HERZOGENRATH, 2 – 5 giugno 2006

 

Come di consueto, anche quest’anno ci siamo trovati per il nostro incontro europeo, in Germania. Eravamo circa trenta persone provenienti dal Belgio, Spagna, Francia, Germania, Inghilterra, Svizzera e Portogallo. Mancavano i catalani poiché Ramiro, sempre presente a tutti gli incontri, ha deciso di iniziare una nuova avventura a Santo Domingo per dare un senso al suo essere in pensione. Per l’Italia, oltre a me c’erano Mario Pasquale e Maria Grazia Galimberti di Viareggio. Renzo per un impegno improvviso ha dovuto rinunciare. Il clima che si è instaurato e l’accoglienza sono stati ottimi e i tedeschi hanno superato se stessi: veramente bravi.
Tra l’altro la conferenza episcopale tedesca ha contribuito con una forte somma all’incontro e questo non è poco, è la prima volta che succede.
Queste le tematiche:

– Quali i bisogni che noi sperimentiamo e che ci chiamano ad andare oltre.
– Noi non siamo soli: con chi alimentiamo questi bisogni (ONG, sindacati, politica, comunità e gruppi).
– Quali obiettivi concreti vogliamo ottenere (a livello locale, nazionale…).
– Dove troviamo le tracce del Regno di Dio?

Nell’ascoltare i diversi interventi ci siamo accorti che il sentire è identico ed anche gli ambiti in cui ciascuno di noi è impegnato sono gli stessi perchè l’Europa ormai è un unico paese. Il lavoro di questi decenni nei diversi ambiti, fabbrica, artigianato ed altro ci ha accomunato; la maggior parte, quasi la totalità, è in pensione e continua a impegnarsi nei movimenti, gruppi, comunità, sindacato, quartiere e per qualcuno si aprono altri interessi e nuovi modi di presenza.
Quest’anno, per la prima volta non sono stati letti e presentati i documenti che ciascun paese aveva preparato; ce li siamo scambiati prima e per questo la discussione verteva su domande e chiarificazioni e soprattutto sulle problematiche emergenti in ciascun paese.
Da parte di tutti si è sottolineato il problema della precarietà della vita, dove i diritti sono sempre più dimenticati. Ciò che prima era un diritto, oggi uno se lo deve conquistare. “Precario” deriva infatti da “pregare”, raccomandarsi a qualcuno perché ti dia un lavoro.
Lo stesso avviene anche nella fede, con il rifiorire di pellegrinaggi e devozioni: mi raccomando a Dio perché egli risponda ai miei bisogni. Giovani che hanno paura del futuro perché non hanno nulla di sicuro e definito. Questo è uno dei motivi di ciò che è successo a Parigi nei mesi scorsi, nelle periferie: una sensazione di essere esclusi, difficoltà a trovare lavoro.
Durante quelle settimane incandescenti i pretioperai di Parigi, la segreteria nazionale e la “Mission de France” fanno una dichiarazione alla stampa dal titolo: “Non abbassiamo le braccia“. 

“La violenza nei quartieri mostra che occorre continuare a battersi per le rivendicazioni che governo e padronato tentano di mascherare e affossare. Le principali urgenze sono: impiego, alloggi insalubri e degradati, educazione scolastica, peggioramento dei servizi sociali, mancanza di personale negli ospedali. La violenza è soprattutto un grido di aiuto per mettere sul piatto tutte queste rivendicazioni con un progetto urgente:

Dare alle scuole mezzi eccezionali perché i ragazzi e i giovani dei quartieri abbiano le stesse possibilità degli altri.
– Ridare aiuti e sovvenzioni alle associazioni di quartiere.
– Permettere a queste popolazioni di esprimere le loro aspirazioni e i loro bisogni, fare in modo che essi siano ascoltati.
– Favorire il passaggio dalla scuola al lavoro.
– Sviluppo degli alloggi popolari e dare la possibilità a tutti di avere accesso.

Le rivolte di novembre sono la conseguenza di una rottura sociale messa in atto da diversi anni e moltissimi non hanno un salario sufficiente per pagarsi l’affitto di casa e arrivare alla fine del mese”.

Come si vede, anche noi non siamo lontani. Mi ricordo in un incontro di Parigi un anno e mezzo fa, nella pausa dei lavori, una donna, che lavorava per le pulizie nella casa dove eravamo alloggiati, comincia a parlarmi piangendo. Voleva raccontare tutta la sua situazione: senza marito con due figli, uno di ventidue e un altro di ventiquattro. Nessuno dei due aveva lavoro, hanno fatto tentativi per anni e tra l’altro uno si era messo a bere. Essa, l’unica che lavorava. E mi diceva che tutti gli amici dei suoi figli erano nella stessa situazione e lei percepiva che sarebbe accaduto qualcosa.

