“AMA IL TUO SOGNO SE PUR TI TORMENTA:
PASSIONE DELLA LIBERTÀ / OBBLIGO DELLA LIBERAZIONE”

 Viareggio 1999


 

 Prima parte:

• movimenti storici
• correnti di pensiero dal 1500 ad oggi, qui in Europa occidentale


A. PREMESSA

Parlare di libertà è come parlare di “vita”.
È un concetto che è emerso poco per volta, ampliando via via i suoi significati.

• È come il concetto di salute.
Prima si guardava alla malattia e perciò la salute era uguale a “medicina”. Tant’è vero che il ministero di salute è quello che gestisce la medicina, gli ospedali, i medici….
Prima il concetto di salute era “assenza di malattia”.
Adesso si comincia a distinguere salute da medicina.
La salute è collegata non solo con l’assenza di malattia, bensì è collegata alle potenzialità di vita, all’espressione delle potenzialità di vita… Addirittura la si collega con la VERITA’: “non essere malati di un concetto sbagliato della vita” …e via via.

• Così è all’incirca per il concetto di LIBERTÀ.
Prima era collegato con l’assenza di schiavitù, con la liberazione dalla schiavitù.
Poi poco per volta si è passati a chiedersi che cosa farne della non schiavitù… Si è passati dal concetto di liberazione da…
al concetto di libertà di… e poi

al concetto di libertà di chi e per che cosa…
Prima era collegata a una condizione;

adesso è collegata al soggetto ed alla sua opera.
Appare così chiaro che è necessario sapere che ci si inoltra in un terreno vastissirno, senza limiti.

 

B. UNA SINTESI STORICA


1. Là dove l’aspetto ideologico della libertà traspare in tutta la sua nettezza è certo nella rivoluzione francese del 1789: durante più di mezzo secolo v’era stata come una stratificazione di pensieri, di idee, di critiche che aveva condotto ad una visione esatta della situazione del paese, della sua composizione sociale, delle sue esigenze reali e profonde.
L’analisi in tal modo compiuta contribuì alla formazione di quella carica ideologica che accompagnò la rivoluzione francese in tutte le sue fasi e che si concretizzò essenzialmente in una parola, “libertà”.
Una parola che avrebbe avuto lunga vita e la cui dispersione nel mondo non avrebbe fatto dimenticare che essa era risuonata alta e forte, per la prima volta in Francia “liberté, fraternìté”.
2. La libertà — quella per cui è stato detto che il secolo XIX fu il secolo della “religione della libertà” — non era un concetto semplice e, soprattutto, i suoi contenuti non potevano non variare in rapporto alle condizioni dei paesi in cui essa si affermava: da ciò il bisogno di un pensiero senza posa operante nella speranza di renderla sempre più viva ed attiva.
3. Ma pronunciare la parola “libertà” non significa avere la libertà: questa va difesa e, ancora, posta in rapporto ad altri fattori, in primo luogo l’uguaglianza. Difenderla e renderle un senso compiuto fu quanto uomini come Robespierre o Saint-Just, fra molti altri, seppero realizzare, anche se in questo compito l’ideologia rivoluzionaria della libertà veniva a complicarsi, poiché, per la difesa di questa, fu necessario violare la stessa libertà: una contraddizione drammatica che, presentatasi, per la prima volta, durante l’ultima decade del secolo XVIII, s’è affacciata ancora in più e più occasioni.
4. Ma mentre l’ideologia liberale perde la carica rivoluzionaria che aveva avuto alle sue origini (pur conservando, è indubbio, tutta la sua forza morale), avanza — affiancandosi per tutto un certo tempo a quella liberale — urta nuova ideologia: quella socialista. Dal primitivo modello del “socialismo utopico”, che trovò in Saint-Simon quello che si può definire il suo esempio più compiuto, attraverso i successivi passaggi con Owen e Fourier, si giunse a quello che, per opposizione, è chiamato il “socialismo scientifico” con i suoi due grandi fondatori, Marx ed Engels e con i loro continuatori ed esegeti fino ai nostri giorni.
5. La comparsa della nuova ideologia non era semplicemente il frutto delle elaborazioni mentali di due o più uomini; era tutta la società europea che mutava attraverso la formidabile spinta della rivoluzione industriale che portava — sia pur con differenti intensità — le economie dei vari paesi d’Europa a mutare carattere, trasformandosi da rurali in industriali.
Una mutazione del genere aveva mille conseguenze; la più importante è senz’altro quella rappresentata dal formarsi di una classe e di una coscienza operaia che si vedeva miserabilmente sfruttata e che, nell’organizzazione dei suoi interessi nel quadro del socialismo, vedeva una possibilità di difesa dei propri diritti e, al momento opportuno, di conquista del potere.
6. Come il concetto di libertà aveva subìto continuamente un processo di affinamento e di revisione, così il socialismo ed il marxismo non potevano non avere i loro esegeti; da Trotskij a Mao, da Lenin a Rosa Luxemburg, a Mariàtegui, a Gramsci un lungo lavorio ha consentito all’ideologia socialista di conservare la sua vitalità.
Ma se esso si è compiuto all’interno di quella che si può definire, al limite, l’ortodossia, non sono mancati gli “eretici”; tra questi, in primo luogo, gli anarchici, desiderosi di congiungere all’eguaglianza tra gli uomini la libertà individuale più assoluta, quella libertà che appariva compromessa nell’ideologia marxista.
Da Kropotkin a Reclus, a Bakunin, a Malatesta, giù fino ai nostri giorni, la schiera anarchica proporrà la sua lotta contro la “libertà” dello stato borghese per la libertà individuale, contro ogni forma di oppressione, anche se determinata da uno stato comunistico.

