Camaldoli 1997
Interventi
Vorrei mettere in fila per iscritto alcune riflessioni su quello che sta avvenendo nel mondo, e che con le “sette parole” scritte per il convegno del 1995 avevamo cercato di indicare. Cerco di dividere le riflessioni principali in 3 punti:
– una riflessione sull’uso delle parole
– una riflessione sui soggetti in campo
– una riflessione sul chi sono io in questo momento storico.
A. UNA RIFLESSIONE SULL’USO DELLE PAROLE
Le parole non le abbiamo inventate noi. Le hanno inventate altri.
E le hanno inventate per indicare una realtà; ma possono servire anche a nasconderla.
Faccio due esempi ed una considerazione.
1. LA PAROLA MONDIALIZZAZIONE O GLOBALIZZAZIONE
Pronunciata così, senza spiegarla, questa parola rischia di rimanere per aria.
Debbo dire chiaro – per non farla rimanere per aria – almeno due coordinate:
* la coordinata del soggetto
** la coordinata del tempo.
La coordinata dello spazio, in questo caso, non è necessaria, perché è già indicata dalla parola stessa. Chi si mondializza o si globalizza?
Si mondializza il mio pensiero, si mondializza la giustizia, si mondializza che cosa?
E da quando sta succedendo questa cosa?
A queste domande è necessario rispondere con precisione. Posso quindi correttamente usare alcuni termini, che rendono l’immagine più chiara ed in movimento.
Posso dire per esempio: “l’aumentata mondializzazione del mercato”.
Oppure: “il continuo crescente processo di mondializzazione del capitalismo”.
Soltanto così ho una immagine più chiara. Altrimenti sembra che la mondializzazione sia una cosa di oggi, mentre invece è stata iniziata almeno da 5 secoli… o perlomeno da più di due secoli, da parte di questo soggetto che chiamiamo civiltà capitalistica o capitalismo.
2. LA PAROLA FINANZIARIZZAZIONE
La finanziarizzazione è una “fase” del capitale;
il quale ha come fase-base la produzione di valore mediante l’impiego della forza lavoro.
Possiamo dire che oggi stiamo attraversando “una fase di alta finanzia-rizzazione del capitale” , nella quale sullo scambio D – M – D+ (danaro – merce – danaro più) prevale lo scambio D – D – D+ (danaro – danaro – danaro più).
3. UNA CONSIDERAZIONE, ANCORA SULL’USO DELLE PAROLE.
• La parola mondializzazione altra cosa non è che il famoso imperialismo in pieno sviluppo.
Se abbiamo usato il nome mondializzazione è stato solo per dire che questo imperialismo ha ormai raggiunto il mondo intero.
Grandi discussioni si possono aprire su questo. Però sempre imperialismo è.
• Nell’imperialismo debbo distinguere alcune cose. Esso non è un pezzo unico che non cambia. È fatto di vari pezzi, che devo distinguere per riuscire a vedere cosa sta cambiando.
Può essere utile – in questa ottica – distinguere almeno tre pezzi, proprio per vedere cosa è cambiato e cosa no. I tre pezzi sono:
a. la logica
b. i meccanismi
c. le conseguenze, in campo personale, sociale, ecologico, eccetera.
Cerco di spiegare queste parole:
a. La logica
La logica è quella cosa che determina il mio modo di vedere, di decidere, di agire. Se io ho come logica la produzione di un mondo dove tutti hanno diritto a vivere in modo egualitario, allora vedo le cose, decido, agisco da questo punto di vista e con questo punto di vista. Se io ho come logica il “far soldi”…
Una volta il capitalismo aveva come logica quella di aumentare il capitale investito. Questa logica rimane sempre nel sottofondo, mentre può cambiare l’obiettivo per cui le decisioni di investimento vengono prese.
Ad un certo punto della storia del capitalismo, la logica delle decisioni di investimento è diventata questa: il riunire sempre più fabbriche in mano a un numero di persone sempre più ristretto.
È quella che era stata chiamata la logica del capitale monopolistico. Un famoso libro di fine anni ’60, di Baran-Sweezy, l’aveva descritta molto bene.
Questa logica oggi è cambiata? A me sembra di no.
Semmai si è affinata maggiormente.
Posso dire dunque che la logica non è cambiata.
E quindi non si può dire: “oggi è cambiato il mondo… è cambiato tutto”. No.
