Convegno nazionale / Salsomaggiore 1995
Interventi
1. LA PARROCCHIA, VISTA DALLA FINESTRA DI UN PO
I termini della questione
a) La parrocchia è la comunità cristiana che si è formata lungo i secoli attorno al suo campanile, alla sua chiesa, ai suoi parroci. I secoli l’hanno modellata in maniera che noi chiamiamo tradizionale, non nel senso peggiorativo. La tradizione ha creato una cultura e un linguaggio preso a prestito dal mondo rurale.
Oggi si è passati al mondo industriale e a quello urbano.
La parrocchia è passata attraverso un cambiamento di cultura e di linguaggio che non è ancora arrivato alla sua conclusione. Molte questioni rimangono. Di questo cambiamento riportiamo la testimonianza di Spinea, con il libro “Una comunità di Frontiera”.
b) Intendiamo per PO quei preti che hanno inizialmente lasciato il ministero diretto e sono entrati in una condivisione della vita della gente, condivisione nel lavoro e nella problematica che lo accompagna nei sindacati e nella politica, condivisione nelle abitazioni, assumendo fuori della canonica ambienti per vivere in mezzo alle case e tra le famiglie degli operai.
Alcuni di questi preti sono rientrati in parrocchia, prendendo in consegna come parroci parrocchie normali, ma continuando ad andare a lavorare. C’è chi è andato in pensione e vive fuori e della parrocchia e del lavoro, ma condivide la vita della gente nella abitazione, collocata in mezzo a tutte le case e confusa con le altre, con un numero non sempre facile a trovarsi.
Ora i PO guardano alla parrocchia e la misurano con il capitale della propria esperienza. La domanda che possono farsi è: “Su quale parrocchia si può scommettere, dopo i cambiamenti di questi anni?”. Sull’argomento ci sono stati alcuni preti che hanno pensato; le loro riflessioni sono state riportate dalla rivista “Presbiteri”, n. 10 del 1992.
Sono passati alcuni anni
Oggi riprendiamo in mano le due esperienze: quella di Spinea e quella dei pretioperai. Ci aiutano a leggere la storia che stiamo vivendo.
a) La vicenda dei chierici al lavoro ha posto un problema sulla formazione dei preti. Oggi il Seminario prepara i preti ad essere gente del libro, della liturgia, della pastorale, della assistenza sociale, della catechesi. La questione che rimane è se si prepara una persona tirandola fuori dal suo ambiente per farne un funzionario perfetto, del sacro o della istituzione, o se lo si prepara per essere un compagno di viaggio perché la gente diventi capace di vivere in proprio il sacro e dì costruirsi la propria chiesa come comunità? È strano che si prevedano chierici che vanno a fare gli apprendisti pastorali nelle parrocchie e negli ospedali, e non nelle organizzazioni popolari.
La separazione del prete dalla vita della gente non sembra la profezia attesa dalla gente.
b) Il prete al lavoro ha rotto l’immagine del prete riservato al sacro. A Spinea c’é stato il conflitto con la gente su chi sia il prete. Da lui ci si aspettava il servizio del culto; per il resto, il prete era insignificante. Il resto comprende il senso della vita, del lavoro, del dolore, della morte. Comprende l’impatto dell’uomo con Dio, un impatto personale, misterioso, che non va confuso con un attivismo riempitivo di tutti i problemi umani.
Il prete operaio oggi ha un capitale di esperienze, di silenzio, di preghiera, di solitudine che deve e può essere messo a disposizione della parrocchia. Perché la parrocchia trovi l’acqua per dissetare coloro che la cercano perché ne sentono il bisogno.
I conflitti con la gente
A Spinea sono nati conflitti con la gente in tre particolari settori:
a) L’educazione dei bambini.
La responsabilità prima dei figli non doveva ricadere sui preti o sulla organizzazione parrocchiale. Si trattava, ed ora ne siamo più convinti di allora, di riconsegnare la prima responsabilità alla famiglia. Nella famiglia ci sono impegni che vanno assunti in proprio dal padre e dalla madre. Gli impegni del lavoro sono seri, ma altrettanto seri sono quelli di dare una educazione religiosa.
I preti sono di sostegno per la famiglia, non è la famiglia il sostegno dei preti.
Vedere per questo il cammino di Campigo, riportato nel libro “Dalla bocca dei bambini”.
b) La comunità cristiana è fatta di persone adulte.