 

C. L’IDEA DEL SOGGETTO E DELLA SUA LIBERTÀ


è — per noi in Europa — legata a quello che chiamiamo ILLUMINISMO.
A volte si parla dì illuminismo senza sapere…
Abbiamo un’idea molto confusa… Non sappiamo neppure come si chiama Voltaire, né tanto meno cosa ha detto o scritto…
L’epoca moderna è stata un grande cammino dell’umanità… Da Galileo a Freud… eccetera.
Un’epoca di liberazione e di schiavizzazione, un’epoca che deve ancora dare i suoi frutti.
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Alcune pagine possono aiutarci a vedere almeno alcuni momenti.

1. Il primo illuminismo.
2. Dal 1750: il secondo illuminismo o illuminismo radicale.
3. La Rivoluzione francese – Robespierre.

 

1. Il primo illuminismo

L’incremento demografico, le trasformazioni dell’agricoltura, l’espansione del commercio internazionale, l’intensificarsi delle attività manifatturiere indicavano che il movimento della società aveva assunto un andamento decisamente ascendente, di cui i contemporanei non potevano evidentemente prevedere tutti i futuri sviluppi. Essi compresero, però, che le possibilità di espansione economica e di miglioramento sociale erano divenute troppo ampie per l’organizzazione politica e gli orientamenti intellettuali prevalenti in Europa.
a • La convinzione di dover liberare l’umanità dal peso di credenze e istituti politici e religiosi che la ragione mostrava ormai inadeguati alle esigenze della società animò il vasto movimento intellettuale che prese il nome di Illuminismo. Forti delle conquiste compiute dal pensiero scientifico del secolo precedente, gli illuministi furono in grado di affrontare ogni aspetto della vita sociale indipendentemente da qualsiasi considerazione per l’autorità e per la tradizione e combatterono una battaglia per la riforma della società che, per la sua ampiezza, per il suo coraggio spregiudicato e per i presupposti completamente laici da cui muoveva, non aveva precedenti nella storia. La maggior parte degli illuministi professò il deismo, una religione senza rivelazione e senza dogmi, fondata sulla generica fede nell’esistenza di una divinità creatrice dell’universo, che li portò a condannare le atrocità compiute nelle guerre religiose dei secoli precedenti e a sostenere la necessità della più ampia tolleranza.
Oltre lo stesso deismo si spinse l’inglese David Hume (1711-1776), che nella sua Inquiry Concerning Human Understanding (1748) portò la critica della religione rivelata fino alla negazione della provvidenza e nella Natural History of Religion (1757) sostenne che ogni religione scaturiva dai timore e dalla superstizione, approdando così a un completo scetticismo. Ma ancor più gravidi di conseguenze furono gli sviluppi del pensiero politico degli illuministi. Nell’Esprit des lois (1748), una vasta ricerca che riconduceva le diverse forme di governo alle condizioni naturali dei popoli, Charles de Secondat, barone di Montesquieu (1689-1755), auspicò che la monarchia francese, al fine di evitare il dispotismo, adottasse la divisione dei poteri seguendo il modello della monarchia inglese. L’infaticabile azione pubblicistica di Francois-Marie Arouet, detto Voltaire (1694-1778), per l’ìntroduzione di libertà civili, di coscienza, di parola, di stampa, di religione, nell’ambito della monarchia assoluta, trovò la sua più alta espressione nel Traité sur la tolérance (1763), che denunciò all’opinione pubblica l’ingiusta condanna a morte di un protestante francese, Jean Calas, e costrinse il parlamento di Tolosa a rivedere il processo.
b • La grande Encyclopédie ou Dictionnaire raisonné des sciences, des arts et des métiers redatta da un gruppo guidato da Denis Diderot (1713-1784) e da Jean Le Rond d’Alembert (1717-1783), coi suoi diciassette volumi di testo e sette di illustrazioni, pubblicati fra infinite difficoltà pratiche e politiche tra il 1751 e il 1772, espresse meglio di ogni altra impresa l’aspirazione degli illuministi ad una organizzazione della società fondata sui lumi del sapere, libera dall’ignoranza e dai pregiudizi tradizionali.