Perché appunto la logica con cui il grande capitale prende le decisioni di investimento è sempre quella.
E – come sempre – questa logica è la via mondiale all’irrazionalità totale.
Tutte le altre cose che sentiamo dire sono storielle, che ci fanno continuamente leggere sui giornali, e magari vengono addirittura raccontate dai rapporti ufficiali dell’ONU.
b. I meccanismi
I meccanismi con cui l’imperialismo opera erano principalmente due:
• l’appropriazione delle risorse terrestri: dalle fonti di energia, alle materie prime;
• lo sfruttamento della forza lavoro.
Sono cambiati? Se ne sono aggiunti altri?
A me sembra di no. Sono sempre principalmente quei due.
Di differente c’è l’intensità e la ferocia.
• l’appropriazione delle risorse terrestri è diventata oggi la legge normale delle grandi corporazioni statunitensi. È la famosa “quinta libertà”: la libertà di appropriarsi e sfruttare le risorse di tutta la terra. Questa libertà, sì che è mondializzata, ma soltanto per loro.
La terza guerra mondiale, che ha provocato più di 22 milioni di morti tra il 1945 e il 1993, è stata fatta sempre in nome della difesa degli “intoccabili interessi americani nel mondo”…
Per le Corporations USA le materie prime e le fonti di energia sono “intoccabili interessi americani”. Ogni forma di nazionalismo è stata vista come attacco agli interessi americani.
Inutile spiegare. Basta conoscere un po’ la storia di questi quasi 50 anni.
L’appropriazione delle risorse terrestri, praticata in modo sempre più irrazionale e distruttivo, sta portando come conseguenza alla distruzione della biosfera (leggere in proposito l’intervento allegato di Giorgio Nebbia).
Tutto il problema delle risorse non rinnovabili non nasce certo perché “l’uomo” – come dicono – non ha coscienza eccetera eccetera. Nasce perché questo è un meccanismo del grande capitale.
• lo sfruttamento della forza lavoro è ormai diventato senza regole. La chiamano “deregulation”.
Senza più confini nazionali, il gioco fra le parti sociali in fabbrica è diventato impari, perché “il padrone se ne va” da un’altra parte.
Il “lavoro” non è più “un diritto con alcuni diritti”.
È solo una merce sul mercato mondiale.
Ciascuno può aggiungere qui quello che vede, sa, prova sulla sua pelle.
È un gioco al massacro. O – come dicono – al ribasso. Ci si accoda alle situazioni più basse.
NOTA
Da non confondere con i meccanismi principali, ci sono gli strumenti.
Gli strumenti principali sono tre:
* la ricerca scientifica e la tecnologia applicata a quella logica e a quei meccanismi. Alcuni dicono che questo è un meccanismo. Io penso che sia sempre uno strumento che comperano ed usano per i loro fini.
** la ricerca delle forme culturali. Cioè di produrre una cultura adeguata alle tre classi
– a quelli sotto per mantenerli ignoranti e apatici
– a quelli di mezzo per renderli servi
– a quelli di sopra perché siano convinti
*** la potenza delle armi sofisticate, che dà ancor oggi agli USA il predominio sul mondo, anche se hanno perduto l’egemonia economica e finanziaria.
c. Le conseguenze
Vorrei distinguere tra effetti e conseguenze, ma sarebbe un lavoro non adeguato alla brevità di queste riflessioni.
Ci sono diversi tipi di conseguenze
– sul piano personale
– sul piano politico
– sul piano sociale
– sul piano culturale
– sul piano religioso, ecc.
Enumerarle sarebbe almeno interessante. Ciascuno può farlo, perché sono le cose che vede, sente, prova, ogni giorno, se ha gli occhi un po’ aperti e se vive allo scoperto. (Eduardo Galeano ci descrive quello che lui vede nel brano “I desechables” riportato a pag. 69)
Scriverle qui sarebbe nocivo, perché eviterebbe a ciascuno di fare la fatica di elencarle.
Uno dovrebbe fare almeno l’elenco delle conseguenze che sente su di sé: dalla stanchezza aumentante per motivi esistenziali, per motivi relazionali, per motivi di fatica e di orario, per mancanza di ossigeno nell’aria, per l’aumentante violenza dappertutto… fino alle insopportabili nefandezze che ogni giorno vede.