È un popolo di laici, non di sacrestani, diceva un prete operaio. Ora l’adulto deve conoscere i problemi della sua comunità; deve prenderseli in proprio. Non può delegare gli altri, e lui starsene fuori. Se c’è una doverosità di partecipare a una costruzione civile, non si comprende perché non debba esserci nella costruzione religiosa. Ora andiamo verso una stagione, in cui stanno mancando i preti. Solo una comunità di laici adulti può mantenere una comunità religiosa.
c) A Spinea si è fatta “una scelta religiosa”.
Consisteva nel consegnare al civile ciò che è di competenza civile. I patronati, i centri comunitari sono stati costruiti dalla parrocchia e consegnati al quartiere e al Comune. È stata una scelta faticosa e sofferta. Ma ha chiarito che la chiesa non deve trasformare in permanente quello che è solo compito di supplenza. Il civile non è preparato e volentieri riconsegna alla chiesa questo campo che normalmente è assistenziale ricreativo e pedagogico. Si è trattato di uno scandalo per stanare la gente dal privato, e riportare il pubblico ad essere gestito da un civile fatto adulto. E la cosa è stata salutare.
Ma la cosa più salutare è stata la “scelta religiosa” della parrocchia. I preti sono stati riportati a lasciare il sacro per andare verso il Santo, a lasciare il sociale per aprire le porte allo Spirituale. Questo ha voluto dire: facciamo l’esperienza di Dio. Un’esperienza che rende ragione al silenzio, alla preghiera, per diventare capaci di essere ministri del Dio invisibile, profeti per questo tempo.
Le esperienze sono state chiuse di autorità, ma il seme è stato gettato. Se ne parliamo ancora, significa che il seme è ancora vivo. Sta nascendo un nuovo religioso. La storia ha tempi lunghi, ma in questa notte che stiamo vivendo, si intravvede una società fatta di uomini adulti che cercano Dio pagando in proprio, come testimoni silenziosi ed emarginati. Essi hanno la missione di aprire le porte, perché l’uomo d’oggi veda Dio e ne tiri le conseguenze, nella libertà e nella guida dello Spirito.
2. VARCARE LE SOGLIE DELLA VECCHIAIA
I PO, dopo aver percorso un tempo lungo di lavoro e di lotte operaie, sono arrivati o stanno per arrivare al tempo della pensione. Sono tanti, la maggioranza.
Come tutti i lavoratori, essi hanno cominciato a fare i conti della pensione e a prevedere impegni socialmente utili, per non trovarsi in una situazione di totale inattività, o peggio di insignificanza della loro vita.
Ci sembra importante riflettere su alcuni punti orientativi:
1. Il tempo della pensione è un tempo ricco: non sei obbligato al lavoro dipendente; hai in un certo senso risolto il problema economico; ti trovi ai margini del cammino della classe operaia, perché saranno gli attivi a prendere il tuo posto. Hai tempo per occuparti dei problemi del quartiere e della città.
2. Una prima tentazione può venire dal fatto di aver paura di una inattività. Cerchi un impegno, un lavoro socialmente utile per continuare ad essere quello che eri prima, per continuare a produrre, per sentirti ancora utile. Tutto questo è comprensibile, ma ci sembra che può nascondere una fuga da una condizione umana inevitabile, che non si risolve cambiando lavoro, ma accogliendo una nuova prospettiva di vita.
3. Il tempo che si ha davanti può essere previsto ragionevolmente per uno spazio di 15-20 anni. Ci sembra che ci venga dato non per continuare a produrre fino alla consunzione e poi essere gettato via, ma per ricominciare a vivere, rifacendo il mazzo delle carte, con una nuova mano, con un nuovo “giro”.
4. Il nuovo giro può chiedere di rifare le coordinate fondamentali della tua vita, della tua vicenda, della tua fede. È un tempo di ritrovarsi con se stessi, con la propria storia, ma anche un tempo per rendere capitale fruttifero tutto quello che hai vissuto prima. È il capitale che ti porta alla saggezza, alla profezia, alla verità più profonda.
È a questo livello che la vecchiaia può diventare un tesoro necessario per la nostra società che ha solo imparato a vivere per produrre e non conosce né la saggezza, né la profezia, né la verità su tutti i campi.
Per questo diciamo che la vecchiaia è una nuova terra: si tratta di entrarvi con l’entusiasmo che ci ha guidato a entrare in tutte le altre terre.
Umberto Miglioranza