Alla redazione dell’Encyclopédie parteciparono anche economisti come Francois Quesnay (1694-1774), autore di un celebre trattato, il Tableau économique (1758), in cui si propose di dimostrare che la vita economica era regolata secondo leggi rigorose.
Un potente strumento di questa diffusione fu la massoneria, la prima società segreta a carattere internazionale della storia moderna. Essa aveva avuto origine all’inizio del secolo in Inghilterra e il suo rituale e i suoi simboli, la squadra, il compasso, la livella, il tempio di Salomone, erano quelli delle vecchie corporazioni di muratori. I suoi adepti si riunivano in logge e si impegnavano al segreto più assoluto. Nel Settecento la massoneria si estese a tutta l’Europa e venne assumendo un orientamento ideale nettamente illuministico: essere massoni significava aderire senza riserve agli ideali della tolleranza e della fraternità umana, entrare a far parte di un sodalizio internazionale che prefigurava, nei suoi rapporti interni basati sul reciproco affetto e rispetto, il futuro radioso di un’umanità affratellata e imita nell’adorazione del grande architetto dell’universo. L’ombra di mistero che avvolgeva i riti della massoneria, il suo razionalismo velato di misticismo attrassero nelle sue fila moltissimi proseliti, nobili, borghesi, diplomatici, uomini di teatro e di mare. Logge massoniche sorsero ovunque, a Parigi nel 1726, in Russia nel 1731, a Roma nel 1735, e persino nelle Americhe e nelle lontane Indie. Massoni furono, fra molti altri, Montesquieu, Voltaire, Benjamin Franklin, Federico 11 di Prussia; massone fu anche il grande musicista Wolfgang Amadeus Mozart (1750-1791) che nel dramma austero e insieme giocoso del Don Giovanni (1787) diede la più alta espressione artistica ai nuovi valori morali !della cultura settecentesca.
c • La diminuzione dell’ analfabetismo favorì la trasmissione delle idee illuministiche anche fra la piccola borghesia e gli artigiani.
Ciò rese possibile la diffusione sempre più ampia di giornali e periodici, dallo Spectator inglese che tirava 20-30 mila copie, al Mercure francese, ai periodici che nella seconda metà del secolo apparvero nelle città tedesche, in Austria, in Polonia, in Russia. La regolare trasmissione di informazioni periodiche venne così a sostituire le approssimazioni dell’informazione orale o della memoria popolare, e l’abitudine a una lettura frequente contribuì indubbiamente alla formazione di un atteggiamento mentale più aperto alle novità e ai cambiamenti.
Questa diffusione così ampia delle idee e della mentalità illuministica non poteva non toccare in qualche misura anche le corti e gli ambienti di governo. Almeno per un certo periodo il pensiero e l’attività degli illuministi, col loro programma di un’educazione progressiva del genere umano, non sembrarono comportare gravi pericoli per le monarchie europee.
d • D’altra parte gli aristocratici e i grandi ecclesiastici, anch’essi in genere provenienti dalle fila dell’aristocrazia, non solo difesero i loro privilegi di fronte ai tentativi di riforma dei sovrani ma rivendicarono un maggior controllo sulla corona richiamandosi alle tradizionali prerogative degli “stati”, gli organi rappresentativi d’origine medievale. Se in Inghilterra la rivoluzio‘ne del XVII secolo aveva portato a un accordo tra la monarchia e il parlamento che rappresentava una oligarchia aristocratica e borghese, nell’Europa continentale l’aristocrazia oppose all’assolutismo più o meno illuminato dei sovrani una tenace resistenza, che avrebbe raggiunto, in Francia, una piena quanto precaria vittoria.

