2 giugno 2011
CONVEGNO A BERGAMO
Il tema del nostro incontro parla di chiesa in cammino col mondo, una chiesa che cammina “con”,che si affianca e fa la strada insieme, anzi è chiesa chi cammina, come ci offre la simbologia del racconto dei discepoli di Emmaus, un Cristo che si accosta e cammina insieme, ascolta le paure, le delusioni e le sue risposte nascono da un’esperienza di condivisione, di sofferenza. Il suo accostarsi è molto discreto, non ingombrante e si vuole defilare, non dice il suo nome entra in casa su loro invito. E’ un po’ questa la parabola che ha guidato e che guida la vita dei preti operai europei.
La storia di questo movimento ormai ha raggiunto i settant’anni. Lunga storia che ha avuto molti padri e molte madri.
Il luogo di nascita è stata la Francia negli anni 40’ e il luogo di gestazione è stato il carcere, la prigionia di preti deportati insieme a gli altri, costretti a lavorare, lavori forzati. Lavorando fianco a fianco è nata una solidarietà e la prigionia è stata per loro un ‘opportunità: lì hanno esperimentato “l’essere con”, a fianco. Ritornati in libertà hanno deciso di continuare, perché la condivisione si rivelava troppo importante per il Vangelo. Nel 1954 c’è stato il fermo del Vaticano, preoccupato che questi preti facessero politica insieme agli operai. La maggior parte ha obbedito lasciando il lavoro ma alcuni hanno continuato, sospesi a divinis , i cosiddetti “insumi” , non sottomessi. Noi ne abbiamo incontrato alcuni e l’ultimo è morto qualche anno fa,di origine italiane ,era diacono al momento della sospensione e fino al settanta ha chiesto di essere ordinato prete, ma nulla di fatto. Nel 65 dopo il concilio è stato possibile riprendere questa esperienza, e quindi possiamo dire che una delle madri di questa esperienza è stato il Concilio.
Il movimento da noi è nato negli anni ’50 con Bruno Borghi e Sirio Politi in Toscana. La maggior parte dei preti operai italiani ha iniziato il lavoro nel periodo che va dal 65 al 79, raggiungendo il numero di 200. Molto conflittuali gli inizi , anche perché il periodo che si respirava era quello del ’68, del post-concilio : il nuovo stava emergendo e il vecchio non si ritirava anzi premeva sempre di più. Parecchi hanno avuto noie con i loro vescovi.
Da quasi trent’anni ci si trova a livello europeo, da un’idea nata da Carlo Carlevaris di Torino, Da Maurice Cadet del Belgio e da Fritz Sthal della Germania. Ogni anno si va in un paese diverso. In Italia per ben quattro volte: Torino, Roma, Bergamo e Bergamo ancora due anni fa.
Che idea di chiesa esce da questo movimento?
A modo nostro abbiamo creato un sinodo permanente con una composizione variegata: uomini e donne,cattolici , anglicani e protestanti, preti celibatari e non celibatari e questo ci ha dato la possibilità di confrontarci anche su tematiche scottanti nel rapporto tra le chiese, non solo un confronto ma un vivere insieme positivamente la varietà delle chiese, viste non come una ferita ma come un’opportunità anzi come un valore dove non esiste “o l’io o il tu”, ma “l’io e il tu”, non “o l’uomo o la donna”, ma “l’uomo e la donna”. Non quindi la pratica dell’”Aut…aut”, ma la pratica dell’”et…et”. Si esperimenta la cattolicità nella diversità delle espressioni. L’esperienza che abbiamo vissuto è quella di un ecumenismo autentico, dove nessuno è fratello maggiore con dei diritti sugli altri.
Incontrarsi in luoghi diversi: Madrid, Barcellona,Lisbona,Lione, Parigi, Bruxelles, Londra, Berlino, Roma, ci ha dato la possibilità di conoscere quello che sta bollendo in Europa, sia segni negativi che positivi. Ci accorgiamo che quello che succede in Italia a livello soprattutto sociale altri paesi l’hanno vissuto e si son fatte le ossa prima di noi, dando delle risposte. Qualche paese è stato da apripista. Tutto ciò è come un invito ad uscire e a guardare fuori dal solito cortile di casa. Le esperienze dell’altro , sia positive che negative ci possono aprire gli occhi.