L’importante è capire che sono conseguenze o effetti di un unico complesso causante.
Sono colpite istituzioni e cultura, salute e giustizia, uguaglianza e diritto a vivere, relazioni e famiglia, abitazione e tempi di trasporto…
Ognuno vede la distruzione delle persone, delle vite, della salute.
Ognuno vede la distruzione della democrazia (sia pur apparente) trasformando il tutto in burattini il cui burattinaio appare sconosciuto.
Ognuno vede la distruzione del pensiero razionale sotto l’impulso del pensiero unico e dell’unico modello di produttore-consumatore eterodiretto.
Ognuno vede la distruzione della biosfera.
Ognuno vede la distruzione delle varie forme di socialità precedente.
Ognuno vede la menzogna imperante, la stupidità aumentante, la a-nomia delle moltitudini ed il fondamentalismo di pochi.
Ognuno di noi, prete operaio, vede la distruzione della fede in cambio di una religione senza Dio, merce da teleschermo, oppio propinato e ricercato dalle genti senza speranza, distribuito da sacerdoti sempre sorridenti, usanti chiavi psicanalitiche per avere il potere sulle coscienze e riprodurne il consenso allo sfruttamento.
Ognuno vede…
Susan George ben riassume queste conseguenze con il termine CRIMINE PERFETTO. A conclusione di questa prima riflessione sull’uso delle parole, riporto un brano di P. Andruccioli sul Manifesto del 14 sett. ’97:
Susan George, la studiosa americana che da anni si occupa di problemi dello sviluppo e che da quest’anno collabora con il gruppo di Lisbona, parla della finanza come il luogo del “crimine perfetto”: un mondo oscuro ai cittadini (“non si può controllare ciò che non si vede”), in cui si perpetuano però crimini come la malnutrizione, i suicidi dei lavoratori espulsi dal processo produttivo, la disoccupazione, la fame. Si arriva al paradosso che le “persone votano contro i propri interessi” perché non capiscono più dove sta il nemico. Ricordando Marx, si potrebbe dire che l’Era della finanza ci fa passare dalla formula D-M-D (denaro – merce – denaro) a quella D-D-D, denaro – denaro – denaro, dove gli attori non hanno più una base e le transazioni di capitale si misurano in trilioni, con cifre seguite da 12 zeri. Dove va tutto questo denaro? E soprattutto che cosa potrà mai spaventare quel manipolo di uomini che si riunisce ogni anno a Davos per decidere le sorti del mondo intero?
B. UNA RIFLESSIONE SUI SOGGETTI IN CAMPO
Penso che non sia sufficiente ripetere che i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri sono sempre più poveri e sempre più tanti. Penso che occorra una riflessione per individuare i soggetti in campo, per costruire una analisi delle classi sociali e vederne il loro peso specifico ed il loro ruolo storico.
Penso che non sia neppure più sufficiente individuare
• da una parte i grossi gruppi finanziari foraggiati anche dalle OCT (come l’ONU chiama le organizzazioni criminali transnazionali), con tutti i loro servi e servizi;
• in mezzo gli stati nazionali (ridotti al minimo indispensabile), i partiti, i sindacati;
• dall’altra parte il resto del mondo proletario, sottoproletario, eccetera.
Penso ancora che non sia neppure sufficiente vedere le varie organizzazioni internazionali come oliatori di questo sistema, sostenute da una produzione di pensiero unico in tutte le varie dimensioni.
Occorre fare una riflessione più approfondita sugli schieramenti culturali e cioè i modelli di umano e di società che essi vogliono imporre, ed i modelli di umano e di società che i resistenti sanno formulare, proporre, realizzare.
So che è un discorso pericoloso.
I soggetti in campo si misurano certo su “reddito, occupazione, collocazione nella scala sociale”.
Però gli schieramenti si contrapporranno sui modelli di umano e di società che costituiscono la loro logica.
Marcos, nelle sue sette parole, riporta un brano di Tomàs Segovia. Lo riporto con un suo breve commento:
Per cominciare, ti supplico di non confondere la resistenza con l’opposizione politica. “L’opposizione non si oppone al potere ma a un governo, e la sua forma riuscita e compiuta è quella di un partito di opposizione; mentre la Resistenza, per definizione (ora sì!), non può essere un partito, non è fatta per governare a sua volta, ma per… resistere” (Tomàs Segovia. “Alegatorio”, México, 1996).
