“Carico leggero e pesanti fardelli: l’Evangelo in Italia”
Incontro nazionale PO 2008 (11)
Ho provato a mettere insieme qualche riflessione senza trovare una linea unitaria. Tenterò di dire, con qualche difficoltà, alcune cose, legate al momento che sto vivendo, agli incontri con le persone ed alla mia attuale ricerca.
La prima è che ho compiuto settant’anni e comincio ad aver paura di morire, nel senso che sento l’angoscia e il senso di vuoto nel dover lasciare una serie di cose a cui sono molto legato. Gli amici, le persone, alcune in particolare, i miei libri, i miei dischi di musica classica, le mie abitudini, l’orto. In questi giorni non sono riuscito a fare niente, pioveva, pioveva e l’erba è diventata alta. Non è che non credo, ma spero che non si esaurisca tutto nel morire; tant’è vero che io non riesco ancora a fare il testamento, anche se quelli della curia insistono. Non ce la faccio a fare testamento: che cosa vuoi che scriva!
Seconda cosa. Da qualche anno faccio servizio in una piccola parrocchia, con Adriano e seguo un gruppo di genitori: preferisco loro perché con i bambini non ho una grande capacità, sarà forse per una eredità che abbiamo ricevuto. Comunque preferisco avere a che fare con i genitori che, mi rendo conto, hanno un estremo bisogno di essere alleggeriti dai pesi e riscoprire la leggerezza del Vangelo. Tutto questo con grande difficoltà e ci vogliono tre anni. Incomincio con i genitori dei bambini della prima elementare a percorrere, anche con l’aiuto di Mario, la giornata, per vedere come vivono i diversi momenti che poi diventano di routine: il risveglio, la colazione, il pranzo, il riposo, il commiato, il sabato e la domenica passati insieme. Non parliamo di Dio. Questi momenti sembrano banali: esempio il risveglio, i dieci minuti di televisione senza i quali non si può andare a scuola, cartoni animati. Poi con la seconda elementare la confessione, la comunione.
Prima preparavo lo schema degli incontri, della chiacchierata, ma mi sono reso conto regolarmente che non serviva a niente lo schema preparato e preferivo che le cose nascessero così, spontaneamente. Alla fine, dopo tre anni, si riscopre la leggerezza, l’essenzialità, la radicalità di alcune cose, che a loro per un certo verso pesano, perché hanno perso la spontaneità.
Nelle nostre valli, soprattutto in questi ultimi tempi (e le recenti elezioni lo hanno dimostrato al di là di ogni analisi fatta) c’è un imbarbarimento della cultura. La Valle Seriana è una valle ricca ed alcuni paesi, fino a pochi anni or sono, erano tra i più ricchi d’Europa, ad esempio Leffe e Gandino. C’è un rinchiudersi sempre più in se stessi in un orizzonte molto piccolo: il mio bambino, i miei figli… Noi cerchiamo di dire: i nostri bambini, i nostri figli. Non è una semplice banalità, ma è semplicemente assumersi una responsabilità ampia, che ridimensiona anche questa immaturità dei genitori.
Non è un’accusa che faccio loro, ma è il rendersi conto che ci troviamo di fronte ad una immaturità e sprovvedutezza nell’aver di fronte un bambino che è un’altra persona. Insistiamo molto sul fatto che noi non “educhiamo”, ma che “ci stanno educando”. In questa serie di incontri e riflessioni c’è bisogno di insistere su questa essenzialità e radicalità.
Nel frattempo, siamo a Bergamo, direi l’assenza, il silenzio della chiesa. Non perché non parla, ma perché non parla di ciò di cui si avrebbe bisogno. C’è l’assenza di una dimensione profetica. I profeti del primo testamento facevano due cose: “denunciare”, aprire gli occhi sulla realtà, e “annunciare”.
Forse si annuncia molto, ma con un annuncio fuori dal contesto, che non aiuta il discernimento, per distinguere ciò che è bene e ciò che è male, ciò che è giusto e ciò che è ingiusto, ciò che apre all’altro e ciò che invece chiude.
L’ultima cosa: da qualche tempo, è un mio sfizio personale, sto cercando di raccogliere lungo il libro dei salmi tutte le citazioni sul volto di Dio. Mi piace molto questa parola. Nei salmi assume una varietà di significati per le diverse situazioni, contesti e atteggiamenti del salmista.
“Cerco il tuo volto, mostrami il tuo volto, Signore. Se non vedo il tuo volto io mi sento a disagio”.
Potrebbe essere una linea di riflessione, questo volto di Dio è sempre sfuggente. Credo sia Mosè che chiede a Dio di vedere il suo volto, la sua gloria. Dio dice: “vai nella caverna, io ti coprirò con la mia mano e quando sarò passato vedrai le mie spalle”.
Forse noi dovremmo vivere un po’ più serenamente, con gioia, per annunciare queste cose anche a persone che fanno una fatica matta a portare i pesi che noi gli abbiamo messo sulle spalle. Provare a cercare questo volto di Dio molto leggero, sfuggente… e allora intuisci.
Arrivare a questa percezione di leggerezza forse ci apre dentro una sensazione nuova, rasserenante. Allora anche la paura di morire acquista una dimensione sopportabile.