INCONTRO NAZIONALE 2006 PO E AMICI
“A 40 anni dal Concilio: dov’è la Chiesa dei poveri?”

 

Anche a Iesa, paese dei boschi del contado di Siena è arrivata la notizia della prima enciclica di Papa Ratzinger e dal primo momento dell’annuncio del tema “Dio è Amore” quel prete dei boschi, che poi è il sottoscritto, ha avuto subito un momento di approvazione. Ci siamo!, ha detto dentro di sé, l’Amore di Dio e del prossimo è tutto il Vangelo! È senz’altro un buon inizio! Dopo la pubblicazione dell’enciclica abbiamo assistito subito alle approvazioni e alle critiche, alcune sincere e altre mosse da preconcetti. Ho saputo che un religioso, parlando a delle monache di clausura, l’aveva portata alle stelle; tanti erano gli aggettivi che descrivevano l’enciclica. C’era cattivo odore di incenso. Ma normale. In un convento di monache di clausura… Per altri era normale anche il contrario. La stessa cosa può provocare reazioni esattamente opposte. Succede sempre così! Mi sono imposto di essere libero nel giudizio.
Senonché, in questo periodo era avvenuta una cosa che in me aveva lasciato una traccia. È tutto merito di Roberto Fiorini che nella rivista “Pretioperai” aveva espresso la sua grande simpatia per Simone Weil. Per me era stato un invito a riprendere in mano alcuni libri (gli scritti di Simone Weil) che erano finiti insieme a molti altri che affollano le nostre case. Erano tutti sullo stesso argomento dell’enciclica. In modo particolare, due volumi “Attesa di Dio” (Rusconi ed.) e “L’Amore di Dio” (Borla ed.) avevano portato allo scoperto quello che bolliva nell’anima di questa donna. Non era cristiana (di nome) perché non aveva voluto ricevere il Battesimo, legata com’era al suo popolo ebreo che non voleva rinnegare ma innamorata pazza di Dio, di Cristo, di tutto il Vangelo, dei Sacramenti e anche delle liturgie cattoliche … La chiesa era, purtroppo, il grande ostacolo.
Aveva incontrato un prete (P. Perrin) e tra i due c’era stata una grande stima e rispetto. Scrivendo a lui diceva: “C’è un ostacolo assolutamente insormontabile all’incarnazione del cristianesimo, ed è l’uso di due brevi parole: anathema sit . Non il fatto che esistano ma l’uso che se n’è fatto fino ad ora. È anche questo che mi impedisce di varcare le soglie della Chiesa”. “L’ostacolo non era soltanto il ricordo di momenti storici assai tristi della storia della chiesa che, volere o no, lasciano una traccia, ma anche il modo attuale della vita della chiesa la teneva lontana.
Questa donna, nata nel 1909 a Parigi, morta nel 1943, in un sanatorio, non poteva sapere che nell’ultimo Concilio quelle due parole non sarebbero più state usate. Questa donna aveva scoperto e saputo coniugare insieme l’amore di Dio e del prossimo fino a lasciare l’insegnamento della filosofia nei licei per andare a lavorare come semplice operaia nelle officine per stare accanto agli ultimi e per provare sulla propria pelle cosa sia il lavoro duro.
Aveva scritto: “Il Vangelo non fa alcuna distinzione fra l’amore del prossimo e la giustizia. Siamo noi ad avere inventato la distinzione fra giustizia e carità. È facile capirne il perché: la giustizia, come noi la intendiamo, dispensa dal dare colui che possiede. Se ciò nonostante egli dà, ritiene di aver fatto un’opera buona. Quanto a chi riceve, si sente o dispensato da ogni gratitudine o a ringraziare servilmente, secondo il proprio concetto di giustizia”… “L’amore per il prossimo è l’amore che scende da Dio verso l’uomo. È anteriore a quello che sale dall’uomo verso Dio. Dio è ansioso di scendere verso gli sventurati” (da “Attesa di Dio”). Aveva scritto ancora: “Tutto ciò che esiste è sorretto in egual misura dall’amore creatore di Dio … Oggi non è sufficiente esser santi; è necessaria la santità che il momento presente esige, una santità nuova, senza, anch’essa senza precedenti …Un nuovo tipo di santità è qualcosa che scaturisce d’improvviso, una invenzione …Il mondo ha bisogno di santi che abbiano genio come una città dove infierisce una peste ha bisogno di medici. Dove c’è necessità c’è obbligo” (da Attesa di Dio).