Il gruppo belga affermava che questo è il tempo di riprendere le parole chiave: vedere, giudicare e agire . Passare dalla rassegnazione all’indignazione e da qui alla rivolta. Essere attenti a coloro che esprimono questi bisogni soprattutto gli immigrati, lavoratori e precari.
Questo non è il tempo dei numeri, ma è il tempo di lavorare sul territorio. ”Chi lotta per una zolla di terra, lavora e lotta per tutta la terra”, la frase di Sirio che abbiamo ripetuto diverse volte. Da qui nasce il bisogno di formare delle persone che siano capaci di essere attori e non spettatori nella politica e nel sociale.
I colleghi europei hanno chiesto a noi italiani sulla situazione del nostro paese, volevano capire quello che sta succedendo in Italia dove il “berlusconismo” è diventato un modo di essere e di agire, al di là della persona che lo ha espresso in questi anni. Hanno rilevato inoltre che questo non è un fenomeno prettamente italiano, ma che si sta diffondendo nella prassi generale anche nei loro paesi.
Si è toccato inoltre il tema della laicità dello stato e delle ingerenze della gerarchia nelle scelte politiche, sociali. Stesso problema che hanno gli spagnoli. La chiesa si fa presente in maniera pesante, ma nello stesso tempo si nota una mancanza di persone autorevoli laiche e di chiesa che sappiano alzare la voce contro questo modo di fare. Quando si ricevono aiuti con l’otto per mille, tutto diventa più difficile e si hanno le mani legate, e per questo disposti a digerire tutto, turandosi il naso sul resto.
È il tempo in cui prevale l’idea di una laicità limitata, un magistero che si pone come unico depositario del codice morale, e il laico, anche il più progressista è come spaesato, confuso ed anche intimidito, mentre dall’altra parte ci sono gli “ atei devoti”, non credenti, ma obbedienti e sempre più ascoltati.
Dove stanno le tracce del Regno di Dio? Per alcuni stanno là dove l’uomo acquisisce la propria dignità e lotta per dare un senso pieno alla vita. Ma sembra che “Dio in questo momento si sia ritirato nel silenzio nascondendo il suo volto”. Per alcuni è difficile parlare di questo, molte risposte non hanno senso; le parole risultano insipide. Si esperimenta la sua presenza là dove la vita viene difesa e nelle lotte quotidiane insieme a compagni di viaggio.
Altri parlano di un Regno che diventa operante nella nostra azione e si manifesta nello sforzo continuo: “Non abbassiamo le braccia”, tessendo dei legami con persone diverse, restando vigilanti e attenti a quello che succede. Uno sguardo positivo su tutto ciò che si muove, che nasce nelle diverse situazioni. Regno di Dio è lo “star bene insieme”, che va oltre il socio-economico.Un appello alla gratuità, alla solidarietà spontanea e all’ascolto profondo.
È più facile trovare i segni dell’assenza di Dio, mentre la chiesa ha la tentazione di vedere Dio dappertutto. ”L’assenza di Dio era un tempo la lotta dei mistici; oggi essa è divenuta generale”. Lévinas afferma che la relazione con il divino passa per la relazione umana: liberare gli uomini facendoli uscire dal loro disagio, dall’oppressione, è qualcosa di divino. Tracce del regno da cercare accanto all’uomo dei dolori, nel cuore e nella vita di tutti i giorni.

Abbiamo dedicato un pomeriggio alla visita di una grande miniera di lignite a cielo aperto, che si estende per chilometri e chilometri. Impressionante lo spettacolo di questo immenso cratere con macchinari enormi, con gru alte decine di metri e quaranta chilometri di nastro trasportatore. Da lì dipende il 30% dell’energia della Germania. Ma è uno sconquasso per la regione, anche se il tutto nel corso degli anni viene ricoperto e ricondotto com’era all’origine.
Alcuni paesi vengono evacuati e ricostruiti più in là. Infatti abbiamo avuto un incontro con la comunità di un paese che entro due anni dovrà essere abbattuto. Un incontro in chiesa dove gli abitanti hanno espresso le loro preoccupazioni, perplessità e voglia di resistere. È stato questo un momento significativo di partecipazione intensa.

L’ultima sera dell’incontro, dopo una grigliata all’aperto, la maggior parte dei preti operai, quasi tutti al di sopra dei sessantanni e molti oltre i settanta, si sono messi a fare delle danze, guidati da Ruth, una giovane donna in attesa del secondo figlio tra qualche mese, che ci ha fatto da interprete. Una visione, non saprei come definire (profetica, mistica?): dei vecchi preti, che hanno lottato tutta una vita in situazioni più disparate e problematiche danzano nel prato, in piena libertà, guidati da una giovane donna, in attesa del figlio, sul far della sera e della notte!
Il prossimo anno a Londra su queste tematiche:

Nell’incontro tra diverse culture,
in questo tempo in cui il razzismo,
l’individualismo di gruppi e nazionalismi
stanno emergendo,
– quali cambiamenti in noi?
– quale società si sta costruendo?
– quale Dio?
– E noi che stiamo facendo, come singoli e come gruppo?

Mario Signorelli


 

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