INCONTRO NAZIONALE 2006 PO E AMICI
“A 40 anni dal Concilio: dov’è la Chiesa dei poveri?”

 

Vivendo a Bergamo, nella chiesa di Bergamo, a cui mi riferisco con disagio, grossi dubbi e perplessità, cerco di esprimere le mie sensazioni, il mio stato d’animo rispetto al volto di Chiesa che mi appare sempre più scostante.
Io ci sono dentro e ci voglio stare, anche perché i miei impegni pastorali in una piccola parrocchia di 1400 persone, mi fanno cogliere quanti sono i danni arrecati alle persone a diversi livelli e con motivazioni diverse da parte di questa chiesa locale. Una prima sensazione, frutto anche dei normali contatti con il clero del vicariato, mi fa dire che questa chiesa di Bergamo, nonostante l’abbondanza e la complessità delle attività, organizzazioni e istituzioni, quindi Chiesa estremamente ricca, mi dà l’impressione di una realtà separata, per non dire estranea alla storia reale della gente, quasi si fosse determinata una frattura e quindi una progressiva divaricazione. È una Chiesa potente, economicamente e politicamente. Essa vede con sospetto quanto cresce e matura fuori dal suo ambito, nella società civile e laica. Non sa cogliere e rispettare l’autonomia e la crea-tività. Una chiesa che ha la pretesa di dare solo lei attenzione all’uomo con atteggiamenti che direi monopolistici.
Ricordo che alcuni anni fa si era cercato di costruire, con l’amministrazione del Comune di Bergamo, il Consiglio degli immigrati, che aveva comunque solo un potere consultivo. Invitata a collaborare, la Caritas diocesana rispose che non si sentiva coinvolta nell’iniziativa; forse, penso io, perché l’iniziativa non era partita da loro. Si dice che la Chiesa è maestra di umanità, ma non sempre i maestri fanno crescere e maturare i discepoli. La Chiesa di Bergamo è ricca e potente, ricca finanziariamente, ha un grande patrimonio immobiliare. Essa però non assume la storia della gente, con le sue lotte, speranze e fallimenti.
Ha la posizione di chi giudica con la presunzione di possedere il modello per tutte le culture e situazioni. Eppure l’incarnazione di Gesù è svuotamento di sé per prendere la forma di servo. Allora non può essere chiesa dei poveri se non è una chiesa povera. Il servo Gesù lava i piedi ai suoi. Ricordo la famosa poesia di Tonino Bello:

“Quando sono stato nominato vescovo
mi hanno messo l’anello al dito,
mi hanno dato il pastorale tra le mani e la Bibbia,
messo in testa la mitria con i simboli del vescovo.
Sarebbe bene che nel cerimoniale nuovo
si donassero al vescovo la brocca con catino e asciugatoio
per lavare i piedi al mondo
senza chiedere contropartita chi crede in Dio.
Tu, Chiesa, lava i piedi al mondo e poi lascia fare.
Lo spirito di Dio condurrà i viandanti dove vuole lui”.

La Chiesa povera è quella che suscita, favorisce, fa crescere la relazione, quindi il fare storia con gli altri responsabilmente. Cito la frase di Bonhoeffer:

“La grande mascherata del male ha scompaginato tutti i concetti etici. Chi resta saldo? Solo colui che non ha come criterio ultimo la propria ragione, il proprio principio, la propria coscienza, la propria libertà, la propria virtù, ma che è pronto a sacrificare tutto questo quando sia chiamato all’azione ubbidiente e responsabile nella fede, nel vincolo esclusivo a Dio. L’uomo responsabile, la cui vita non è altro che una risposta alla chiamata di Dio. Il coraggio politico può crescere solo sul terreno della responsabilità libera dell’uomo libero. I tedeschi stanno scoprendo solo oggi cosa significa libertà. Essa ha il suo fondamento in Dio, che esige che l’uomo assuma liberamente nella fede il rischio dell’azione responsabile e promette perdono e consolazione a chi così facendo diventa peccatore”.

