INCONTRO NAZIONALE 2006 PO E AMICI
“A 40 anni dal Concilio: dov’è la Chiesa dei poveri?”
“A 40 anni dal Concilio: dov’è la Chiesa dei poveri?”
Dalle mie parti si dice: “Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei“.
Questa frase è citata per screditare un certo tipo di compagnie; se volevi essere come si deve non dovevi frequentare certe persone e stare alla larga da un certo tipo di ambiente: luoghi di perdizione dello spirito. Rileggendo il Vangelo, soprattutto in quei tempi lunghissimi di Nazareth, la riscoperta della dimensione della quotidianità, prima ancora della povertà, hanno permesso a Gesù di potersi rendere conto che aveva qualcosa da dire. Forse lì è maturata la sua capacità di stare con qualcuno, in silenzio… senza costruire nessuna chiesa.
Il linguaggio della chiesa dei poveri è il linguaggio della compagnia, dell’accogliere nella propria casa, dello “stare con“, del passare insieme una vita: trent’anni di Nazareth. Le lotte che abbiamo portato avanti con le nostre scelte di vita non hanno portato a quella coscienza. C’è tutta una serie di leggi che rendono precaria la condizione di tantissimi che lavorano e di chi non ha neppure questa opportunità di lavoro.
Tra i preti operai piemontesi c’è B. O., che ha i contratti di lavoro a settimana, o a quindici giorni. Sarebbe stato suo gradimento essere presente, aveva desiderio di partecipare a questo incontro di preti operai e amici/e, ma chiedere due giorni di permesso significava non essere riassunto. Dopo 15 giorni di lavoro gli danno la liquidazione e viene ripreso il giorno dopo al lavoro, sempre nella stessa azienda: il capolarato del nord: agenzie di lavoro.
All’interno del mondo del lavoro possiamo dire che abbiamo fatto grandi lotte, che abbiamo raggiunto delle grosse conquiste, dobbiamo ammettere sinceramente che quella fatica è stata vana? Mentre questi risultati non sono arrivati, è rimasta la capacità di usare il linguaggio del dialogo: la chiesa con i poveri, la chiesa povera. A questo punto il dialogo interreligioso neppure esiste, ma si conoscono le diverse provenienze: sono una preziosa opportunità per non ribadire la preminenza dell’uno sull’altro, ma piuttosto la opportunità per fare un pezzo di strada insieme.
In primo luogo per ridare, per quanto è possibile, attraverso delle poverissime compagnie come possono essere le nostre, il diritto di cittadinanza.
Suppongo che la nostra vita ci abbia offerto questa opportunità di stare non con chi ha ricchezza, una possibilità di condivisione …di futuro, anzi di presente.
È anche vero che qualche volta abbiamo elaborato strategie, abbiamo anche idolatrato qualche frase del Vangelo… la liberazione. Però alla fine abbiamo compreso che lo strumento della chiesa dei poveri è la vita, compresa la capacità di stare insieme anche come un mangione e un beone. Abbiamo sperimentato la opportunità di non avere nessuna paura di condividere cose con chi non la pensa come noi e di avere questa pazienza infinita di essere terreno di semina e di seminare nello stesso tempo: un’operazione che non ha avuto tempi differenti all’interno della nostra esistenza.
Ci sono state per noi molte opportunità, assai diverse: io ho cercato di valutare con attenzione.
Sto andando verso la pensione, tra un anno e mezzo a 65 anni, se non cambiano la legge. Ci vado anche volentieri, confesso di aver vissuto con passione e nella fragilità questa vita. Ho in questi tempi l’opportunità di avere contatto con molti amici, laici e preti che sono in Brasile, con gli zingari, nel Bangladesh. Amici coraggiosi e poveri in mezzo ai poveri. Cercare di riscoprire la presenza della chiesa povera e questi dialoghi solidali con la umanità che ha bisogno di sostegno giuridico, questa comunicazione di resistenze impari come forze, questo condividere dei progetti, per me, è di grande utilità per resistere in questo tempo assai inquieto nella realtà del lavoro.
Rispetto ai tempi, al tempo dell’attesa, alla realizzazione della chiesa dei poveri… (può venire anche un tempo in cui la chiesa non esisterà più)… esisterà ancora Gesù Cristo che ama i poveri, che ha chiesto di riconoscerlo in loro; il tempo che possiamo dedicare è proporzionale alla comprensione di una ricchezza umana, che nelle povertà ha tante diversità, bisogna vederla con occhi diversi. La stessa condivisione della vita ha bisogno di questa lucidità, per cui di fronte a una persona disperata, di fronte a degli immigrati che arrivano, di fronte a persone che lavorano in nero che cosa c’è da dire?
Cito un fatto di due giorni fa: un conoscente ha una badante in casa… perché suo padre è in condizioni di assistenza continua, sua moglie deve accudire a due bambini piccoli. Questa badante è rientrata più tardi per un problema familiare. Le hanno detto “Non rientrare, in casa mia tu non ci metti più piede”. Le hanno buttato le sue cose nel cassone della spazzatura. Quando questo amico mi ha detto questo, io gli ho risposto che era nel torto, che doveva regolarizzare la sua posizione di lavoro, che certo non era in Italia per divertirsi… “Non mi interessa, mi rispose, io la denuncio, lavora in nero, la faccio mettere in galera“.
Queste storie di precariato selvaggio emergono frequentemente.
Un lavoro che abbiamo cercato di fare con un gruppo di amici è quello di approfondire, di cercare di capire che significhi “diritto di cittadinanza”, per fare in modo che non ci si debba inchinare dinanzi al signore di turno o cercare sostegni disperati alla Caritas. Esiste ancora il diritto?
Di fronte a questi problemi le forze sono fragilissime, si ha l’impressione di essere totalmente inefficienti. Esistono anche altre opportunità: quelle di essere cercati… avere qualcuno a cui raccontare le proprie storie.
Forse è ancora possibile anche questa scelta preferenziale, una scelta libera, responsabile, senza rimpianto: l’ascolto. È un’altra scelta che ci permette anche di avere la libertà di dire alla chiesa che forse il suo Vangelo che predica non è una bella notizia, se non è condivisa nella quotidianità.