Potremmo dire che tutti gli scritti di questa donna sono come un trattato sull’Amore di Dio, antecedente all’enciclica di Papa Ratzinger da chi ha fatto la grande scoperta del senso della vita non come una cosa empirica o fascinosa ma come la realtà più bella che c’è nella vita.
Così, con tante buone intenzioni, ho preso in mano l’enciclica. La prima sensazione è stata quella di trovarmi di fronte ad un trattato di teologia, (e Papa Benedetto è noto come un buon teologo), ma un trattato assai freddo, come può essere un testo di matematica o poco più. La seconda parte dell’enciclica, poi, è tutta dedicata a descrivere i modi concreti di esercitare la carità e, schematicamente, mi sembra poter ridurre a due punti precisi:
1) Il giusto ordine della società è compito della politica. La frase che da molte parti è stata sottolineata è: “Uno stato che non fosse retto secondo giustizia si ridurrebbe ad una grande banda di ladri”.
2) La carità (dove per “carità” non si intende solo l’elemosina ma come l’anima che dà vita al corpo) è compito della Chiesa ed il servizio della carità non è certamente di secondaria importanza. Conseguenza: l’amore ha bisogno anche di organizzazione.
I due punti sono abbastanza chiari: ne siamo tutti convinti. Il primo in modo particolare è chiarissimo. Non c’è bisogno di spiegazioni: la storia che stiamo vivendo è una testimonianza viva che il Papa ha ragione.
Ma è il secondo punto che mi fa venire qualche sospetto:
a) Che la carità sia essenziale per la chiesa e che questa carità abbia bisogno anche di organizzazione non c’è dubbio. Ma quanta insistenza su questa organizzazione! Non mettiamo al primo posto quello che è secondario. Cristo Signore ha parlato dell’amore e tutto il Vangelo è un inno all’Amore; ma non ha parlato di organizzazione. Questo, per Lui non era la cosa più importante;
b) In due punti l’enciclica parla del marxismo (27 e 31b) e ne parla come “sogno svanito” e come “filosofia disumana”. Potremmo anche essere d’accordo, viste le conseguenze a tutti note. Senonché, l’enciclica parla, ancora due volte, pure di “globalizzazione” e ne parla con toni completamente diversi, in termini asettici, dando la sensazione di non volerne prendere le distanze. “La Chiesa non può e non deve prendere nelle sue mani la battaglia politica per realizzare una società più giusta possibile. Non può e non deve mettersi al posto dello stato. Ma non può e non deve neanche restare ai margini nella lotta per la giustizia …La società giusta non può essere opera della chiesa, ma deve essere realizzata dalla politica…” (28a). Ed ancora: “Se questo stare insieme suscita incomprensioni e tensioni, tuttavia, il fatto di venire, ora, in modo molto più immediato a conoscenza delle necessità degli uomini costituisce soprattutto un appello a condividere la situazione e le difficoltà …D’altro canto, ed è questo un aspetto provocatorio e al contempo incoraggiante del processo di globalizzazione …il presente mette a disposizione innumerevoli strumenti per prestare aiuto umanitario ai fratelli bisognosi… e la sollecitudine per il prossimo tende così ad allargare i suoi orizzonti al mondo intero”. (30a)
Con tutto il rispetto, questi discorsi li abbiamo ascoltati già molte altre volte proprio dagli esponenti di multinazionali e sono stati discorsi moralisti per salvare la faccia ed apparire come benefattori dell’umanità: “Più ricchezza, più benessere per tutti”. La realtà è un’altra, da potersi constatare molto facilmente: i ricchi sono sempre più ricchi, e i poveri sempre più poveri. Il segno dei tempi più scandaloso è che oggi il venti per cento del mondo vive utilizzando l’ottanta per cento delle risorse mondiali. E senza farsene un problema. Il tenore di vita del Nord del pianeta a confronto con il Sud del mondo grida vendetta al cospetto di Dio. Chi può, tra noi del Nord del mondo, non sentirsi in colpa?
Un giorno, ed era il 2 luglio 1949, ci fu una scomunica per i comunisti. Per la verità, in quel caso c’era almeno una certa scusa… plausibile: dicevano di voler costruire una società più giusta senza Dio e senza Chiesa. Almeno erano sinceri!
Oggi, al contrario, c’è gente che cerca di farsi vedere mentre va a baciare la mano al Papa e si autodefinisce difensore dei principi cristiani. Siamo nella falsità più completa. Noi non diciamo di lanciare ancora scomuniche, e non solo perché non servirebbero più a niente, ma perché non sono dettate dal Vangelo. Cristo Signore non ha mai scomunicato nessuno, ma dopo aver detto “Beati i poveri”, ha anche aggiunto: “Guai a voi, ipocriti!”. “Guai a voi, ricchi!”.