L’apparente infallibilità della globalizzazione si scontra con la caparbia disobbedienza della realtà. Nello stesso momento in cui il neoliberismo conduce la sua guerra mondiale, in tutto il pianeta si van formando gruppi di non conformisti, nuclei di ribelli. L’impero delle borse finanziarie si trova di fronte la ribellione di sacche di resistenza. Sì, sacche. Di ogni grandezza, di differenti colori, delle forme più differenti. Ciò che le rende simili è la resistenza al “nuovo ordine mondiale” e al crimine contro l’umanità che la guerra neoliberista commette. Nel cercare di imporre il suo modello economico, sociale e culturale, il neoliberismo pretende di soggiogare milioni di esseri umani, e di disfarsi di tutti quelli che non trovano posto nella nuova organizzazione del mondo. Però accade che questi “prescindibili” si ribellino e resistano contro il potere che vuole eliminarli.
Marcos può scrivere e dire queste cose perché gli zapatisti son riusciti a produrre un modello di umano e di società che non si contrappone “specularmente” al modello di produttore – consumatore eterodiretto ed isolato che viene imposto dal “pensiero unico”.
E sono riusciti a produrre non solo pensiero, ma anche realizzazioni concrete di questo modello.
So di “peccare” di culturalismo. E so anche che il fatto di ritenere il culturale una cosa che posso sviluppare in modo indipendente dall’economico e dal “politico”, è un fatto criticato e criticabile. Però voglio testardamente riaffermare che oggi la produzione di idee, di modelli culturali, è una produzione importante. Se non si producono idee e modelli culturali si rischia di resistere con fiato corto.
Insomma: nelle mie riflessioni a volte giungo a pensare che le nuove aggregazioni di “resistenti” verranno alla luce non solamente con atti di difesa, pur sempre necessari, ma soprattutto con la proposta visibile di nuovi modelli di umano e di società che non siano l’accettazione del modello di produttore – consumatore eterodiretto ed isolato che l’impero oggi impone.
C. UNA RIFLESSIONE SU CHI SONO IO IN QUESTO MOMENTO STORICO
In questa situazione mondiale io sono uno che è “dentro”.
Mi viene spesso alla mente quando sono andato – con l’associazione degli ex deportati – a visitare i campi di sterminio.
Un campo era stato costruito lungo la strada del paese che portava alla chiesa: proprio sulla strada, alla sinistra guardando la chiesa posta in fondo. E mi chiedevo come potesse la gente andare e venire dalla messa, senza accorgersi di quanto avveniva nel campo. O — se ne era cosciente — come potesse non far niente.
Pensando a me, in questa situazione mondiale, molte volte penso di essere su quella strada. E mi chiedo chi sono, cosa posso fare, cosa debbo fare per non essere complice.
In uno dei miei ultimi viaggi in Salvador ho sintetizzato il mio pensiero sul chi sono io e sul cosa posso fare.
Stavo vivendo uno dei momenti di maggiore sofferenza. In pochi mesi la situazione economica e sociale era precipitata.
Il Salvador è davvero una delle zone del mondo in cui si vedono chiari gli effetti e le conseguenze del neoliberalismo. Fin quando c’era l’esercito di liberazione in armi, gli effetti del cosiddetto aggiustamento economico, imposto alla fine degli anni 80 dal Fondo Monetario Interrnazionale, erano stati in qualche modo contenuti da questa opposizione armata. Dopo gli accordi di pace e dopo la vittoria dei fascisti di Arena, il Salvador era stato di fatto “venduto” dal presidente Cristiani e dalla sua cricca.
Infatti il Salvador è ormai quasi tutto “zona franca” dal punto di vista produttivo.
San Salvador è la capitale più violenta di tutto il Centro e Sud America. Una media di 23 omicidi al giorno in città. Licenziamenti di massa provocati dalle industrie nazionali, con tutte le conseguenze.
Ero tornato dopo 6 mesi ed avevo visto il disastro.
Dopo circa un mese di osservazione e di sofferenza, dovevo prendere la decisione sul cosa fare.
Prima avevo impostato il lavoro che vedeva come soggetti “i poveri al servizio dei più poveri”.
Ma, al mio ritorno, di “poveri” non ce n’era quasi più. Erano diventati quasi tutti “più poveri”.
