Incontro nazionale 2007
OPERARE GIUSTIZIA IN UN MONDO INGIUSTO
Memorie e prospettive

Interventi


 
Giovanni, per iniziare le sue riflessioni, dice: “Io, Giovanni, fratello e compagno nella tribolazione…” e poi poco dopo aggiunge: “nella costanza della lotta e della fede” (Apoc. 1,9).
E legato a questo, mi ha un poco impressionato, e forse ho capito un po’ di più, perché c’è un compagno di lavoro che mi chiama “fratello “.
E così, quando ci vediamo, quando arriva: “Ciao, fratello!”… ed è l’unico…
Collegando queste due cose e riflettendo su quel testo, mi sono molto interrogato se sono capace di essere “compagno”, ma compagno nel senso delle tribolazioni…
Cioè da una parte sento tantissimo il disagio di una giustizia che è diventata ambigua, legata piuttosto ad una certa pratica della legalità nei tribunali, e molto meno facente parte del nostro vivere quotidiano, del nostro modo di giudicare e di riempire di valore determinate cose, di fronte a dei fatti che ci portano ad essere dei resistenti o comunque delle persone che sanno ancora denunciare delle cose.
Da parte mia sento un poco la paura e per certi versi una certa solitudine, che questo andare contro corrente e denunciare queste forme di ingiustizia sia quasi come una nullità, o che sia un grido o una testimonianza che possa essere accolta anche da altri.
Alcune realtà, soprattutto sulla questione-del lavoro, come accennava ieri Beppe Orsello, sono molto diffuse anche nella zona dove io abito. Nelle vigne si utilizza in buona parte mano d’opera in nero, con la quasi impossibilità di ottenere una maggiore regolarizzazione di queste situazioni.
E quando c’è un qualche intervento di amici su queste cose, si addossa la colpa alle leggi e non tanto all’assunzione di responsabilità e al senso della giustizia. Per cui è opportuno che la gente abbia di che vivere e abbia anche le sicurezze necessarie nel lavoro.
Nelle nostre zone il più alto tasso di incidenti sul lavoro non è nelle fabbriche, perché sostanzialmente anche se con molta tribolazione la 626 ha portato qualche miglioramento, ma è nell’agricoltura, dove molto frequentemente ci sono incidenti gravi e mortali.
Per concludere faccio un riferimento alla Chiesa.
Mentre su alcuni nervi scoperti si fa un gran parlare e molte volte in modo becero, su questi grandi temi della giustizia e del bene comune c’è un silenzio assordante e quando viene segnalato questo silenzio, si dice: “Ma, queste cose fanno parte della politica, la Chiesa deve annunciare i grandi principi “. E allora mi sono sentito ancora più verme, ancora più straniero, perché dico: “Ma allora 35 anni di lavoro nella mia realtà non hanno apportato un benché minimo segno di speranza o di cammino?”
La mia risposta non è del tutto negativa per quanto riguarda me, ma per quanto riguarda l’entourage di chi conta un po’ di più nei movimenti e nell’organizzazione della Chiesa, delle chiese e delle parrocchie, questo tema di operare, di osare la giustizia è quasi inesistente.
E io credo che oggi il sistema di globalizzazione e di liberalizzazione di tutto è così chiaro che cancella effettivamente il discorso della giustizia e del diritto, dando così lo spazio ad altro.
È presente in questi giorni un carissimo mio amico che è da molti anni in Brasile e che da sempre ha lavorato nella pastorale della terra e nell’accompagnamento di occupazione di terre e di molti processi che sono in corso in questo senso, dice che il lavoro per loro è diventato molto più pesante e per certi versi anche molto più rischioso. E però questo mio amico mi ha dato anche un segnale molto bello di capacità diffusa di gruppi di base resistenti.

Gino Chiesa


 

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