2. Dal 1750: il secondo illuminismo o illuminismo radicale

a • Dal quadro che abbiamo tracciato appare come dopo le guerre degli anni 1740-1763 i maggiori Stati europei e i loro rapporti col resto del mondo abbiano conosciuto profonde tensioni, che in diversi casi si sarebbero risolte in rotture radicali. Questa situazione generale di crisi e di conflitto contribuì all’affermarsi di nuovi orientamenti e atteggiamenti intellettuali che, a partire dalla seconda metà del Settecento, avrebbero profondamente modificato la concezione che gli uomini avevano del proprio posto nel mondo naturale e sociale. Diversamente da quanto era avvenuto nella prima metà del secolo, dopo le guerre del 1740-1763 la natura e la società non apparvero più agli intellettuali europei come organismi dotati di una propria armonia, ma piuttosto vennero configurate come il teatro di laceranti contrasti.
Nel celebre dialogo Le neveu de Rameau, scritto tra il 1761 e il 1774, Diderot sostenne che nel mondo naturale tutte le specie si divorano fra di loro, così come si affrontavano tra di loro, cercando di distruggersi, i diversi ceti della società. Con opere come L’homme machine (1748) di Julien Offray de La Mettrie, o De l’esprit, (1758) di Claude Adrien Helvetius, o il Système de la nature (1770) di Pani Henry Dietrich d’Holbach, la riflessione sull’uomo e sulla natura assunse accenti apertamente materialistici.
b • Negli stessi anni la riflessione filosofica sui risultati delle scienze naturali portava il filosofo prussiano Immanuel Kant (1724-1804) a negare ogni valore alla metafisica tradizionale: egli criticò le prove filosofiche dell’esistenza di Dio e nella Critica della ragion pura (1781) sostenne che era possibile conoscere soltanto la realtà dei fenomeni, quali si presentavano alla percezione dell’uomo attraverso le dimensioni del tempo e dello spazio. Estendendo la sua critica alla morale tradizionale, nella Critica della ragion pratica (1788) Kant affermò che le regole della condotta individuale non potevano essere dettate dall’autorità esteriore della religione o dalla pressione dell’ambiente sociale, ma dovevano piuttosto scaturire da una profonda disposizione interiore, un “imperativo categorico” che dettava a ogni uomo le leggi del suo comportamento. La rivolta contro i valori morali e sociali tradizionali raggiunse in Germania un’alta espressione letteraria col movimento intellettuale dello Sturm und Drang (Vento e tempesta): nella tragedia I masnadieri il poeta Friedrich Schiller esaltò l’assoluta libertà dell’individuo capace di creare da sé le proprie norme di condotta, mentre nel romanzo I dolori del giovane Werther (1774) Wolfgang Goethe narrò ai suoi numerosi e commossi lettori il destino di incomprensione e di infelicità che toccava alle personalità eccezionali.
c • Ma il maggior contributo al rinnovamento della sensibilità politica e morale venne dalla Francia, dove il ginevrino Jean Jacques Rousseau (1712-1778) diffuse la propria convinzione che la società del suo tempo era degenerata, da una originaria libertà naturale, in un asservimento alle autorità politiche e alla morale convenzionale. Nel Discorso sull’origine e i fondamenti dell’ineguaglianza tra gli uomini (1754) Rousseau sostenne che la civiltà univa alla raffinatezza dei costumi e delle manifestazioni artistiche la corruzione morale e la ineguaglianza tra gli uomini e determinava necessariamente un confitto tra gli impulsi degli individui verso la purezza e l’eguaglianza originaria e le regole artificiose imposte dalla società. Nella sua più famosa opera politica, Il contratto sociale (1762), Rousseau cercò di indicare la soluzione di questo conflitto proponendo un’organizzazione della società nella quale l’individuo sacrificasse egoismi e pregiudizi acquisiti dalla tradizione al bene superiore délla collettività. In questo modo Rousseau gettò le basi di un nuovo pensiero politico che avrebbe ispirato i rivoluzionari della fine del secolo, mentre attraverso i suoi romanzi, come La nouvelle Eloìse e Émile, diffondeva tra i lettori di tutta Europa la condanna della società aristocratica e l’affermazione della originaria eguaglianza tra gli uomini.
d • In questo clima intellettuale si svilupparono le prime tendenze di tipo comunistico, un comunismo che per condannare le ingiustizie del presente si volgeva a un passato mitico e invocava la comunità dei beni che sarebbe stata praticata dall’umanità alle sue origini.

3. La Rivoluzione francese – Robespierre

Non sto a scrivere cose risapute.
Interessante è la Dichiarazione dei Diritti dell’uomo e del cittadino, che, seguendo l’esempio delle colonie americane, affermava la libertà personale di tutti i cittadini, la loro uguaglianza difronte alla legge…
Il progresso ed i limiti di questa dichiarazione ognuno li sa. L’ideale era il motto: liberi in quanto eguali. Poi, poco per volta, si è arrivati all’eguali di fronte alla legge… Però le condizioni materiali erano diseguali. Ma questo venne scoperto dopo.

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Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino (1789)

