“PRETIOPERAI QUALCHE ANNO DOPO”
Convegno nazionale 1989
Interventi personali (3)
Il fare “memoria” della nostra esperienza individuale e collettiva di PO, come stiamo facendo in questi giorni, è occasione grande e importante: capire da dove veniamo, dove siamo e verso quale futuro camminiamo.
Bisogna che siamo attenti, acuti e disarmati, senza difesa di sorta nello scrutare questa nostra storia per non perdere occasioni provvidenziali, onde poter capire cosa oggi ci viene chiesto di specifico per servire l’uomo-povero, mossi da una grande passione per il Regno di Dio.
Fare memoria del passato non per essere dei nostalgici, ma per cercare nei cocci, nei rottami di una storia che sta trasformandosi a vista d’occhio, le intuizioni di fondo, la perla preziosa del campo, ciò che è essenziale, e che rimane costante pur nei cambiamenti.
Nel nostro passato si radicano le radici di questa nostra esperienza, lì attingiamo linfa vitale per il nostro oggi, con la convinzione profonda che nel nostro vissuto passato e presente sta il germe del nostro futuro. E’ questo germe che non si vede, e che pure c’è, che dobbiamo cercare di far emergere, di far crescere… Senza perdere nulla, e con una grande capacità di discernimento per tenere ciò che è buono. Ma anche attenti e coraggiosi per non correre il rischio di cucire una pezza nuova su un vestito vecchio, o a mettere vino nuovo in botti vecchie.
In questa prospettiva vorrei tentare di dare un piccolo apporto alla ricerca, muovendo dalla mia esperienza di operaio-prete.
L’intuizione
Mentre l’esperienza storica dei PO si andava evolvendo, e il numero di coloro che sceglievano la condizione operaia come luogo di vita, di condivisione e di testimonianza aumentava, è maturata un’intuizione: pensare, ipotizzare l’idea di operai-preti.
Questa fu un’intuizione che diversi PO hanno coltivato nel cuore come un grande sogno, la cui realizzazione sarebbe stata segno di un ampio cammino di tutta la chiesa. Pensare che un giorno degli operai avrebbero scelto di diventare preti, rimanendo operai, voleva dire pensare al capovolgimento della situazione: un vero e proprio fatto rivoluzionario sia per la chiesa che per la classe operaia. Sono quei sogni che fanno bene al cuore e che mantengono vivo il progetto.
La scelta iniziale dell”esserci dentro”, del “porsi in condizione”, sul piano di una lettura socio-politica maturava da una serie di situazioni e avvenimenti:
— la lontananza della chiesa dai problemi della gente;
— Il muro eretto con l’andare del tempo tra chiesa e classe operaia (quest’ultima percepiva la chiesa dalla parte dei potenti, quindi nemica di classe);
— ancora i fatti degli anni sessanta… ecc.
Sul piano della lettura di fede questi avvenimenti erano la forza del vento dello Spirito, sempre imprevisto ed imprevedibile: lo Spirito dei tempi nuovi, dei tempi ultimi. Quello Spirito la cui azione ha sconvolto la chiesa nella celebrazione del Concilio Vaticano Il.
La scelta della condizione operaia prima, e l’intuizione maturata dentro l’esperienza di operai preti poi, non poteva non trovare la sua radice ultima in questa forza dello Spirito che agisce ovunque e che ovunque fa nascere nuove chiamate.
La convinzione radicata nei PO che ho conosciuto e che mi hanno aiutato ad orientare la mia scelta era questa: l’ambiente operaio è un ambiente di vita e come questo ambiente è stato capace di far nascere delle vocazioni specifiche, è anche capace di portarle a maturazione.
Quale cammino
Anzitutto la valorizzazione della cultura operaia, popolare: la cultura della vita, del vissuto. Quella cultura che nasce non da persone sedute alla scrivania intente a pensare e ad elaborare, ma una cultura impastata di problemi quotidiani quale il pane, la famiglia, la casa, il posto di lavoro. La cultura della quotidianità fatta di tante piccole cose essenziali, vere, vitali. Quelle tante piccole cose che però si riducono ai grandi valori.
Questo era il punto di partenza: assumere con coscienza questa realtà condivisa fin nelle profondità e vissuta in tutte le sue dimensioni.
Essere presenti tra la gente, condividendo la fatica del lavoro quotidiano, attenti ad uscire fuori da quella tentazione di rassegnazione, per assumere con maturità e fierezza tutto quanto di grande e di positivo esisteva dentro questo mondo. Quindi non solo il non abbandono della condizione di provenienza, ma la sua valorizzazione e assunzione cosciente e responsabile, con l’impegno alla coscientizzazione perché diventi forza trasformante.
Un secondo aspetto importante: la militanza. La condivisione piena della condizione operaia non poteva non diventare anche assunzione di presenza militante. Da qui allora il lavoro sindacale di base e l’impegno politico come luogo concreto per tradurre in pratica i valori e gli ideali del mondo operaio e della gente del popolo.
In terzo luogo la passione per il Vangelo. Anche qui c’era un grosso lavoro da fare. Anzitutto una conversione di mentalità: passare da una religiosità relegata a momenti particolari separati dal vissuto quotidiano, come modo per “salvarsi l’anima”, ad un cammino di fede vissuto e impastato di cose quotidiane.
