“DAI DIAMANTI NON NASCE NIENTE…”
NELLA CONDIZIONE OPERAIA:
VANGELO O EVANGELIZZAZIONE?
seconda relazione
Oh, quanti cercate, siate sereni.
Egli per noi non verrà mai meno
e Lui stesso varchera l’abisso.
(D. M. Turoldo)
Sono note, frammenti, pezzi di ragionamento: un tentativo di dire una riflessione che nasce da una ricerca di fedeltà dentro la vita quotidiana segnata dalla condizione di lavoro dipendente e manuale e dal desiderio di restare nell’apertura al trascendente, all’Altro.
Questo convegno si presenta ricco di progettualità: con questo tema non intendiamo chiudere un capitolo sulla militanza/condivisione per aprire a tematiche più ecclesiastiche. È un’occasione molto più ampia e profonda:
ci sta a cuore far riaffiorare, tirar fuori l’intuizione che resta alla base delle nostre esistenze; l’intuizione vissuta secondo tante originalità e strade quante sono le nostre vite e le concrete situazioni dentro le quali ci siamo calati e ci troviamo a vivere. L’intuizione cioè di poter vivere il Vangelo senza vivere del Vangelo; l’intuizione di una fede “povera” ricondotta all’osso delle sue espressioni e al tempo stesso piena di energia e di vivacità secondo la parabola evangelica di Mc. 4,26-27: «Il regno di Dio è come un uomo che getta il seme nella terra; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce; come, egli stesso non lo sa».
Accenni di una parabola, di una ricerca aperta
Percepire il proprio divenire e quello della storia / territorio in cui si vive è esperienza che scarnifica, che rende meno sicuri ma più liberi, meno appesantiti, più agili nell’andare verso e nell’andare oltre.
Mi pare importante ricordare, fare memoria delle nostre radici, delle nostre origini perché esse restano gli elementi vitali, l’humus a cui continuamente si può attingere.
Siamo nati sull’onda delle intuizioni conciliari: la riscoperta della parola di Dio; la vita quotidiana come luogo di esperienze e della possibilità di incontrare Dio; la proposta di essere nella società come luce, sale, lievito; la non-paura di mescolarsi dentro, di vivere immersi senza perdere l’identità ma anche senza calcoli di conservazione; la dimensione della Chiesa come popolo di Dio capace di offrire gli uni agli altri il racconto del proprio vissuto, della ricerca di fedeltà alla storia e al Dio della storia.
Il nostro andare a lavorare ha avuto alle spalle questo retroterra, questi appelli alla verità con noi stessi, al giusto rapporto con gli altri, alla non mercificazione di Dio.
L’esigenza di vivere come tutti, di vivere sperimentando la fatica e la precarietà sotto il sole affinava, non faceva perdere di vista l’approfondimento del ministero. Un problema già presente presso i PO francesi e portato al Concilio dai vescovi d’oltralpe.
M. Dominique Chenu testimonia che ci fu un acceso dibattito in Concilio intorno all’identità del presbitero; alla fine la posizione minoritaria inizialmente fu quella vincente. L’impostazione infatti della Presbiterorum Ordinis riflette il dibattito conciliare e la conclusione è quanto mai illuminante là dove afferma che ciò che unifica le varie maniere di essere presbitero è l’evangelizzazione. Gli altri aspetti, pur importanti, e cioè la sacramentalizzazione e il servizio di una comunità vengono dopo.
Centralità della evangelizzazione
Andati per evangelizzare, strada facendo…
Proprio partecipando alla vita / condizione di lavoratori dipendenti, proprio all’interno del quotidiano di lavoro e di lotta… è venuto meno lo zaino, l’armamentario, la pretesa di essere solo noi evangelizzatori.
Volevamo evangelizzare… e scoprivamo lentamente che ad essere evangelizzati eravamo noi stessi. Lo Spirito soffia dove e come vuole.
In questi anni le energie migliori, i tempi a disposizione sono stati spesi nella linea della ricerca di quale evangelizzazione, di come evangelizzare, quali mediazioni “necessarie e dolci” fossero le più adatte per una inculturazione del Vangelo dentro le situazioni di vita / territorio / luogo in cui si vive.