E questo è il secondo elemento e modo di essere chiesa: l’ascolto dell’altro, senza pregiudizi, una conoscenza dell’altro che ci fa da specchio e ci fa nascere degli interrogativi. Il dialogo è tale quando incontro l’altro senza risposte preconfezionate.
Un altro aspetto che viene sottolineato da tutti i gruppi europei è quello dell’”essere con”. Scegliere di lavorare per essere come tutti ma anche abitare e vivere là dove sono i più disagiati. “Il nostro luogo di abitazione è importante come quello del lavoro. Non possiamo lavorare con dei poveri e vivere lontano da essi. I luoghi del vivere sono dei segni e ‘sacramenti’ di una priorità. Una scelta di vivere lontano dal tempio. I preti operai italiani parleranno del vivere nella stiva, sotto i ponti di comando, là dove si grida, si fatica e qualche volta si bestemmia contro questo mondo e questa economia che genera disagi e povertà.. Ed è anche sintomatico che quando i preti operai vanno in pensione continuano a vivere e lavorare in questi ambiti, del volontariato, nei quartieri popolari, con gli emarginati, con gli immigrati. C’è la pensione del lavoro ma non quella dell’impegno. Troverai allora chi a ottant’anni lavora nelle carceri, con le “Piccole Sorelle” nell’assistenza alle donne di strada, chi lascia la propria città e va a vivere ad Haiti, chi si impegna con i “sans papier”,chi lavora nei sindacati dei precari e dei disoccupati, chi va a servire alla mensa delle caritas.
I più giovani su questo aspetto sono ancora più radicali: Albert che vive con gli immigrati e li accompagna alla frontiera, subendo una condanna; Johannes e Wuck a Monaco vivono in un appartamento con otto persone, con chi non ha trovato casa o che non se la può permettere, quando un letto si libera subentra qualcun altro. Cristian a Berlino vive con 16 persone. Luca a Roma che vive in un appartamento in 8 persone, rom e altre in difficoltà.
Essere chiesa è quindi la condivisione, vivendo là dove gli uomini e le donne vivono, lavorano e soffrono, anche fisicamente, non nei palazzi, dove non arrivano le voci che vengono dal basso e si aprono le finestre solo per mandare delle risposte senza ascoltare le domande e gli interrogativi che vengono da fuori.
“Au coeur des masses” è il libro uscito in Francia negli anni 50, tradotto in Italia col titolo “Come loro”, che ha affascinato la maggior parte di noi.
L’ultimo elemento che emerge è la gratuità: gratuità del ministero e gratuità dei gesti di vita. Non si è andati a lavoro per convertire, ma per condividere.
Quale tipo di chiesa abbiamo vissuto? Una chiesa in cammino con gli uomini e le donne, condividendo la vita, il lavoro e soprattutto nell’ascolto.
Una chiesa che non è chiesa ma un’insieme di chiese nella loro particolarità con un ecumenismo che non si fa con i “sì, ma…”, con i distinguo, ma nel rispetto e nella meraviglia di quello che le chiese stanno facendo ed hanno fatto, ricevendo stimoli ed energia gli uni dagli altri.
Una chiesa che scopre percorsi inattesi e insperati là dove ci fa dire come Giacobbe sulla pietra: “Certo, il Signore è in questo luogo e io non lo sapevo”.
Il destino dei preti operai? non è questione di destino, di sapere che fine faranno.
Concludo con un aneddoto: La foresta brucia e gli animali fuggono. Il leone è l’ultimo a uscire dietro tutti. Un colibrì vola verso la foresta che brucia e il leone gli grida: “Scappa, che brucia tutto!”
Il piccolo uccello risponde:”Vado a spegnere il fuoco”. “Ma che ci fai con una goccia d’acqua?”. E il colibrì: “Ma io faccio la mia parte…”
Mario Signorelli