“CHI LOTTA E SOFFRE SU UNA ZOLLA DI TERRA
LOTTA E SOFFRE PER TUTTA LA TERRA”
Viareggio 1998

Interventi


 

Mi rendo conto sempre di più che nessuno di noi è uguale all’altro: come le nostre facce, così le nostre storie, le nostre conclusioni.
E senza pretendere che l’altro sia uguale a me. Anche se sono molte le cose che ci uniscono, anche se sono comuni le motivazioni che ci hanno spinto alle nostre scelte, diverse sono le nostre vite, le nostre avventure.
Sono convinto che è necessario guardare ogni storia, diversa dalla mia, con la stessa serenità di Paolo.
Nella controversia con Pietro, riguardo al lavoro (lavoro sì – lavoro no, 1ª Cor. cap. 8-13) sapeva dire pressappoco così: le nostre opinioni sono diverse, ma, vi prego, non cambiate perché lo stesso Spirito che a voi ha suggerito uno stile, a me ne ha suggerito un altro; ma concedetemi che anch’io non cambi stile.
In queste parole c’era tutta una sicurezza, insieme a un grande rispetto per gli altri.
Quasi tutti noi abbiamo passato 3 periodi:
a) Prete “normale”, con un certo stile di vita, e il breviario detto “per obbligo”.
b) Crisi del “sacro” e rifiuto di un certo tipo di “sacro”, perché tutto è “sacro”.
c) Ritorno, dopo la pensione, a un certo stile di vita di prete “normale”, o, prendendo l’esempio di Sirio, salto del muro a marcia indietro. Ma senza pentimento.
Un giorno un amico prete mi volle presentare a un illustre Vescovo: questo è il prete che ha fatto l’operaio. E lui: Bravo! Bravo! Ti sei pentito; hai fatto bene perché…
Dopo che ebbe finito il suo lungo discorso dove si immedesimava nel Padre della parabola che accoglie a braccia aperte il figliol prodigo, potei rispondere: Guardi che Lei non ci ha capito proprio niente, perché io non sono affatto un pentito.
Ci rimase male, poveretto!
Così mi sono ritrovato a fare il prete “normale” e da prete normale mi son provato di nuovo a prendere in mano il breviario. Non è stato semplice.
Lo stile di vita era ormai decisamente cambiato.
Una volta, per me, recitare il breviario era un obbligo da soddisfare per scaricare la coscienza: oggi non poteva più essere così.
Ma quei salmi come erano lontani dal mio modo di pensare: molti erano soltanto una richiesta di aiuto, ossessiva, lagnosa, petulante, lontana dalla mia vita.
Era un rivolgersi a Dio, e considerarlo soprattutto un guaritore.
E poi quell’insistenza: liberami dai miei nemici! Ma io non ho nemici, non ne devo avere, non ne voglio avere! Ogni uomo per me deve essere un fratello, non un nemico.
E ogni volta dovevo ripetere: quanto siamo lontani!
Finché un giorno è venuta la chiave di lettura: guarda che la parola di Dio è filtrata attraverso storie vere, di uomini veri; non è certo cosa campata per aria.
Se tu riesci a scoprire la storia di quell’uomo che ha scritto quel salmo, vi troverai la storia di migliaia di uomini che vivono oggi, con gli stessi problemi.
È la storia di Gino, malato terminale, che qualche volta invoca Dio, e altre volte lo bestemmia, perché il dolore fa fare ogni cosa.
O la storia di Alberto che ha conosciuto da vicino le prepotenze e le carognate di chi si sente “padrone”.
O la storia di Giacomo che ha perso il posto di lavoro perché gli hanno reso la vita impossibile: sognava solo un mondo più giusto dove non ci fosse più chi muore di fame e chi muore di indigestione.
Sono le stesse prepotenze e violenze che hanno subito gli autori di questi salmi.
Oggi vediamo solo le fotocopie di quelle storie: sono cambiati i musicisti, ma la musica è sempre la stessa.
Quei salmi rivelano soprusi, carognate, derisioni, prepotenze, e anche rabbia, disperazione, impotenza.
Oggi, rileggendo quelle storie, sono costretto a vedere accanto a me migliaia di persone che vivono le stesse storie, le etesse disperazioni. Storie vere: non posso non pregare per queste.
Un po’ diverso è stato quando i salmi rivelavano non più storie personali, ma di un intero popolo e il grido di aiuto era: o Dio, salva Israele dai suoi nemici.
La tentazione era sempre la medesima: mettersi dalla parte degli arabi e dire: o Dio, salva il popolo arabo da Israele.
Il caso limite era il salmo 137 (Sui fiumi di Babilonia, là sedevamo piangendo…), che termina con: “Figlia di Babilonia, devastatrice, beato chi ti renderà quanto ci hai fatto. Beato chi afferrerà i tuoi piccoli, e li sbatterà contro la pietra”.
La tentazione era la stessa: mettere queste parole in bocca agli arabi.
No, questo è troppo, dicevo. Siamo troppo lontani dallo stile del Vangelo. Non è possibile che sia parola di Dio.
È una bestemmia. Ma ero solo un ingenuo; le stesse violenze e prepotenze che hanno subíto i singoli le hanno subíte anche popoli interi. E in misura impressionante.
Oggi vediamo le storie dei nostri giorni, storie di desaparecidos, storie di popoli interi costretti a fuggire per salvarsi, e poi le cosiddette “pulizie etniche” e le violenze delle multinazionali… e l’elenco potrebbe continuare a lungo.
Sempre a danno di milioni di uomini, e quasi sempre per onorare il “dio dollaro”. È sempre stato così.
Pregando tu devi pensare a “queste” prepotenze. Quel salmista non sapeva di fare la foto delle prepotenze future.
No; il grido di quel salmista non era una bestemmia: tanta era la rabbia e la disperazione e l’impotenza verso il prepotente, autorizzato a commettere qualsiasi tipo di sopruso.
Forse erano le stesse prepotenze che il medesimo popolo di Israele aveva commesso verso i popoli vinti.
Ma se ne rendevano conto? Forse non era la legge del vincitore. Quello che, a mio avviso, è più tragico, è il fatto che anche con quella lezione non sono riusciti ad imparare.
Oggi, rileggendo quel salmo, mi sale alla gola la stessa rabbia, e impotenza, e spero di non bestemmiare se ripeto con tutta consapevolezza la stessa frase, con riferimenti precisi alla storia di oggi.
Con una sola postilla: solo così, dopo aver provato sulla propria pelle la stupidità della violenza, potranno capire, e forse cambiare strada. Se poi Tu, che dici di voler salvare tutti, vorrai salvare anche quella gente, fai pure. Non vorremmo scombussolare i tuoi piani.
Mi rendo conto sempre di più che quando abbiamo provato di persona cos’è la prepotenza, non possiamo più stare dalla parte del prepotente.
Tutto questo si riflette anche nella preghiera.
Questa non deve essere alienante: gli occhi son rivolti al cielo, ma i piedi rimangono sempre poggiati sulla terra.