E anche noi abbiamo cercato di dare un contributo – a volte richiesto, a volte neppure desiderato – un contributo di riflessione, un contributo di vìta.
L’insistenza sulla evangelizzazione nasceva dalla speranza e dalla necessità di purificazione dell’istituzione, sempre tentata di arroccarsi, di ripiegarsi, di diventare autosufficiente.
Ora che anche l’evangelizzazione nella sua accezione più aggiornata è diventata “nuova evangelizzazione”, rischia di chiudersi su se stessa, di spegnersi, di ridursi a uno schema o a una forma ideologizzata.
Ecco perché, pur senza abbandonare il terreno della evangelizzazione, emerge l’esigenza di capire, distinguere, chiarire: Vangelo o evangelizzazione?
L’interrogativo posto in termini alternativi ha la forza di porre alle radici un’inquietudine, è una maniera per cercare di dire un paradosso che comunque si vive. Vi è consapevolezza che non si dà vangelo allo stato puro, che esso si storicizza, prende forma, diventa comunicazione e linguaggio, e dunque mediazione.
Forse non vi è altrettanta consapevolezza che nessuna mediazione, nemmeno la più pura, la più disinteressata è l’evento che quella mediazione cerca di raccontare: in altre parole nessuna evangelizzazione esaurisce il Vangelo.
Ecco perché mi pare che il problema vero, che la purificazione necessaria oggi più di ieri è il tener distinti senza separare vangelo-evangelizzazione.
Vangelo infatti è sulla linea dell’evento, di ciò che è accaduto e può accadere ora… è racconto di possibilità, di un venire, di un farsi… è novità, non è ripetizione; è scoperta, incontro, è grazia che viene verso e ti abbraccia. È evento di salvezza: è una persona, il farsi uomo di Dio in Gesù di Nazaret.
Evangelizzazione è quello che già si è visto e capito del vangelo; inevitabilmente blocca l’evento e lo gestisce: tende o rischia di diventare una dottrina, una sedimentazione, un manuale di comportamento; tende a dare risposte, a creare rassicurazioni più che a invitare alla ricerca e all’attesa.
È forte il rischio che l’evangelizzazione diventi dottrina, indottrinamento e sostituisca l’evento o diventi intralcio all’evento, diventi talmente ingombrante da far perdere di vista che in realtà ciò che conta è la possibilità di attingere all’evento.
L’espressione “nuova evangelizzazione”, poi, è carica di ambiguità: si rischia infatti di fare un aggiornamento di facciata, di moduli, di itinerari ma lasciando in ombra o addirittura perdendo di vista l’esperienza sorgiva. Occorre andare oltre la presentazione più aggiornata, più efficiente della dottrina di sempre: ci si aspetta l’individuazione di un cammino, di una ricerca per attingere all’evento di salvezza, ora, in questo pezzo di storia.
L’evangelizzazione non può essere piegata al favorire una pratica religiosa scaduta o scadente: la sua finalità è favorire un’obbedienza al mistero, cioè un’introduzione al percorrere le strade aperte al venire di Dio.
Vangelo – evangelizzazione non sono alternativi, ma vanno tenuti distinti.
È inevitabile un rivestimento culturale dell’evento: è necessario tenere alta la precarietà di questo rivestimento. È necessario ricordare che il rivestimento va continuamente liberato e che esso resta a servizio di ciò che intende “ricordare”.
Faccio un tentativo di approfondimento di questo rapporto vangelo – evangelizzazione: è un rapporto di polarità; uno non esiste senza l’altro, uno non esaurisce l’altro.
* Non esiste un vangelo allo stato puro.
Il vangelo non può prescindere dalla evangelizzazione. Ogni generazione lo riceve in e da una comunità che a sua volta lo ha ricevuto da altri e lo trasmette ad altri ancora. E ogni trasmissione significa dare una veste al vangelo; e proprio questa veste, l’evangelizzazione, va continuamente rivista.
