Incontro nazionale 2007
OPERARE GIUSTIZIA IN UN MONDO INGIUSTO
Memorie e prospettive
Interventi
Intervengo a brevi flash. Vorrei anzitutto reagire a quanto diceva Oliviero (“vorrei essere accompagnato”) o Gino Piccio (“vorrei che ciascuno dicesse quello che sta facendo per non arrendersi”). A me i loro interventi hanno fatto tornare alla mente una poesia di Brecht che, dopo una serie di domande, conclude: “non ci sarà altra risposta che la tua”. Brecht secondo me vuol dire: “guarda che quello che conta è che tu dia la risposta; non preoccuparti della risposta degli altri, dai la tua risposta come se l’unica risposta che si possa dare sia la tua”.
Ecco: io non immagino che gli altri PO mi accompagnino nel mio cammino, credo che ciascuno di noi stia dando la sua risposta; e mi piace che ogni tanto ci ritroviamo per sentire che tra noi non c’è aria di resa, ma aria di resistenza, non c’è rassegnazione, passività, anzi… È questa la cosa buona del re-incontrarci: avere stima ciascuno della vita di ciascun altro, sapendo bene che siamo tutti gente che ha fatto le sue scelte e le ha pagate; con la convinzione che, fin quando uno di noi campa, avrà voglia di inventarne ancora qualcuna perché questo mondo possa cambiare.
Poi sappiamo bene che non camperemo fino a vederlo cambiato: ma questo non è importante… L’unica resa che dovremo accettare sarà quando ci troveremo al punto in cui ci toccherà andarcene, là, dopo una vita passata teorizzando e praticando l’autonomia, la lotta, ecc. dovremo accettare che “adesso basta”.
Certamente è difficile questo passaggio: una testimonianza, ricordo, me l’ha data David Turoldo, che si è messo quieto un anno prima di morire, ma per tutti gli anni precedenti, da quando avevano scoperto il tumore, era ribelle, disperato, rabbioso: ne sono una prova anche le sue poesie dell’ultimo periodo, nelle quali arriva a rivolgersi a Dio chiamandolo l’Eterno Nulla.
Ecco, probabilmente la vita ci insegna che l’unica resa seria da fare sarà quando dovremo andarcene per lasciare il posto ad altri; questa convinzione che bisogna lasciare il posto ad altri, che se non te ne vai, se vuoi continuare a tenere le cose in mano, diventa molto più difficile affrontare il morire.
Un altro flash che mi gira per la mente in questi tempi è la frase di un bravo compagno che dice: “Questi però sono tempi in cui bisogna essere meno antagonisti e più alternativi”
Ecco, io ho vissuto come limite il fatto che la classe operaia, con i sindacati, le lotte, ecc., eravamo, sì, antagonisti; ma poi, grazie anche ai dirigenti che abbiamo avuto, non siamo stati per niente alternativi e non abbiamo cambiato niente.
Io penso che ciascuno di noi non deve mollare, (e per la storia che abbiamo, si potrebbe dire che neanche siamo capaci di mollare) sul fatto di costruire un modo diverso di essere con gli altri, un modello diverso di umanità, di socialità. E qui c’è una cosa da inventare, per questo ho chiesto a Rosy e a Pippo di raccontare la lotta contro la TAV, un modello diverso rispetto alle lotte operaie nelle quali ci siamo trovati noi.
Un altro flash brevissimo: quando però c’è un gruppo umano che prende sul serio la lotta, ora della fine i risultati li porti a casa, però ci vogliono anni e anni. Un esempio: gli operai della Breda che hanno lottato sull’amianto: dopo venti anni di lotte, incominciati con lo scontro contro i sindacalisti e i compagni del PCI che ti dicevano: “guai a voi, state facendo chiudere la Breda!”…dopo venti anni stiamo vincendo tutte le cause sul riconoscimento dei benefici pensionistici. La prima sentenza definitiva è arrivata una settimana fa. Il leader di queste lotte, con il quale sono stato compagno di lotta per 20 anni, Michele Michelino, riesce finalmente ad andare in pensione con 47 anni di contributi, nel senso che ne ha regalati 7 allo stato, perché il tribunale gli ha dato ragione con 7 anni di ritardo. Anche la storia della Val di Susa è una storia di anni e anni (Pippo interrompe per dire 15 anni), alla fine dei quali finalmente si portano a casa dei frutti. Questo essere resistenti, non arrendersi, continuare con le proprie convinzioni profonde a tentare passettini in avanti che chissà cosa produrranno, ma prima o poi qualcosa si vedrà.