Le classi sociali là si possono definire in cinque gruppi:
ricchi – ceto medio statale – poveri – più poveri – marginali – e infine desechables (cioè, quelli che si possono gettare via, come i rifiuti).
Avevo deciso di chiudere tutto il lavoro impostato nei 5 anni precedenti. Ne avevo discusso a lungo.
Alla fine ho scritto queste annotazioni, in cui ritrovo la risposta alla domanda “chi sono io in questa situazione mondiale”.
Il titolo era: INSOPPORTABILE – INDISPENSABILE – IMMATERIALE.
Ne riporto i brani che ritengo comprensibili:
INSOPPORTABILE INDISPENSABILE IMMATERIALE
Tre aggettivi, tra i molti che si potrebbero usare, e che iniziano con “in”, cioè NO. Tre aggettivi a cui metto un numero:
1. INSOPPORTABILE l’essere visti e il vedere
a. Insopportabile essere visti.
I poveri ti guardano. I più poveri guardano.
Insopportabili tutte e due.
* non riesco a sopportare, come già mi capitava in fabbrica ed in quartiere, che i poveri mi vedano, mi guardino.
Il loro sguardo è per me provocatore di immensa vergogna.
Tra me e loro il grande abisso del cibo, della casa, della cultura attiva. Incolmabile.
Peggio poi se mi guardano con speranza, amicizia, fraternità profonda.
Sento in me la vergogna del privilegio.
Privilegio del cibo; un bimbo che mi guarda mentre mangio, riposo, scrivo, parlo.
Insopportabile.
Sono stato nutrito di cibo, di amore, di capacità di relazione, ritmo, scrittura, pensiero attivo.
Loro sono stati nutriti di fame, di rabbia, di non relazione o di relazioni violente, di disordine, di analfabetizzazione, di pensiero passivo.
Questo è insopportabile e mi riempie di paura. Queste masse di poveri fanno paura…
** Non riesco a sopportare i più poveri che guardano.
Essi non ti guardano. Guardano solo. Il loro sguardo fisso nel vuoto. Gli occhi fermi, gonfi, vitrei. Mi ricordo di un fax in cui descrivevo questo.
Segno di grande espropriazione dell’umano, della grande marcia dell’umanità per acquisire il pensiero astratto ed esprimerlo in vari modi.
b. Insopportabile il vedere, ma anche l’udire. Che cosa?
La lista sarebbe lunga. E la parola “insopportabile” sarebbe insufficiente.
Tento qualche esempio:
* insopportabile vedere la fame, la disperazione, i modelli di vita imposti, la vita dei bimbi rotta fin da piccoli, con un unico modello da imitare.
** insopportabile fino al vomito il collegare queste cose con le decisioni di investimento. Il pensare che queste cose son decise in alto (Fondo Monetario, Banca Mondiale e loro servi) fa cambiare la circolazione del sangue.
*** insopportabile udire “da giorni mangiamo solo tortilla e sale”, “mi hanno licenziato e non so… mi porteranno via la casa….”, “il latte è aumentato a 7,25 colones al litro” (=2 ore di lavoro salariato, è come se da noi il latte costasse 16.000 lire al litro!), eccetera.
**** insopportabile udire le grida e i fischi e gli insulti delle bande giovanili, iceberg dell’ormai evidente decisione di abbandonare masse di persone al disfacimento.
***** …fino alla insopportabile per chiunque di noi visione di un bimbo di due mesi che sta per morire a causa di…
2. INDISPENSABILE l’uso preciso, continuo, rabbioso, profondo dell’intelligenza attiva
Di fronte a questa insopportabilità non mi sembra ci siano altre strade al di fuori che queste tre;
* la strada del far finta di niente; del dire che non si può far nulla, che non serve a nulla reagire, che – tanto – o si cambia tutto o non si può cambiare nulla, che quello che fai se lo riprendono subito loro; del dire e pensare che ciascuno è quello che è, e chiuso; che siamo tutti nella stessa barca e che non si ha tempo per…
** la strada dell’inabissarsi in questo abisso perdendosi in esso e lasciandosi morire in esso… Sapendo però che sempre si troverà un abisso più sotto, irraggiungibile da parte nostra, per ora.