Eppure, oggi, oltre ai cristiani laici, sono un numero stragrande di preti, e vescovi, e teologi che sono convinti che il capitalismo sia una nuova religione e il denaro un nuovo “dio”.
E la Chiesa? Già don Luigi Sturzo diceva: a volte la Chiesa si appoggia al potere per rafforzare la propria indipendenza, ma in realtà rende un servizio a quel potere. Allora, ho dovuto concludere: sono belle le cose che l’enciclica dice, ma sono importanti anche le cose che non dice.
Con questi pensieri che mi hanno irritato non poco, ho ripreso in mano testi sull’Amore di Dio di persone messe prudentemente ai margini dalla Santa Chiesa di Dio, e vi ho trovato non solo testi di teologia, ma il calore umano di gente che è stata investita dall’amore di Dio e lo ha vissuto con gioia. Primo tra tutti questi testi il “ Canto all’amore ” (Cittadella ed.) di Ernesto Cardenal; testo che, senza paura oserei mettere a fianco del Cantico delle creature di S. Francesco. Il piccolo libro è esaurito nelle librerie, ma vorrei pregare la casa editrice di stamparlo ancora, e sarà il più bel commento all’enciclica del Papa.
Scrive Thomas Merton nella prefazione: Ernesto Cardenal fu novizio al Getsemani per due anni e io sapevo dei suoi appunti e dei suoi poemi. Mi parlava delle sue idee e delle sue meditazioni. Seppi anche della sua semplicità, della sua fedeltà alla vocazione, della sua fedeltà all’amore. Non avrei mai immaginato che un giorno avrei scritto un prologo alle semplici meditazioni che lui scriveva in quei giorni e neppure che, leggendole (quasi dieci anni dopo) le avrei trovate così chiare, così profonde, così completamente mature. Qui c’è qualcosa di più di una dottrina sistematica: c’è una intuizione della profonda verità della vita cristiana: il cristiano è unito a Dio in Cristo dall’amore.
E Cardenal scriveva: Dio è amore. Anche l’uomo è amore perché creato a sua immagine e somiglianza. Siamo un’invenzione dell’amore e siamo stati creati per amare. Siamo fili conduttori di corrente ad alta tensione. Dobbiamo permettere che la sua corrente corra attraverso di noi: essere trasmettitori di amore… Dio è un Grande Artista che non si ripete né si plagia. Una foglia non si ripete, né si ripetono le impronte digitali di una persona, e neppure un’anima si ripete. Tutta la creazione è piena di voci, e ogni voce è una preghiera…
A questo punto mi sono detto: Dino, tu hai sbagliato tutto. L’enciclica ha detto solo alcune cose; non poteva dir tutto. Probabilmente il Papa si riserva di parlare ancora in altri documenti. Per il momento è nato il fondamento dell’edificio.
Cardenal diceva: “L’amore è l’unica legge che regge l’universo: è la legge di coesione che unisce tutte le cose” (da “Canto all’amore” ). Di questo, pure il Papa ne è convinto. Sta però il fatto che il NOM (Nuovo Ordine Mondiale) della dottrina Bush è tutto costruito su un materialismo pratico (cambiano i suonatori ma la musica è sempre la stessa).
“Un prete belga, Michel Schooyam, professore a Lovanio, ha scritto un libro, tradotto in italiano (ed. Paoline 2000) con un titolo forte: Nuovo disordine mondiale e con un sottotitolo provocatorio. La grande trappola per ridurre il numero dei commensali alla tavola dell’umanità. È, di fatto, questa la drammatica situazione mondiale? Ci sono seri motivi per pensarlo”. (Giuseppe Agostino).
Se tutto questo è vero, il Papa dovrà parlare. Tacere sarebbe un peccato di omissione, contrario al Suo comandamento “Andate e predicate”; significherebbe fare il gioco di quella gente. Tutta l’enciclica sarebbe una serie di parole vuote che non servirebbero a niente. Sarebbe anche un implicito chieder perdono per errori del passato.
Per il momento c’è solo da sperare che, come diceva Dante Alighieri “l’amor che move il sole e l’altre stelle” possa portar luce e coraggio al Papa, alla chiesa, a quelli che hanno in mano le sorti dei popoli, e ad ogni uomo.
Speriamo!

Dino Fabiani


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