* Ogni evangelizzazione presuppone il vangelo come suo alimento continuo, come fonte, come sorgente della testimonianza e del racconto.
L’evangelizzazione esiste perché c’è un evento evangelico da vivere e da offrire. A tenere viva questa polarizzazione concorrono tanti elementi: l’intuizione, la fantasia, la creatività, le varie risposte con cui una persona o un gruppo di persone stanno davanti all’evento evangelico. Alla radice di tutto però c’è la storia, cioè la fedeltà al proprio tempo. È questa fedeltà ai propri giorni che fa andare in crisi il modello di evangelizzazione ereditato da altre generazioni. Questa fedeltà al proprio tempo costringe a risalire al vangelo e a ricordare l’importanza di ritornare alla fonte, all’esperienza originante.
A questo livello si colloca il senso dei preti operai
Proprio perché dentro il tempo, proprio perché del tempo vive più intensamente i versanti della fedeltà al quotidiano e della fedeltà aperta a Dio, il PO percepisce la stonatura, la sfasatura dell’evangelizzazione senza per questo avere nessuna pretesa di aver scoperto il vangelo.
A noi sta a cuore la fedeltà al vangelo e la fedeltà alla storia, al cammino degli uomini e delle donne: questo ci rende più sensibili a come può essere la presenza del vangelo oggi senza per questo diventare unici interpreti del nostro tempo.
Anzi si fa intenso il bisogno dello scambio e del dialogo tra letture del mondo: condizione questa di fecondità per far emergere l’evento evangelico nella sua forza.
La nostra è una presenza, una lettura bisognosa e desiderosa di essere integrata, allargata, arricchita da altre letture.
Ciò che conta è che emerga il primato del vangelo, che esso diventi l’elemento sorgivo nell’esistenza personale e nella storia lasciandolo operare.
Oggi viviamo in un momento in cui c’è uno spostamento verso l’istituzione spesso a scapito di una ricerca evangelica; viviamo in una chiesa in cui si parla troppo e di tutto, in cui si affaccia la tendenza a tutto controllare, a tutto ricondurre dentro a un unico alveo. In un momento in cui si fa più forte la confusione tra obbedienza a Dio e ossequio agli uomini, in cui ci si arroga la direzione di coscienze su temi contingenti, in cui riprende fiato il fascino di una “societas cristiana” a conduzione ecclesiastica… l’evento evangelico ritorna con forza a far parlare di sé.
Ritornare all’evento, liberare l’evento
L’evento di salvezza è un fatto sorgivo: all’inizio è un fatto partito dalla vita e solo dopo è stato verbalizzato, cioè si è tentato di dargli una veste di comunicazione attraverso il racconto, la parola, la trasmissione scritta.
L’evento non è qualcosa in mano a qualcuno, non è qualcosa che si possa controllare né si affida alla gestione di nessuno: vive di luce e forza propria.
A questo primato del vangelo, a questo bisogno di tornare all’evento sorgivo ci riconducono la vita quotidiana, la vita di condivisione, la vita di lavoratori.
Di politica, di etica, di morale sessuale, di catechesi, di aggiornamento… c’è sazietà.
Le sfide che raccogliamo dalla condivisione e dalla riflessione su ciò che viviamo nella compagnia degli uomini e delle donne con cui ogni giorno ci incontriamo e ci scontriamo sono altre:
– Come stare davanti al vangelo che è evento prima che parola, che è fatto prima che racconto, che è relazione con il Vivente prima che testimonianza?
– Dentro la complessità delle situazioni e della realtà in cui si vive come ascoltare Dio senza ridurlo ad oggetto, possesso, merce, ma riconoscendolo nella sua assoluta signoria?
– Come lasciarlo nella sua libertà e gratuità di agire senza preconfezionare niente?
Rapporto evento – soggetto
Si tratta di ridare al soggetto tutta la sua responsabilità di costruirsi: una libertà non vuota, ma come educazione progressiva all’obbedienza e all’ascolto di Dio. L’evento porta con sé la presenza di un dono e stimola alla risposta non confezionata ma responsabile, ad un’adesione in cui si opera il proprio coinvolgimento.