I Rappresentanti del Popolo Francese, costituiti in Assemblea Nazionale, considerando che l’ignoranza, l’oblio e il disprezzo dei diritti dell’uomo sono le uniche cause delle sciagure pubbliche e della corruzione dei governi, hanno stabilito di esporre, in una solenne dichiarazione, i diritti naturali, inalienabili e sacri dell’uomo, affinché questa dichiarazione, costantemente presente a tutti i membri del corpo sociale, rammenti loro incessantemente i loro diritti e i loro doveri; affinché maggior rispetto ritraggano gli atti del Potere legislativo e quelli del Potere esecutivo dal poter essere in ogni istante paragonati con il fine di ogni istituzione politica: affinché i reclami dei cittadini, fondati d’ora innanzi su dei principi semplici ed incontestabili, abbiano sempre per risultato il mantenimento della Costituzione e la felicità di tutti. In conseguenza, l’Assemblea Nazionale riconosce e dichiara, in presenza e sotto gli auspici dell’Essere Supremo, i seguenti diritti dell’uomo e del cittadino:
Art.1. Gli uomini nascono e rimangono liberi e uguali nei diritti. Le distinzioni sociali non possono essere fondate che sull’utilità comune.
Art. 2. Il fine di ogni associazione politica è la conservazione dei diritti naturali ed imprescrittibili dell’uomo. Questi diritti sono la libertà, la proprietà, la sicurezza e la resistenza all’oppressione.
Art. 3. Il principio di ogni sovranità risiede essenzialmente nella Nazione. Nessun corpo o individuo può esercitare un’autorità che non emani espressamente da essa.
Art. 4. La libertà consiste nel poter fare tutto ciò che non nuoce ad altri: così, l’esercizio dei diritti naturali di ciascun uomo ha come limiti solo quelli che assicurano agli altri membri della società il godimento di questi stessi diritti. Questi limiti possono essere determinati solo dalla Legge.

L’ideale appare dal grande discorso di Robespierre del 17 piovoso dell’anno secondo. Robespierre vede i nemici che stanno per distruggere la rivoluzione. Il vecchio è lontano dal morire. Azzanna il nascituro con la disperazione di chi sa di avere ancora molto da perdere. Robespierre perde, ma ha ragione. Perde nello scontro con un nemico, che ha lucidamente riconosciuto e del quale in questo discorso ha descritto la potenza. Perde e diventa lui il sanguinario, l’incarnazione del male. Diventerà di moda, dopo, farneticare di altre rivoluzioni cruente… “dimenticando” che violento è stato il Nemico.

