“AMA IL TUO SOGNO SE PUR TI TORMENTA:
PASSIONE DELLA LIBERTÀ / OBBLIGO DELLA LIBERAZIONE”

 Viareggio 1999

Interventi



 

1. Martin Luther King, mentre colpito da mano razzista stava morendo, sussurrò: “Finalmente libero!”. Hanno un suono paradossale tali parole nella bocca di colui che lottò con tutte le sue forze contro la discriminazione degli uomini di colore, che credette fortemente nella possibilità dell’uguaglianza e della libertà. Ora la presenza di quella libertà è confessata nella tragica esperienza del sacrificio. C’è, per noi, un diretto richiamo alla croce, alla libertà incontrata e donata da Cristo, appunto nel paradossale momento dell’abbandono, della sconfitta, della morte ingiusta. Qui chiaramente si fa riferimento ad una libertà altra da quella con cui facciamo dicibilmente i conti quotidianamente nel campo sociale e della politica, ben diversa dall’indicibile – se non nell’ora della fine – libertà interiore. Insomma, si può essere schiacciati, offesi, vinti, umiliati, uccisi… e sentirsi liberi.
Negli incontri dei PO del gruppo veneto è emerso anche questo aspetto del tema del nostro convegno nazionale e ci pareva importante riproporlo come aspetto non secondario, accanto agli altri.
Cos’è la libertà? È una meta, una dimensione sperimentata nei frammenti di liberazione realizzati, una dimensione sognata all’interno delle situazioni di schiavitù di cui siamo vittime o spettatori.
Non è facile leggere il presente o il passato prossimo: è dono di profeta, ma i trent’anni di storia che chiudono questo secondo millennio dell’era cristiana sono stati talmente ricchi di avvenimenti succedutisi vorticosamente — dei quali siamo stati spettatori e in parte protagonisti —, che è possibile, e forse utile coglierne per accenni alcuni fondamentali tratti.
Si sono bruciate velocemente alcune tappe esaltanti: –
• il ‘68, evocato oggi per lo più allo scopo di demonizzarlo, ma in realtà “tempo propizio” per molti di noi, e per molti altri, al fine di rimettere in discussione consolidati ruoli, di rilanciare addormentate utopie (voglia o non voglia, vero motore del progresso umano), di pretendere diritto alla partecipazione e alle scelte politiche;
• il Concilio Vaticano Il, che riconosce la necessità di ripensare in termini inediti il rapporto chiesa / mondo (“Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore” – Proemio della Gaudium et spes), che apre alle diverse culture la possibilità di interpretare il messaggio cristiano, che timidamente intravede la chiamata evangelica a passare da una chiesa per i poveri ad una chiesa povera;
• le grandi lotte della classe operaia negli anni ‘70, la spinta alla solidarietà internazionale.
Sono stati assorbiti drammi e scandali che sembravano mandare in frantumi una democrazia niente affatto adulta (le mafie, tangentopoli, il terrorismo). Il superamento dei Muri e dei “blocchi”, delle ideologie, troppo frettolosamente considerato — anche se ciò ricordiamo senza nostalgie —, come l’emancipazione verso la vera libertà. In realtà la “vera libertà” maschera il trionfo del grande impero.
Ci troviamo, in occidente, nel regno dell’unum indistinto, in cui non si capisce bene quale sia la destra e quale la sinistra, in cui nessuno sembra più responsabile di nulla. Regno dell’omologazione, dominato dalla tecnica, dal potere economico e militare. Oggi è il Kosovo l’altare sul quale si celebra il rito del grande impero. E l’impotenza frena di più l’iniziativa critica e il grido di giustizia (l’anticristo di Soloviev?). E, per assurdo, mai come adesso “loro”, quelli dell’impero, si appellano alla libertà: il neo-liberismo, il libero mercato, l’iniziativa bellica per dare libertà…).
Non è buona cosa riscontrare che sulle ceneri di una politica spenta perché affidata al grande imperatore, la chiesa sia in rilancio: tutta etica e tuttavia compromessa. Dove l’annuncio di liberazione?

