Quando siamo andati in fabbrica, al di là della diversità delle motivazioni personali, siamo partiti dalla presa di coscienza di una realtà, la realtà degli operai che erano in condizione di oppressione, ma erano anche un popolo in cammino, con dei progetti e col grande sogno di cambiare la società.
Oggi la realtà è molto cambiata. Oggi si tende a negare il conflitto sociale. Oggi non si parla più di “classe operaia”. Gli operai, per rendersi visibili, devono salire sui tetti. Le svariate forme di precarietà hanno frantumato l’unione e la solidarietà tra i lavoratori, all’interno della stessa azienda.
Oggi lo sfruttamento e l’oppressione sono tanto più intensi ed estesi quanto più sono nascosti e ignorati.
La situazione odierna è stata analizzata molto bene lo scorso anno da Daniele Checchi e da p. Felice Scalia. Il sistema economico finanziario che governa il mondo è un sistema assoluto, antidemocratico e violento, che produce miseria, guerre e distruzione ambientale.
E’ impressionante la dichiarazione del funzionario del Fondo Monetario Internazionale citata da Arturo Paoli: “Ciascuno di noi non può non aderire al mercato e alle sue linee guida. Sappiamo perfettamente che l’andamento del mercato provoca fame, miseria e disuguaglianze sociali. Sappiamo che è il dover aderire al mercato la causa che produce tale situazione. Che ci possiamo fare?… Anche noi siamo schiavi e dobbiamo obbedire” (Pretioperai, n. 82-83, pag. 38, nota 17).
La crisi della speranza
Abbiamo condiviso molte speranze umane, abbiamo speso le nostre energie insieme a compagni credenti e non credenti, abbiamo ottenuto conquiste, ma anche molti insuccessi. Molte illusioni sono crollate, tante speranze sono andate deluse. Abbiamo visto molto spesso realizzarsi la logica dell’oppresso che diventa oppressore perché, come dice Angelo Reginato, “se l’unico linguaggio conosciuto e universalmente parlato è quello della forza, anche il debole, una volta reso forte, continuerà ad esprimersi nella stessa lingua, senza che la precedente esperienza lo possa indirizzare lungo sentieri differenti” (“Pretioperai”, n. 84-85, p. 46).
Certo non si possono trascurare i segni di speranza che ci vengono dalla storia attuale, come la rivoluzione pacifica del Sudafrica, il nuovo protagonismo degli indios d’America, la stessa elezione di Obama… Ma, sostanzialmente, mi sembra condivisibile ciò che afferma Niki Vendola ricordando il vescovo Tonino Bello: “Oggi vincono e convincono quelli che non hanno tempo per occuparsi di vittime, di poveri, di esuberi, di quelle “pietre di scarto” che nel Vangelo saranno le “pietre angolari” dell’edificio della salvezza: quelli che girano lo sguardo da un’altra parte, quelli che fingono di non vedere l’orrore, quelli che sono gli eroi di cartapesta del nostro immaginario e della nostra etica pubblica… Oggi gli afflitti vengono ulteriormente afflitti e i consolati ulteriormente consolati” ( su “Gazzetta del Mezzogiorno” del 19 aprile 2010 ).
Liberazione come dimensione divina della storia
Il libro dell’Esodo racconta che Dio si è rivolto al popolo ebreo mentre questo era schiavo in Egitto: “Ho visto… Ho ascoltato… Sono venuto…” (Es. 3, 7-8).
L’iniziativa parte da Dio, il quale si manifesta come il Liberatore.
“Il messaggio della Bibbia ci aiuta a percepire la dimensione divina nei fatti della nostra storia. Dovunque c’è uno spazio sincero di liberazione, sia individuale che collettiva, là possiamo sempre riconoscere la voce amica del Dio liberatore, che chiama e interpella” (Carlos Mesters).