L’ultimo flash: anni fa pensavo che da pensionato mi sarei interessato delle piccole fabbriche, dei giovani operai: le circostanze invece mi hanno condotto ad operare in due periferie estreme di quella periferia che è Pioltello, a sei km da Milano in direzione est. Periferie strapiene di migranti, costruite 50 anni fa da una speculazione edilizia folle (erano i tempi in cui la Fiat attaccava i manifesti nei paesini del Sud offrendo 15 mila posti di lavoro. E a Torino arrivarono 150 mila aspiranti operai in poche settimane!).
Un esempio. Il quartiere Satellite di Pioltello, quattro quadrati di cento metri per cento metri, in ognuno sei palazzoni di nove piani sui lati; e al centro di ogni quadrato, area verde? No!, altri quattro palazzi di nove piani! Totale: 1600 appartamenti, almeno 8 mila abitanti, oggi quasi tutti migranti; all’inizio degli anni ‘60 tutti meridionali. Sono indescrivibili le follie che hanno fatto a Milano durante gli anni ‘50 – 60 nel costruire a tutti i costi per tutta questa gente di cui l’industria aveva bisogno. Per cui, come è successo 50 anni fa che i vecchi pioltellesi additassero come responsabili del degrado del territorio i meridionali arrivati ad occupare queste nuove costruzioni, così oggi i meridionali, ormai da decenni stabilitisi a Pioltello (e che però sono scappati da quei palazzoni osceni) accusano del degrado i migranti che sono subentrati a loro. Appena conosci queste cose, ti chiedi: ma chi le ha permesse? Sono situazioni di non vivibilità inimmaginabili fin quando non le vedi. E ti spaventi.
Lì dentro sto lavorando con alcuni animatori giovani e adulti, in un centro di cultura popolare di marca cesariana (il centro è uno dei 16 che Cesare Sommariva ha aiutato a costruire attorno a Milano), sull’ipotesi che se i figli dei migranti che hanno 15-18 anni vanno a scuola e studiano e riescono e ci provano gusto, può darsi che avremo nel futuro della gente intelligente che, se vorrà partecipare a delle lotte, lo farà con intelligenza; dico questo perché nelle lotte alle quali ho preso parte io mi sembra di aver conosciuto troppi lavoratori trattati come massa di manovra.
Recentemente ho composto un planisfero sul quale ho inserito i nomi di quella quindicina di ragazzi che partecipano ai nostri due centri studenti: vengono da tutti i continenti (tranne l’Australia che per ora non fa parte del Sud del mondo), ma nessuno viene dall’Europa Occidentale… e conosci la pakistana che, se riuscirà negli studi, non sarà obbligata a sposare chi vogliono i genitori, perché se arriverà a laurearsi sceglierà poi lei il proprio marito… Conosci la filippina che è già scappata di casa 4 o 5 volte, e si sta facendo bocciare a scuola superiore; non aveva più voglia di niente, ma da quando ha conosciuto noi ha ricominciato a tornare a scuola e chissà… I racconti potrebbero essere tanti. Certo, sono cose piccole piccole, non so se lasceranno il segno, ma io mi sono detto: “ci provo”: è un segno del mio non arrendermi. Comunque spero che ci siano altri che andranno avanti al mio posto, perché io ormai avrei voglia soltanto di fare il bidello di queste cose… e poi, toccherà anche a me andarmene, no?
Luigi Consonni