Seminario sulle beatitudini / Verona 1988
interventi
Penso che la nostra condizione di vita ci dia la possibilità di avere uno sguardo più puro sulle Beatitudini.
Le persone che ho incontrato, il modo con cui le ho incontrate, le diverse situazioni in cui mi sono trovato ad agire, le stesse cose, la materia che ho toccato e lavorato, hanno purificato il mio “cuore”, lo hanno liberato da molte maschere”, compresa la tentazione ricorrente di identificare Dio nella mia esperienza spirituale, così da darmi almeno la capacità di vedere dove Dio non è.
Quello che caratterizza queste liberazioni è che questa chiarezza è avvenuta non tanto attraverso una ricerca voluta e programmata, ma come un di più che le persone e le cose hanno provocato, un dono, una dimensione del gratuito.
Così, sommessamente, vi indico alcune “maschere” da cui sono stato liberato.
a) La “maschera” di Dio Padre-Padrone:
Questa liberazione la devo soprattutto alle donne che in questo tempo ho avuto la fortuna di incontrare, in fabbrica, in casa, nel sindacato, nei gruppi e dalle quali ho ricevuto affetto, amore, sostegno, conforto, amicizia.
Loro mi hanno aiutato a superare la paura della tenerezza, del lasciarsi voler bene, dell’essere accolto, permettendomi di vedere o di intravedere l’altra faccia di Dio.
b) La “maschera” di essere portatore di Dio.
Questo lo devo ai miei compagni di lavoro. Quante volte sono rimasto stupito dalla loro generosità, dai grandi “gesti”fatti con la normalità del quotidiano, dalla loro capacità di resistere e di tener duro.
Ho imparato (dico cose note a tutti voi) come il Signore Gesù mi aveva preceduto e che non ero io a portarlo, ma Lui a chiamarmi per andare oltre la soglia dell’orizzonte che in quel momento guardavo.
c) La “maschera” della materia, ovvero la “fuga spirituale”.
Il lavoro manuale, il toccare, modificare le cose, con tutto il suo peso di fatica, di sudore, di alienazione, ha fatto nascere in me una capacità di “contemplazione” inaspettata, mi ha fatto capire che il “Cantico delle Creature” non è una esercitazione sentimentale, ma una proposta concreta e realista che si oppone, resiste, congiura contro l’uso ed il consumo sbagliato delle cose e contro il lavoro umano ridotto solo ad un fare ed un produrre.
Così, passando per Firenze (od usando un oggetto) vedo quante caldarelle di calce, quanti colpi di piccone, quanta capacità ed esperienza, quante imprecazioni, quanti incidenti, quanta rabbia c’è dietro quell’armonia, quella bellezza (o quell’attrezzo che io uso).
d) La “maschera” del possesso di Dio. Il nostro “vivere” di preti-operai ci ha obbligati ad eliminare gran parte degli aspetti esteriori della fede.
Le nostre giornate e gli impegni vissuti a contatto con uomini e donne normalmente al di fuori dell’ “orto cattolico” mi hanno chiarito che Dio non è possesso esclusivo, proprietà privata di nessuna Chiesa, di nessun gruppo, di nessun movimento, e che quello che ho scoperto, visto, sentito in questi anni è in gran parte una esplorazione superficiale, appena un delimitare il campo di gioco.
Alcune liberazioni, alcune “maschere” eliminate, sufficienti ad intuire le Beatitudini come un progetto che ci chiama dal futuro, il sogno che siamo chiamati a diventare.
“Come in uno specchio…”
Renzo Fanfani