Su questa linea della relazione ricordo il brano di Atti 3, con Pietro e Giovanni che salgono al tempio e incontrano il paralitico alla porta. È interessante: Pietro dice al paralitico: “Guardami“. Stabilisce un incontro vero, darsi è creare una relazione. Poi lo prende per la mano e lo aiuta a rimettersi in piedi e gli dice: “Cammina“.
Su un numero di Servitium del ’98 c’è una sintesi che recupera alcuni testi di Lercaro al Concilio. Egli sostiene in una conferenza dal titolo “Povertà nella Chiesa“ fatta in Francia nell’aprile del ’64:

“La povertà non è un elemento dell’etica evangelica, ma un mistero che si ricollega al mistero per eccellenza che è Gesù di Nazareth. Cristo è il Dio che si è fatto uomo, che si è spogliato della forma divina per assumere quella umana e si è fatto uomo povero. Le beatitudini annunciano il privilegio dei poveri. Analogamente la Chiesa è la Chiesa dei poveri perché prolunga la doppia kenosis. La chiesa autentica è tale se partecipa alla spoliazione, all’impoverimento. La stessa povertà deriva dalla sua particolare ricchezza che la tignola non può corrodere e i ladri non possono rubare“.

Per l’intervento del 4 novembre 1964 al Concilio, dove Lercaro sottolinea il “felice scambio tra povertà e ricchezza“ mostra come la povertà culturale che dovrebbe contraddistinguere la Chiesa si traduca in arricchimento nella sapienza, quella che era presente nella creazione.
La Chiesa conserva tuttora certe ricchezze di un passato glorioso, ma questo è un po’ anacronistico. Sistemi scolastici di teologia e filosofia, istituzioni educative ed accademiche, metodi di insegnamento universitario e di ricerca. Si aggiungono grandi mezzi di comunicazione. A Bergamo la Curia possiede un quotidiano, L’Eco di Bergamo , La radio “Emmanuel“, la Tele-Bergamo, per cui il 90% dei mezzi di comunicazione sono proprietà della curia. Voci di corridoio dicono che L’Eco di Bergamo non esce con l’articolo di fondo se non c’è l’approvazione del vescovo. Inoltre vengono dedicate 6 pagine all’Atalanta e 5 pagine di annunci funebri, ricorrenze… è un giornale che solleva, molto allegro… e poi non parliamo di scuole cattoliche.

La chiesa deve avere il coraggio, se è necessario, di rinunciare a queste ricchezze, giacché esse possono limitare la credibilità del suo linguaggio, dividere anziché unire, escludere piuttosto che convincere. La chiesa deve snellire e concentrare la sua cultura sulla ricchezza del linguaggio e pensiero biblico. Si auspica non la rinuncia per la rinuncia, ma la rinuncia per arricchire.
Da questa visione cristologia e teologale, l’unica che oggi dà valenza alla nostra Chiesa, deriva dall’atteggiamento della Chiesa nei confronti della società contemporanea. Quindi viene richiesto un rovesciamento.
La società contemporanea è la società dell’opulenza. La Chiesa oggi ha la pretesa di presentarsi come maestra di umanità, continua e pretende di difendere questa immagine della famiglia e della società, lontanissima dalla drammatica situazione attuale.
Si parla sempre di valori, non delle persone, ma non assume questa umanità di oggi fino a perdersi e spendersi come lievito di novità e di giustizia.

Per Lercaro la presenza della Chiesa nella società odierna deve caratterizzarsi non come presenza compatibile, ma come presenza di contrasto davanti a una società opulenta. Ci si può interrogare solo sul come non parteciparvi, per partecipare invece alla società degli esclusi.
La chiesa povera è la Chiesa che “non ha né oro né argento”. Allora può diventare un luogo ricco di relazioni, affetti, ospitalità, solidarietà, disponibilità e portare reciprocamente gli uni il peso degli altri.

Bruno Ambrosini


 

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