Creare persone libere è spesso fuori di ogni logica istituzionale: ogni istituzione chiede prestazioni in cambio di garanzie.
Creare le condizioni perché soggetti pensanti vadano fino in fondo nella scoperta del senso della vita, è una sfida, un progetto da raccogliere: è il senso stesso della nostra esistenza.
Rapporto Vangelo – Chiesa
L’insieme dei credenti che custodisce l’evento e sta sotto il primato del vangelo è chiamato ad annunciare e a offrire l’evento evangelico come qualcosa di diverso da sé. Vi è la tentazione di vivere da padroni il vangelo perdendo il senso del proprio esistere: quello di essere servi.
L’evangelo parla da se stesso: vi è un protagonismo assoluto dell’evento.
E il discepolo sta in aiuto di questo dinamismo contenuto nell’evento. E la chiesa nel suo insieme dovrebbe intervenire come sostegno ma senza sostituirsi all’evento stesso.
Le strade dell’evento
Tante… Piene della fantasia di Dio e della sua libertà.
Il vangelo non può essere ridotto a fatto verbale. Torna preziosa la lettura di 1 Ts 1,4-5: «Noi ben sappiamo, fratelli amati da Dio, che siete stati scelti da lui. Il nostro vangelo, infatti, non si è diffuso tra voi soltanto per mezzo della parola, ma anche con potenza e con Spirito santo e con profonda convinzione, come bene sapete che siamo stati in mezzo a voi per il vostro bene».
C’è un’azione dello Spirito, c’è un operare oltre la trasmissione verbale: è l’iniziativa dello Spirito e il suo libero muoversi e agire dentro la storia. E il testimone? Lascia liberi e libera le coscienze… Non accalappia. Non si preoccupa di proselitismo, è libero rispetto ad ogni forma di integriamo. Il testimone dice: “è successo”… “può succedere ancora”… “auguro che ti succeda”.
Ma forse è già dire troppo: sa tacere, infatti, indicare, sottrarsi. E la condizione di mangiare il pane frutto del lavoro delle proprie mani può rendere credibile il suo indicare.
E affiancandosi nel cammino…
alla ricerca di un Dio che io non so darti,
attraversiamo insieme il deserto.
Di deserto in deserto andiamo
oltre la foresta delle fedi
liberi e nudi verso
il nudo Essere
e là
dove la Parola muore
abbia fine il nostro cammino.
(D. M. Turoldo)
SENTIERI APERTI
Vangelo / Evento di salvezza / Fede
Il vangelo suscita la fede.
L’atteggiamento fondamentale del credente non è quello di inventare qualcosa, ma di “vivere ricordando”.
“Ricordate le parole che vi disse quando era ancora tra voi… Esse si ricordarono” (Le. 24,1-8)
All’evento di salvezza è possibile attingere nell’incontro tra libertà: la libertà del soggetto, la libertà della grazia, la libertà della storia.
Vangelo / Evento di salvezza / Condivisione
L’evento di salvezza vive dentro la storia: la vita quotidiana esalta le varie strade e i pezzi dentro i quali ciascuno vive. Esso ci raggiunge là dove siamo. Non occorre inventare luoghi o momenti: e i sacramenti sono a
servizio di questa normalità / quotidianità.
La fedeltà, la perseveranza, la continuità nelle diverse condizioni di vita sono il segno dell’accoglienza, della grazia che viene, il segno della capacità di accogliere e armonizzare le originalità / diversità esistenti.
Vangelo / Evento di salvezza / Chiesa
L’insieme dei credenti può diventare il luogo del racconto delle varie esperienze, della verifica dei vari cammini, spazio di tutti e per tutti.
Le voci diverse nel loro intrecciarsi rivelerebbero la multicolorata sapienza di Dio nel suo dono e si fonderebbero senza perdere la propria originalità e insieme direbbero che è possibile… è ancora possibile vivere l’evento, vivere il vangelo, vivere ed essere evangelizzati.