Qual è lo scopo cui tendiamo? Il pacifico godimento della libertà e dell’uguaglianza; il regno di quella giustizia eterna le cui leggi sono state incise non già sul marmo o sulla pietra, ma nel cuore di tutti gli uomini.
Vogliamo un ordine di cose nel quale ogni passione bassa e crudele sia incatenata, nel quale ogni passione benefica e generosa sia ridestata.
Noi vogliamo sostituire, nel nostro paese, la morale all’egoismo, l’onestà all’onore, i principi alle usanze, i doveri alle convenienze, il dominio della ragione alla tirannia della moda, il disprezzo per il vizio al disprezzo per la sfortuna, la fierezza all’insolenza, la grandezza d’animo alla vanità, l’amore della gloria all’amore del denaro, le persone buone alle buone compagnie, il merito all’intrigo, l’ingegno al “bel esprit”, la verità all’esteriorità, il fascino della felicità al tedio del piacere voluttuoso, la grandezza dell’uomo alla piccolezza dei “grandi”; e un popolo magnanimo, potente, felice a un popolo “amabile”, frivolo e miserabile; cioè tutte le virtù e tutti i miracoli della Repubblica a tutti i vizi e a tutte le ridicolaggini della monarchia.
Noi vogliamo, in una parola, adempiere ai voti della natura, compiere i destini dell’umanità, mantenere le promesse della filosofia, assolvere la provvidenza dal lungo regno del crimine e della tirannia.
Per amare la giustizia e l’uguaglianza, il popolo non ha bisogno neppure di una virtù tanto grande: gli basterebbe poter amare se stesso.
Tutto lo sviluppo della nostra teoria si potrebbe limitare a questo, se doveste governare la nave della Repubblica solo nella calma. Ma la tempesta infuria: e il momento della rivoluzione, in cui vi trovate impone anche un altro compito.
La grande purezza dei fondamenti della rivoluzione francese, la sublimità stessa del suo oggetto, è precisamente ciò che ha fatto la nostra forza e la nostra debolezza. La nostra forza, perché ci dà la superiorità della verità sopra l’impostura, e dei diritti dell’interesse pubblico sopra quelli degli interessi particolari. La nostra debolezza, perché allea contro di noi gli uomini viziosi, tutti coloro che meditavano nel loro cuore di spogliare il popolo e tutti quelli che vorrebbero averlo potuto spogliare impunemente; sia quelli che hanno respinto la libertà come una calamità personale, sia quelli che hanno abbracciato la rivoluzione come un mestiere e la Repubblica come una preda. Da qui la defezione di tante persone ambiziose o avide, le quali, dopo la partenza, ci hanno abbandonato lungo il cammino, per il motivo che non avevano iniziato il viaggio con il nostro medesimo scopo.
I nemici dell’interno non sono forse alleati con i nemici dell’estero? E gli assassini che lacerano la patria all’interno, gli intriganti che comprano le coscienze dei mandatari del popolo, i traditori che le vendono, i libellisti mercenari che sono assoldati per disonorare la causa del popolo, per far morire la virtù pubblica, per attizzare il fuoco delle discordie civili e per preparare la controrivoluzione politica per mezzo della controrivoluzione morale: tutti questi individui sono forse meno colpevoli o meno pericolosi dei tiranni di cui stanno al servizio?
