Dossier sui PO europei
1) 1959:
Lettera del Card. Pizzardo che riconferma il divieto
– La Santa Sede condivide la convinzione dei Vescovi francesi sulla necessità di un apostolato intenso ed efficace negli ambienti operai, per ricondurli alla fede ed alla pratica della vita cristiana, dalle quali si sono malauguratamente allontanati.
– La Santa Sede ritiene che per evangelizzare gli ambienti operai non sia indispensabile inviare dei preti come operai nei luoghi di lavoro e che non è possibile sacrificare la concezione tradizionale del sacerdozio a questo scopo, al quale tuttavia la Chiesa tiene come ad una delle sue missioni più care.
– La Santa Sede ritiene che il lavoro in fabbrica o nel cantiere sia incompatibile con la vita e gli obblighi sacerdotali. Le giornate di lavoro: sarebbe praticamente impossibile per il prete adempiere a tutti i doveri di preghiera che la Chiesa da lui esige ogni giorno.
– Il lavoro in fabbrica espone poco a poco il prete a subire l’influenza dell’ambiente. Non si trova soltanto esposto in un ambiente materialista, nefasto per la vita spirituale e spesso anche dannoso per la sua castità; egli viene così, suo malgrado, condotto a pensare come i suoi compagni di lavoro nell’ambito sindacale e sociale ed a prendere parte alle loro rivendicazioni: ingranaggio temibile che lo porta a partecipare alla lotta delle classi.
È innanzitutto con la parola che il prete deve testimoniare, e non con il lavoro manuale compiuto tra gli operai come se egli fosse uno di loro. Gli apostoli hanno istituito precisamente il diaconato per liberarsi dagli impegni temporali.
– È ben difficile considerare come totalmente scristianizzate delle masse di uomini di cui in grandissimo numero hanno ricevuto il carattere sacro ed indelebile del battesimo.
– Queste sono le ragioni che hanno determinato gli Eminentissimi Cardinali del Sant’Ufficio a decidere la cessazione del lavoro dei preti come operai o impiegati nelle fabbriche e in altre imprese, o come marinai sulle imbarcazioni da pesca o di trasporto, e la sostituzione dei “preti al lavoro “con dei gruppi di preti e di laici specificamente consacrati all’apostolato negli ambienti operai.
– La sostituzione dei “preti al lavoro” con delle nuove istituzioni dovrà avvenire gradualmente, con tutta la prudenza necessaria, al fine di evitare cambiamenti improvvisi e generalizzati, o dei dannosi disordini nell’apostolato tra gli operai. Gli ordinari sapranno certamente cogliere tutte le occasioni opportune per ritirarli dal lavoro assegnandoli ad altre forme di ministero presso gli operai.
– Quanto ai preti che lavorano in mare, non dovranno più sottoscrivere nuovi contratti e, al loro ritorno in terra ferma, interromperanno gli impegni presi…”. Infine veniva richiesto che “i gruppi di preti e di laici” che dovevano sostituire i PO avevano come missione di “far conoscere agli operai la dottrina sociale della Chiesa, consigliarli in materia sindacale e in altre questioni di ordine temporale sulle quali avrebbero dato la vera soluzione cristiana, infine, soprattutto, nel clima di fiducia realizzato con questi contatti, aprire un po’ alla volta queste anime alla verità soprannaturale e condurle alla pratica della vita cristiana”.
(Jean Vinatier, Les prêtres ouvriers, le Card. Liénart et Rome, Paris 1985)
2) 1993:
Dichiarazione della Commissione Episcopale Francese
del mondo operaio (CEMO)
In occasione della celebrazione del 50°anniversario di “France, Pays de Mission?” a Montreuil, il 3 ottobre, Mons. Labille ha letto a nome della CEMO questo testo elaborato con cura per la circostanza.
Nel 1943, Henry Godin e Yvan Daniel, preti della periferia di Parigi, pubblicavano un libro che aprì gli occhi di molti cristiani e mobilitò il loro ardore apostolico. Attraverso il loro ministero di cappellani della JOC, essi avevano scoperto quanto la Chiesa fosse lontana dal mondo operaio. Essi ponevano una questione: “La Francia, paese di missione?” Essi mettevano a nudo quello che il Card. Suhard chiamerà “un muro che separa la Chiesa dalla massa”. E dirà ancora: “Questo muro bisognerà abbatterlo ad ogni costo per ridonare a Cristo le folle che l’hanno perduto”.
