REINVENTARE LA VITA: TRA CONTINUITA’ E DISCONTINUITA’
Incontro nazionale PO / Bergamo / 28-30 aprile 2005



Quanto è difficile la via della profezia. Lo sa solamente chi cerca di non soccombere in momenti difficilmente comprensibili, come i nostri. Bisogna cercare le radici che vivono nel “silenzio”, come dice Roberto Sardelli ne L’orecchio di Dionisio, p. 226. Sono anche le radici di tutte le persone di cui scrive Raniero La Valle in Prima che l’amore finisca. È per queste radici viventi che don Sirio Politi ha voluto la rivista Pretioperai: affinché nulla cada nell’oblio.
Anch’io, nel mio piccolo, in questo nascondimento, ho scoperto la mia vocazione.
Sono arrivata al pensionamento lavorando in Calabria, nelle campagne di piccoli proprietari. Spesso lungo la strada mi sono ritrovata con gli operai forestali di Longobucco, tra la Sila greca e la Sila grande, dove i sassi cadono appena piove, ed i rovi e le erbacce crescono attorno ai villaggi. I tanti alberi piantati ci proteggono, ma nessuno ci ha dato una mano per fare buone strade, per i quali utilizziamo i sassi dei nostri monti.
È duro quando la giornata non passa mai perché non c’è molto da fare. Ma bisogna resistere, perché una giornata senza pane, anche per la propria famiglia, sarebbe interminabile. E poi… “beato chi può non emigrare”.
Siamo in una dolorosa angoscia. Ci hanno promesso aiuti per una forestazione più produttiva; ma da quali interessi partono queste promesse? La nostra sofferenza non ci permette di vedere chiaro. Io posso solo dirvi che sono qui in mezzo a tutto ciò…
Con i miei 71 anni di età e 400 euro di pensione al mese, vivo questa solidarietà con quelli che non sanno se un giorno arriveranno alla pensione.
Da giovane, non volendo essere suora vestita di nero, come pullulavano nell’immediato dopo guerra, mi sono orientata verso gli istituti secolari approvati da Pio XII. Poi, nel 1963, mi sono ritrovata a piangere presso la tomba di papa Giovanni XXIII. Allora frequentavo a Roma una scuola di teologia per sole donne. Poi ho scoperto le comunità di base, la teologia della liberazione, i problemi vivi dell’umanità, il lavoro duro degli operai e che si poteva sognare una chiesa tutta ministeriale.
Mi sono ritirata in Calabria a Longobucco (CS), facendomi un eremo in una casa circondata da un piccolo uliveto, lasciato a tre chiesine di campagna (Destro – Manco – Ortiano).
Qui si lavorava a giornata. Sistemate le frasche della potatura che servivano per il focolare di casa, bisognava attendere la primavera per la monda e la legatura delle vigne. Poi c’erano gli orti estivi ed infine la raccolta delle olive. A stento si avevano segnate le 51 giornate lavorative, andando spesso a verificare presso l’ufficio di collocamento. Poi i padroni chiedevano altre giornate di lavoro, ma senza l’impegno dei contributi. Sembra che il destino del sud sia quello di doversi accontentare, ma io non lo accettavo volentieri, sognando l’arrivo di un grande cambiamento.
Mi sono state di grande aiuto alcune letture, vivendo qui dove il popolo è ancora sottomesso alla “sacralità”. Ma vi è anche un popolo della sequela che ama e intravede profeti.
Gioacchino da Fiore diceva che “il vero monaco una cosa sola riterrà sua: la cetra del suo canto e della sua speranza”. Da Thomas Merton a Dossetti, a Vinoba, emerge un monachesimo che è anche visione profetica di una politica altra e di un mondo che ha la chiamata e la possibilità di diventare diverso.

Maria Delfina Rossano


 

Share This