Papa Giovanni nell’enciclica “Pacem in terris” ha individuato come terzo “segno dei tempi” (dopo l’ascesa delle classi lavoratrici e l’emancipazione delle donne) la coscienza dell’uguaglianza di tutti gli uomini e di tutti i popoli.
“E’ largamente assai diffusa la convinzione che tutti gli uomini sono uguali per dignità naturale. Per cui le discriminazioni razziali non trovano più alcuna giustificazione, almeno sul piano della ragione e della dottrina; ciò rappresenta una pietra miliare sulla via che conduce all’instaurazione di una convivenza umana informata ai principi di verità, giustizia, amore e pace” (“Pacem in terris” n. 24).
Mi sembra che queste parole siano oggi ancora più attuali, sia per il nuovo protagonismo che vanno assumendo i popoli del mondo, sia per la presenza dignitosa e attiva di milioni di immigrati nella nostra società impaurita e inospitale.
“La cronaca ci dà la gioia di vedere che in un mondo che ieri era di puri schiavi, anche “cristianamente” schiavi, oggi il Vangelo è forza di liberazione. Dobbiamo ringraziare Dio che gli ultimi ci stanno evangelizzando” (E. Balducci, Il vangelo della pace, vol. 3, p. 187).
Custodi del futuro
La comunità Baha’i, che partecipa ai nostri incontri interreligiosi, parlando della vita dell’aldilà ha un’immagine di questo tipo: il bambino nascituro durante la gestazione nella pancia della mamma sviluppa una serie di organi (braccia, gambe, gli organi di senso…) che nella sua condizione presente non gli servono a niente, ma gli serviranno nella vita futura dopo la nascita. Così, dicono, i valori spirituali, la bontà, la solidarietà, nella vita presente possono essere considerati superflui o addirittura inutili, ma sono quelli che saranno fondamentali nella vita futura.
Io applico questa immagine alla nostra storia. E’ vero, noi viviamo nella selva oscura, nel deserto, siamo disorientati e possiamo anche perdere la speranza. Ma è importante che noi lavoriamo per il futuro. L’anno scorso p. Scalia concludeva la sua relazione dicendo che noi dobbiamo essere “custodi del futuro”.
Che cosa significa essere custodi del futuro, lavorare per il futuro?
Mi sembra molto eloquente, all’inizio dell’Esodo, l’episodio di Sifra e Pua, le levatrici ebree che, disubbidendo al Faraone, facevano nascere i bambini ebrei invece di ucciderli (cfr Es. 1, 15 ss).
Mi fanno pensare a tutte le persone e gruppi che si ostinano ad andare contro corrente, anche mettendo a repentaglio la propria vita, o la carriera, o l’estimazione comune. Penso ai refusnik israeliani che rifiutano di prestare servizio militare nei territori palestinesi occupati. Penso a coloro che con diverse modalità si oppongono alle mafie. Penso alle famiglie qui da noi che ospitano un “clandestino” (non per sfruttarlo!) o che sottoscrivono un contratto di lavoro per regolarizzarlo.
Sono tante le vie per essere “custodi del futuro”.
Si è custodi del futuro sostenendo, nei modi più svariati, la speranza e la resistenza delle vittime del sistema; o con l’obiezione di coscienza a leggi e ordinamenti ritenuti lesivi dei diritti delle persone. Si è custodi del futuro con la difesa dei beni comuni che devono essere garantiti a tutti, come l’acqua, l’aria, l’istruzione, il pane, la salute… Si è custodi del futuro promuovendo il dialogo e la pacificazione tra culture e religioni, perché, come dice Hans Kung “non c’è pace fra le nazioni se non c’è pace fra le religioni”..
Si è custodi del futuro “impegnandosi a vivere una Chiesa libera dal potere e dall’idolatria del denaro, una Chiesa capace di continua conversione e rinnovamento, solidale con i progetti di liberazione delle donne e degli uomini di buona volontà, per costruire insieme una nuova pacificata umanità”.
Piero Montecucco