Concludendo:

1) Noi non siamo fatti in serie, e le nostre storie, pur avendo molte cose in comune sono diverse.
Guardo con molto rispetto altre storie che sono giunte a conclusioni diverse dalla mia. Io posso solo raccontare la “mia” storia.
Paolo ci vedeva giusto: lo stesso Spirito che a voi ha suggerito una cosa, a me ne ha suggerita un’altra. Non ci meravigliamo, né ci arrabbiamo per questo. E non diciamo che la preghiera è sempre alienante.
2) Tutti noi eravamo andati in quel mondo dei “cattivi” per portare qualcosa di buono.
Nessuno di noi sa quanto abbiamo dato. Speriamo bene di non conoscere mai i risultati.
Ma di una cosa siamo certi: abbiamo ricevuto molto di più di quanto abbiamo dato. Lo abbiamo detto troppe volte. È diventato un ritornello.
Dopo la crisi del sacro, dopo la permanenza per molti anni in questo mondo, ne esci fuori rinnovato.
Quel mondo che dice di non voler pregare, non solo ti ha iniziato a un nuovo stile di vita, ma ti ha anche insegnato a pregare, in un modo che neppure quei 12 anni di seminario ti avevano insegnato.
Sono gli scherzi dello Spirito.

Dino Fabiani


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