Allora si assumono e si sviluppano nuove iniziative missionarie: Missione di Francia nel 1941, Missione di Parigi ed invio di religiosi e di preti al lavoro nel 1943, fondazione dell’Azione Cattolica Operaia nel 1950, costituzione della Missione Operaia e invio di religiosi in fabbrica nel 1957. Queste iniziative consentono una prossimità di vita e un accompagnamento quotidiano del mondo operaio: questa testimonianza vuole essere vissuta da questi apostoli alla maniera in cui il Cristo stesso ha voluto prendere la condizione di servo. Un nuovo modo di vivere la fede nella vita ed un rapporto nuovo tra la Chiesa e il mondo operaio prendono corpo, malgrado prove e incomprensioni.
La decisione di far abbandonare il lavoro ai PO, nel marzo 1954, fu tra le più dure di queste prove. Le ferite aperte in quel momento non sono ancora cicatrizzate. In nome della fedeltà alla Chiesa e per il profondo desiderio di sposare la condizione degli operai a causa del Vangelo, vengono operate scelte opposte. La maggior parte dei pretioperai sceglie dolorosamente di interrompere il lavoro con la convin zione che non è stata compresa la posta in gioco di questa forma di presenza nel mondo operaio, nella prospettiva dell’evangelizzazione. Gli altri in coscienza hanno creduto doveroso continuare la loro presenza al lavoro a prezzo della loro rottura.
Noi vogliamo che proprio costoro sappiano che noi riconosciamo che essi hanno cercato nel cuore di questo dramma di essere fedeli alla loro missione. Noi vogliamo dire oggi a questi preti che si sono sentiti esclusi che noi rigettiamo tutto ciò che, quarant’anni fa, e oggi ancora, lascerebbe pensare che la condizione operaia sia incompatibile con lo stato di vita del prete.
“La Francia, Paese di Missione?”: Questa domanda rimane 50 anni dopo: certo – e i testi del Concilio Vaticano II lo ricordano spesso – la Chiesa vuole entrare in dialogo con tutti gli uomini per proporre loro il Vangelo. Dei laici, con la loro vita, la loro vicinanza e le loro assunzioni di responsabilità creano questo dialogo e propongono la Fede ai lavoratori. La legittimità del ministero dei preti “che lavorano manualmente e condividono la condizione operaia” è ufficialmente riconosciuta. Adulti, giovani e bambini, religiose e religiosi, diaconi e preti si ritrovano sempre più in campo per far nascere missioni operaie locali.
Noi manteniamo con attenzione la nostra volontà di raggiungere il mondo operaio in piena evoluzione. La situazione attuale lo rende vulnerabile alle nuove povertà, alle nuove precarietà, alle nuove esclusioni.
Oggi ci anima la stessa urgenza missionaria. L’annuncio del Vangelo al mondo operaio reclama una paziente tenacia. Sforzi apostolici concertati e specifici sono sempre necessari per raggiungere le persone del mondo operaio nel cuore delle loro sofferenze, delle loro speranze e delle loro lotte per la giustizia e la solidarietà. L’evangelizzazione del mondo operaio è uno dei segni che testimonia che Gesù è venuto per tutti, anzi è una modalità per la Chiesa di manifestare l’amore preferenziale di Gesù per i poveri.
Noi crediamo che Gesù Cristo ci inviti a raggiungerlo presso uomini e donne che si trovano in condizioni di povertà, di dipendenza e di precarietà. Noi dobbiamo rivelarlo, Noi crediamo che il Vangelo è un messaggio di liberazione e di vita per coloro che abitano nelle periferie o i grandi agglomerati, per coloro che sono immigrati o esclusi, per coloro che sono senza lavoro, senza alloggio, scherniti nella loro dignità. Fedeli a Cristo, noi siamo sempre chiamati a prender la strada degli uomini: questa è la strada del Vangelo, questo è il cammino nel quale noi diventiamo insieme creatori di incontri, di solidarietà, d’amicizia e di speranza.
3 ottobre 1993
(Témoignage Chrétien, 1/1994, p. 54)