, quali che siano le loro opinioni o i loro ideali, che avere stima per questi uomini che hanno lasciato la sottana, si sono rimboccate le maniche, e che sono venuti ‘a vedere più da vicino’. Soltanto, essi non immaginavano, gli sventurati!, quello che li attendeva, essi credevano di essere più forti della miseria che avevano osservato. È la miseria che è stata più forte di loro.
[…] A forza di parlare del pane spirituale, la Chiesa aveva dimenticato il vero pane e tutte le realtà che gli stanno attorno. Ed ecco come i pretioperai si trovarono davanti queste realtà più forti di loro, che in seminario avevano omesso di insegnare. Ed ecco come scoprirono che i poveri non avevano bisogno di parole ma di vero nutrimento e che a forza di averlo atteso invano, essi cominciavano a sapere come prenderlo. E che essi avevano ragione, in nome di tutti i secoli di miseria e di servitù, e in nome del pane santificato dalla fame e dal sudore…
Ah! Io lo confesso, oggi c’è una bella rivincita per il pane vedere i principi della Chiesa spaventarsi perché i loro preti sono andati ad insegnare ai poveri, e invece sono i poveri che hanno loro insegnato…”
Il 19 gennaio 1954, la sanzione arriva: obbligo ai PO di lasciare il lavoro. Va notato che questa condanna non riguardava che i PO, e non i ricercatori, gli insegnanti, né gli amministrativi, educatori, bibliotecari o altri impieghi.

Il 19 gennaio 1954, riuniti a Parigi, i vescovi che avevano dei PO sotto la loro giurisdizione, inviarono a ciascuno di loro una circolare che formulava le loro ultime decisioni:
1. “Proibizione di lavorare per più di tre ore al giorno
2. proibizione di aderire a qualsiasi organizzazione e di accettare in essa delle responsabilità
3. collegamento con una comunità sacerdotale
4. divieto di costituzione di una équipe a livello nazionale.
Termine ultimo: il 1° marzo, sotto pena di sanzioni gravi”.
Settantatre pretioperai si riuniscono il 2 febbraio 1954 e rispondono con un comunicato:

Nel momento in cui milioni di lavoratori, in Francia e nel mondo, sono in cammino verso l’unità per difendere il loro pane, le loro libertà e la pace, mentre padronato e governo accentuano lo sfruttamento e la repressione per bloccare ad ogni costo i progressi della classe operaia e salvaguardare i loro privilegi, le autorità religiose impongono ai PO delle condizioni tali che costituiscono un abbandono della loro vita di lavoratori e un ripudio della lotta che essi conducono in solidarietà con tutti i loro compagni.
Questa decisione si appoggia su motivi religiosi. Noi non pensiamo che la nostra vita di operai ci abbia mai impedito di essere fedeli alla nostra fede e al nostro sacerdozio. Noi non vediamo come, in nome dell’Evangelo, si possa interdire a dei preti di condividere la condizione di milioni di uomini oppressi e di essere solidali con le loro lotte.
Ma non bisogna dimenticare che l’esistenza e l’attività dei PO, hanno gettato lo smarrimento tra gli ambienti abituati a mettere la religione al servizio dei loro interessi e dei loro pregiudizi di classe. Le pressioni esercitate da questi ambienti e le denunce di tutti i generi e di tutte le provenienze sono lontane dall’essere estranee alle misure attuali. Se queste misure saranno mantenute, esse contribuirebbero a turbare la coscienza dei cristiani impegnati nella lotta della classe operaia, nel momento in cui tanti sforzi vengono fatti per sottrarli alla lotta comune e gettare il discredito sulla loro fede. I PO rivendicano per sé e per tutti i cristiani il diritto di solidarizzare con i lavoratori nella loro giusta lotta.
I militanti operai e la classe operaia ripongono fiducia nei PO, e hanno rispetto del loro sacerdozio. Questo rispetto e questa fiducia che essi continuano a manifestare a nostro riguardo ci vieta di accettare ogni compromesso che consisterebbe nella pretesa di restare nella classe operaia senza lavorare normalmente e senza accettare gli impegni e le responsabilità dei lavoratori. La classe operaia non ha bisogno di gente che ‘si china sulla miseria’, ma di uomini che condividano le sue lotte e le sue speranze.
Di conseguenza, noi affermiamo che le nostre decisioni saranno prese nel rispetto totale della condizione operaia e della lotta dei lavoratori per la loro liberazione”.
I due terzi dei firmatari restarono fedeli al loro impegno e saranno dimenticati per sempre dall’apparato della Chiesa… in attesa forse di recuperarli dopo la loro morte!

Dopo il 1 marzo 1954, i PO divennero i dimenticati della storia. In seguito, certo, altri PO, preoccupati a loro volta di essere accanto al popolo, o meglio dentro il popolo, andarono anche loro a lavorare e a loro volta si immersero, più o meno esclusi, a seconda del loro impegno. L’episcopato francese stesso, dinanzi ai rimproveri di cristiani e alle pressioni di una parte di preti, creò più tardi la “Missione operaia “, e permise ad altri preti di andare a lavorare, ma a condizioni particolari, certi a part-time, ma in assoluta dissociazione con i PO condannati nel 1954.
Questa è un’altra pagina della storia della Chiesa che un giorno bisognerà scrivere e che non è oggetto di questo articolo.
I PO “insoumis” del 1954 non sono mai stati reintegrati nella Chiesa. Cinquanta anni dopo, il 15 gennaio 2004, sei dei pochissimi sopravvissuti di questa epopea, hanno deciso di parlare.

Francis Serra


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