 
2. L’esperienza dei preti operai ha condiviso in questi anni la ricerca di libertà di quanti, segnati dalle ferite e dalle sconfitte, spinti dall’utopia,in vari modi hanno cercato di custodire un tesoro in vasi d’argilla. Se dovessi trovare una figura che rappresenta il PO italiano — se fosse possibile di molte diversità creare un soggetto — penserei a Geremia:
• Il senso dell’inadeguatezza. “A a a, Domine Deus, ecce nescio loqui, quia puer ego sum” (Ger. 1,6). L’esperienza di grandi intuizioni e la consapevolezza del limite. E la convinzione che proprio i “piccoli” sono aperti al desiderio e alla conoscenza di vera libertà;
• Il peso della lotta. “Costitui te hodie… ut evellas et destruas, et disperdas et dissipes, et aedifices et plantes” (Ger 1, 10). La strada della liberazione verso la libertà come singoli e come popoio esige che qualcosa si distrugga — certo anche nella chiesa! — e qualcosa si costruisca;
• La responsabilità. “In diebus illis non dicent ultra: Patres comederunt uvam acerbam, et dentes filiorurn obstupuerunt…” (Ger 31, 29), versetto collegato direttamente a Ger 1, 10. Oltre la massificazione, nella lucida riscoperta dell’individualità.
Distruggere e costruire: due aspetti di un’esperienza che, se condivisa con i compagni di lavoro dal versante politico, dal versante ecclesiale ha significato e significa rimessa in discussione di consolidati schemi comportamentali, di fronte ai quali anche per noi sono indefinibili le alternative. Ma non abbiamo trovato chi accettasse di rimettere in discussione, alla luce del vangelo e dalle domande che emergono dalla vita e dal lavoro, sedimentate certezze e sicurezze:
• La scelta del PO è destrutturante la figura del prete parrocchiale, la cui vita è scandita da riti, liturgie, catechismi e sacramenti, spesso gesti che rispondono a richieste estranee alla fede. Il prete stipendiato perché – lo dice l’accordo chiesa / stato – anima il quartiere e organizza la vita dei giovani e degli anziani…
Il sacerdozio cattolico non è la riedizione del sacerdozio veterotestamentario, superato da quello di Gesù di Nazaret e dal sacerdozio comune dei credenti? C’è bisogno di recuperare l’umanità/laicità del prete, alla luce della kénosis, del suo farsi fratello e compagno di strada: la chiesa non è alternativa al mondo, dovrebbe essere segno di comunione tra gli uomini; la fede non è alternativa alla vita, dovrebbe essere ispirazione di impegno comune.
• Il vivere in fabbrica, nella cultura operaia rifiutata dalla chiesa per motivi tutt’altro che evangelici, ripropone la necessità di purificare il messaggio cristiano dalla cultura in cui per secoli è stato tradotto, salvando le due libertà: la libertà di Dio e quella dell’uomo. Tutti e sempre siamo discepoli — uno solo è il Maestro. Nessun uomo è Dio, nessun progetto umano è il Regno di Dio.
• È necessario passare dall’ecclesiocentrismo allo spiritocentrismo, dalla fissità dell’istituzione alla mobilità di una Presenza che spesso precede la chiesa, e germina grido di libertà, sete di giustizia e di fratellanza, gesti d’amore fuori dell’ambito cristiano.
• Il cristiano adulto non può che essere protagonista della storia. Se crede nel Regno di Dio deve essere costruttore di una città dell’uomo il più possibile vivibile, e in cui si cerchi di vincere ogni povertà, ogni emarginazione, ogni sperequazione.
Cristiano: testimone in esodo, sempre straniero, mantenendo il sogno della irraggiungibile libertà.
 
3. I tre parametri biblici, qui utilizzati in senso metaforico, indicano il cammino della libertà, nella nostra esperienza:
• l’esodo da un molo; l’esodo dalle chiesuole; l’esodo dall’ubriacatura delle parole maiuscole (Salvezza, Amore…), che non riescono a dare risposte al bisogno delle piccole salvezze, dei piccoli gesti d’amore; l’esodo dalla massificazione spesso nascosta anche nel termine “comunità”; l’esodo dall’eteronomia deresponsabilizzante…
• l’essere stranieri nella stessa terra promessa (Lev. 25, 23): finché viviamo in un mondo emarginante il nostro posto non può essere che fra la gente di confine; spesso stranieri nella stessa chiesa;
• il sogno della Gerusalemme celeste che, nell’ultima pagina delle scritture cristiane, è definita senza tempio (la fede purificata dalle appartenenze) e senza corrotti.
Non del tutto libero, fra gente che cerca libertà, ho bisogno di sognare.

Gianni Manziega


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