Ma fino a quando il furore dei despoti sarà chiamato giustizia, e la giustizia del popolo barbarie o ribellione? Come si è teneri verso gli oppressori e inesorabili verso gli oppressi!
Chiunque non odia il crimine non può amare la virtù.
Tutti coloro che interpongono la loro dolcezza parricida tra quegli scellerati e la spada vendicatrice della giustizia nazionale rassomigliano a quanti si gettassero tra gli sgherri dei tiranni. Tutti gli slanci della loro falsa sensibilità mi sembrano soltanto sospiri verso l’Inghilterra e verso l’Austria.
E se no, per chi mai dunque si intenerirebbero? Forse per quei duecentomila eroi, il fiore della nazione, mietuti dal ferro dei nemici della libertà o dai pugnali degli assassini monarchici o federalisti? No certo: non erano che dei plebei, dei patrioti. Per avere diritto al loro tenero interesse occorre invece essere per lo meno la vedova di un generale che ha tradito venti volte la patria; per ottenere la loro indulgenza bisogna quasi provare che si sono fatti immolare diecimila francesi, proprio come un generale romano, per ottenere il trionfo, doveva aver ucciso, mi sembra, diecimila nemici.
Bisogna avere del sangue freddo per ascoltare il resoconto degli orrori commessi dai tiranni contro i difensori della libertà. Le nostre donne orribilmente mutilate; i nostri figli massacrati proprio sul seno delle loro madri; i nostri prigionieri costretti ad espiare in orribili tormenti il loro eroismo commovente e sublime. E si osa denominare orribile macello la punizione — troppo lenta — di alcuni mostri che si sono ingrassati con il sangue più puro della nostra patria!


CONCLUSIONE

Come conclusione di questa prima parte, mi sembra utile ricordare ciò che scriveva Paulo Freire:

«Aprono la strada al disamore non i disamati,
ma coloro che non amano,
perché amano solo se stessi.
Chi prende l’iniziativa della tirannia
non sono i tiranneggiati, ma i tiranni.
Chi prende l’iniziativa dell’odio
non sono gli odiati,
ma quelli che per primi hanno odiato.
Chi prende l’iniziativa della negazione degli uomini
non sono coloro la cui umanità è stata negata,
ma coloro che la negarono, negando anche la propria.
Chi apre il processo alla violenza
non sono coloro che sono divenuti deboli
sotto la pressione del forte,
ma i forti che li hanno indeboliti.
L’importante è che la lotta degli oppressi si faccia,
e così si superi la contraddizione
in cui essi si trovano.
E che questo superamento sia la nascita dell’uomo nuovo:
non più oppressore,
non più oppresso,
ma uomo che libera se stesso».

Cesare Sommariva

La seconda parte di questo intervento è pubblicata sul numero successivo (qui).


 

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