*** la strada dell’uso spietato dell’intelligenza per creare – come si diceva una volta – segni di contraddizione, che siano memoria di una umanità tra gli umani, che siano contemporaneamente un nuovo modello luminoso ed obbligatoriamente breve del vivere sociale…
Avendo io scelto qui questa strada, in essa debbo soffrire e servire. Individuare le nuove creazioni ed i nuovi soggetti, “ripartire loro il cibo al tempo opportuno”. Per far questo occorre un cuore viscerale ed una intelligenza freddissima e puntuale. Ripartendo dai punti di base della osservazione scientifica della realtà, dando strumenti, inventando strade, programmando a lungo periodo…
3. IMMATERIALE
L’uso freddo e preciso della ragione scientifica, a questo punto della storia
dell’umanità e della San Roque, dice che è finito il tempo delle cose dette al numero 2.
Meglio chiudere, dice la ragione.
È prudente, intelligente, meno opprimente.
Se ci si ferma a quello che si vede, oggetto dell’osservazione scientifica, questo è certissimo: meglio chiudere.
Cosa vuoi fare con questi poveri che diminuiscono ogni giorno di numero e di ore non espropriate dalla vendita della forza lavoro e che vanno ad ingrossare le fila dei più poveri e dei rifiuti ?
Non si può far niente.
Non ne cavi un ragno dal buco, non riesci a fare 2 + 2… Un attimo cheabbandoni la tensione, un attimo che te ne vai e tutto precipita o sembra precipitare nel girare a vuoto o nel litigio…
La ragione dice che è meglio farli tornare a casa e noi tornare a casa.
Se si guarda a quello che si vede , è così.
Se si guarda a quello che con fede esiste, allora le cose cambiano.
Ci sono delle cose che non sai come spiegare, ma che esistono: una di queste è l’energia inesauribile, inedita, che i poveri e i più poveri hanno dentro: l’energia del non rinunciare al cammino nuovo assaporato e visto.
«Perché – dicono meravigliati – vuoi chiudere tutto? Proprio adesso che abbiamo incominciato un cammino nuovo…?» Non riesco a capire da dove vengono queste energie. Solo la lettera prima di Paolo ai Corinti (1° capitolo, dal versetto 26 in poi), ha le parole giuste per spiegare queste cose, che in questi anni abbiamo vissuto… E che anche questa volta sono stato “costretto” a vivere.“Fijense…” comincia Paolo.
Fijense è una traduzione latino americana molto bella del verbo “rendersi conto”; vuol dire “fissati bene in testa”, “poni molta attenzione”…
«Guardate tra voi, fratelli. Chi sono quelli che Dio ha chiamati? Vi sono forse tra voi, dal punto di vista umano, molti sapienti o molti potenti o molti personaggi importanti? No! Dio ha scelto quelli che gli uomini considerano ignoranti, per coprire di vergogna i sapienti; ha scelto quelli che gli uomini considerano deboli, per distruggere quelli che si credono forti. Dio ha scelto quelli che, nel mondo, non hanno importanza e sono disprezzati o considerati come se non esistessero, per distruggere quelli che pensano di valere qualcosa».
Questa è una questione immateriale. Direi – con altre parole – spirituale. Forse meglio si può dire irrazionale. Non raggiungibile con la pura ragione di un gruppo umano che osserva scientificamente la realtà.
Fijense. Mettetevi bene in testa l’immaterialità…
CONCLUSIONE
A conclusione di queste mie tre riflessioni dopo il convegno di Camaldoli ’97 sulla mondializzazione dal titolo “economia globale e giustizia sulla terra: sfida del terzo millennio”, metto le parole di Marcos:
Ma non soltanto sulle montagne del sudest messicano si resiste e si lotta contro il neoliberismo. In altre parti del Messico, in America Latina, negli Stati Uniti e nel Canada, nell’Europa del trattato di Maastricht, in Africa, in Asia e in Oceania le sacche di resistenza si moltiplicano. Ciascuna di esse ha la sua propria storia, le sue differenze, le sue uguaglianze, le sue richieste, le sue lotte, le sue conquiste. Se l’umanità ha ancora speranza di sopravvivere, di diventare migliore, queste speranze sono nelle sacche formate dagli esclusi, da quelli in soprannumero, da quelli che si possono gettar via.
La figura sopra riportata si costruisce disegnando una borsa. Però non bisogna farci molto caso. Ci sono tanti modelli di resistenza quanti sono i mondi del mondo. Così si può disegnare la borsa come piace di più.