VIVERE L’INTERNAZIONALE, L’INTERCULTURALE, L’INTERRELIGIOSO
Incontro internazionale dei PO europei / Barcellona, 7-9 giugno 2003


 

1. Collettivo fiammingo

Vivere l’internazionale


Che lo vogliamo o no, dobbiamo fare i conti con l’internazionale.
• Al lavoro: la concorrenza mondiale è un fatto, non solo tra le diverse imprese, ma in seno ala stessa impresa, nelle sedi diverse, con il rischio di trasferimento all’estero. Le conseguenze sono: tensioni e insicurezze concernenti il lavoro.
• Nel quotidiano: basta prendere il tram a Bruxelles per rendersi conto. Ad Anversa vivono 261 nazionalità sul totale delle 285 censite nel mondo. I nostri vicini di quartiere non sono più soltanto belgi. Non è cosa ovvia per tutti invitare il vicino straniero, però se lo si invita, viene!
• Nel politico: si ha l’impressione che non abbiamo più nulla da dire. Le decisioni sono prese a livello europeo e mondiale. Un solo paese le prende a livello militare. Si tratta di una nuova dittatura?
L’attualità internazionale ha una diretta influenza su di noi. Ad es.: la situazione in Israele ha come conseguenza che non si può passare tranquillamente nel quartiere ebraico di Anversa. Altro es.: la posizione del Belgio nella guerra contro l’Iraq ha avuto una ricaduta positiva tra Belgio e Musulmani.
Come possiamo reagire?
È necessaria l’informazione. Però possediamo poca informazione e quella che riceviamo è troppo unilaterale. Sì siamo informati dai fautori di un’altra globalizzazione, ma ancora non si vede a cosa questo conduca concretamente. Constatiamo, invece, la velocità con la quale si realizzano le decisioni coloro che governano l’attuale globalizzazione.
È certo che l’internazionale comincia da ciascuno di noi, nelle relazioni con i nostri vicini.
Pertanto occorre da parte nostra collaborare con i movimenti internazionali. Però ciò che si vive nel quadro del sindacalismo europeo non è molto incoraggiante…

 

Vivere l’inter-culturale

 
Ciò a cui noi miriamo non è tanto l’integrazione, quanto l’assunzione della diversità. Infatti l’integrazione è troppo spesso concepita come obbligo per l’altro di comportarsi come noi. È difficile immaginare il vicinato senza diversità.
In certe parrocchie constatiamo che l’apporto di altre confessioni cristiane o di altre religioni è vissuto positivamente. Però constatiamo anche che le difficoltà di convivenza tra nazionalità diverse si trova anche all’interno dei singoli gruppi nazionali.
Verifichiamo anche che l’avanzare massiccio dell’Islam nei nostri quartieri ingenera paura nei residenti.
 

Vivere l’inter-religioso

 
La nostra riflessione si è limitata ai nostri rapporti con l’Islam. Esistono iniziative dove cristiani e musulmani si ritrovano. Di fatto constatiamo che l’apertura avviene più in direzione dell’Islam che non del cristianesimo. Possiamo chiederci come l’Islam interpelli la nostra fede, però attualmente non siamo in condizione di dire granché.
Forse bisogna concentrarsi sulle cose comuni per collaborare sul piano dei valori cristiani e musulmani?
Sempre più ci troviamo a confrontarci con i non credenti: Constatiamo una rottura netta e profonda con la tradizione cristiana da parte dei giovani.


 

2. Collettivo vallone

Vivere l’internazionale


Una constatazione amara: nei paesi dell’Unione Europea i responsabili politici, i media, gli intellettuali di sinistra non hanno saputo fronteggiare la terribile crisi sociale che investe le classi popolari e che fa del mondo operaio un mondo minoritario, dimenticato, ignorato… Siamo costretti a constatare:
• La degradazione delle condizioni dell’ambiente e del lavoro; una condizione che mira a spezzare tutte le forme di resistenza e di azione collettiva.
• Lavori resi più ingrati in funzione della produzione.
• L’aumento degli incidenti sul lavoro e delle malattie professionali.
• Lavoratori messi in concorrenza sotto la pressione della disoccupazione.
• Lavoro sempre più precario: interinale, impieghi di bassa qualificazione, bassi salari…

 

Vivere l’inter-culturale


Per un secolo la questione sociale e la questione operaia erano unite nel perseguimento delle conquiste sociali. Dopo gli anni ’80 gli stessi partiti di sinistra si allineano sugli obiettivi della redditività nella linea del nuovo ordine economico internazionale:

• L’organizzazione del lavoro inasprisce le tensioni tra operai qualificati e non qualificati, tra anziani sindacalisti e i giovani. Quello che su tutto prevale è la spinta verso la riuscita individuale.
• In una società che svaluta il lavoro manuale è squalificata l’appartenenza al mondo operaio. I genitori spingono i figli a scuola nella speranza che essi possano uscire dalla loro condizione a fronte dei figli che non sopportano il loro ambiente di origine.
• Paradosso: sono i membri delle classi superiori (insegnanti, artisti, ricercatori) e non i figli di operai che rivendicano i tradizionali valori del mondo operaio quali: l’internazionalismo, la solidarietà.
È pertanto urgente: rianimare i luoghi popolati; rivalorizzare il lavoro operaio; ricreare legami tra mondi sociali vicini; recuperare il potenziale di lotta dei giovani svantaggiati verso un impegno politico e sindacale positivo.
 

Vivere l’inter-religioso


La storia dei PO conserverà senza dubbio le tracce di una evoluzione della loro pratica, del loro pensiero di fronte alla religione e alla fede.

• I vecchi parlano di scristianizzazione. Il Card. Suhard parlava più di 50 anni fa di ricristianizzare il mondo operaio. Noi poniamo la questione oggi: abbiamo capito la profondità della scristianizzazione?
• I più giovani sperimentano per noi l’indifferenza delle giovani generazioni verso la fede. Noi siamo in un mondo operaio e in società secolarizzata. Ci vorranno altri 50 anni per misurarne la profondità?


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