Fu questa una delle scoperte più grandi e liberanti: una fede per la vita; un vangelo che usciva dai “luoghi sacri” delle chiese per entrare nel “profano” dell’esistenza quotidiana.
Ricordo la gioia di molta gente del popolo, la mia gente, i contadini e gli operai: è stato un vero e proprio incontro con il Signore Risorto. La storia della vita quotidiana così segnata dalla Passione: le ferite nelle mani e nei piedi: uomini fisicamente deformati dal duro lavoro… ridotti al silenzio e alla rassegnazione… vederli rinnovarsi, ritrovare il coraggio di alzare la testa… Quale luogo migliore dove maturare le proprie scelte di vita?
In questo ambiente ho maturato l’idea di farmi prete, e questo ambiente mi ha accompagnato negli anni di preparazione.
La gente semplice, i compagni di lavoro erano i primi professori. I problemi quotidiani incontrati e vissuti, la prima materia da capire in profondità e la più elementare e primaria esegesi biblica, “luogo privilegiato” della ricerca teologica.
La conversione alla gente da cui provenivo — e di vera conversione si trattava perché se manca una presa di coscienza, si ha vergogna e senso di inferiorità nell’appartenere a un mondo di povera gente — diventava luogo concreto dove comprendere un modo duro di vivere in profondità la fedeltà a Gesù di Nazareth. Imparavo da lì il servizio di cui la gente aveva bisogno: un servizio di prete che nasce dal di dentro… dalla gente e con la gente.
Tutte cose certo non in linea con i cammini seguiti normalmente nei seminari. Qualcosa di totalmente nuovo e rivoluzionario, senz’altro con tantissimi limiti, ma certo animato e provato da un vissuto duro ed esigente.
Somiglianze e diversità tra PO e OP
Ci sono qui da cogliere alcune diversità tra preti operai e operai preti […]
C’è però una grossa realtà che accomuna le due esperienze: il lavoro manuale dipendente, solidali con tutti coloro che vivono questa esperienza; l’importanza del lavoro manuale, del rapporto col Creato, nel tentativo di umanizzare e fare giustizia in questo ambiente, lavorando, faticando, soffrendo per rendere credibile la presenza; parlare con i fatti, non con le parole; rendere credibile la presenza e l’annuncio con il sudore della presenza quotidiana.
Ci accomuna una presenza di condivisione di tutte quelle cose della vita quotidiana della gente povera che non ha garanzie. Compromettersi fino in fondo con loro: cos’è, se non incarnarsi?
Ci accomuna il farsi carne, diventare un tutt’uno con loro per scoprire e sperimentare il significato profondo dell’incarnazione del Figlio di Dio.
E da tutto questo nasce un nuovo significato della sequela: quel camminare dietro al Signore — sempre attenti a non passargli avanti — nell’obbedienza concreta a tutti quegli appelli che ti chiedono coerenza e fedeltà. Quell’imparare a lasciarti portare là dove tu non vorresti.
Questa obbedienza forse è il significato profondo e ultimo dell’essere dentro come preti… nell’umile disponibilità ad offrire la vita come dono.
È il lasciarsi spogliare di tutto, anche di tutto quel riconoscimento che viene dall’impegno sindacale — oggi così faticoso e senza gratificazioni — e pur di fronte al nulla, credere, sperare e amare, con la terra e morire per poter portare frutto.
Forse l’essere “ridotti al nulla” ci aiuta a riscoprire il senso di una presenza sacerdotale […].
Prospettive
Siamo dei vinti, non degli sconfitti! ed è importante che non ci arrendiamo.
Attenti a non assolutizzare i nostri cammini: lasciamoci sempre condurre dagli avvenimenti entro i quali c’è la forza trasformante dello Spirito, che dobbiamo avere sempre come nostro grande Maestro.
Le disillusioni non sono mancate, ma anche queste fanno parte di un “misterioso” disegno della provvidenza; ci rendono più umili, capaci di quel realismo che ci lega maggiormente alla gente povera e quindi a quell’essenzialità, a quel valore ultimo che è l’uomo: il Regno di Dio.
Facile rimanere quando i segni sono chiari. Credo sia evangelico il rimanere senza i frutti.
Il fatto di esserci e le motivazioni della prima ora, riscoperte e purificate, danno senso e significato pieno alla presenza oggi.
Esserci dentro, forse ridotti un po’ al silenzio: ma il silenzio può essere la più grande parola che oggi possiamo dire. Soprattutto il silenzio fa bene a noi: è tempo per ripensare, meditare, pregare… piegare il capo e le ginocchia: forse questo è il grande servizio che oggi possiamo dare alla chiesa e al Mondo Operaio. Quella chiesa e quella classe operaia che vogliamo testardamente servire in modo unificato. Fedeli alla Classe Operaia e alla Chiesa del Signore, nella fatica e nella tensione di fare unità.
Rimaniamo come segno per chi lo vuol leggere… rimaniamo dentro scegliendo il lavoro manuale e dipendente. In questo tempo nel quale tutti parlano di progresso tecnologico… rimanere con chi lo subisce, lo paga con la vita; con chi non sta ai passi con i cambiamenti, con chi ne è escluso: i manovali della storia.