Convegno nazionale PO / Bergamo, 2 giugno 2012
SERVIZIO E POTERE NELLA CHIESA
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La relazione di Rosanna Virgili
Rifletteremo su questo tema a partire dal Vangelo di Marco (1).
C’è un testo che parla in maniera molto precisa di questo argomento: 10,42-45. Gli altri testi non sono così espliciti. Qui Marco parla di potere che poi declina con dei verbi e sostantivi che sono relativi al servizio.
Occorre fare una premessa: il vangelo di Marco narra la vita pubblica di Gesù in un solo anno, così come gli altri due sinottici. Solo Giovanni parla di tre anni.
Che cosa dice Marco di questo anno? La vita pubblica di Gesù inizia in Galilea, sul lago di Tiberiade. Chiama i primi quattro discepoli: Pietro e suo fratello Andrea, quindi Giacomo e Giovanni (1,16-20). Poi Pietro, Giacomo e Giovanni formano un gruppo che avrà un ruolo particolare. Dalla Galilea vanno verso il Nord, nella regione Siro-Fenicia. Da lì inizia un cammino di ritorno verso il Sud, che va a finire a Gerusalemme. Viene chiamato viaggio verso Gerusalemme, o meglio la salita verso la città santa. I salmi parlano spesso della salita alla città, perché Gerusalemme sorge sul monte Sion.
Il capitolo 10 dove si colloca? Diciamo nella seconda metà del Vangelo, quando il viaggio verso Gerusalemme è già iniziato. Oggi si fanno degli studi sincronici e questo capitolo narrativamente crea proprio il fulcro. Gesù nella sua vita pubblica vuole far conoscere se stesso. C’è una tesi che l’evangelista mette in chiara evidenza. Viene espressa con le parole che aprono il vangelo: “Inizio del Vangelo di Gesù Cristo, figlio di Dio”(1,1). Questa è la tesi, che deve però essere dimostrata. La sua vita pubblica serve a manifestare che egli era figlio di Dio.
Contestualmente c’è anche il discorso della reticenza di Gesù per farsi conoscere come Messia. A metà del vangelo, in 8,22, lui pone una domanda, per vedere fino a che punto è arrivata questa rivelazione: che cosa la gente ha capito e se veramente ha capito. “Che dice la gente di me?”. Alcuni rispondono che lui è come Elia, un profeta. La gente ha capito bene, perché per i Giudei definire una persona profeta è molto. Il grande profeta è Mosè. Hanno capito molto bene le folle, in base a quello che Gesù ha dato loro.
Poi Gesù riformula la stessa domanda per i suoi apostoli, stabilendo una differenza tra loro e le folle, la gente. Nel Vangelo di Marco le folle appaiono continuamente, esse sono il primo protagonista: la gente, il mondo, circoncisi e non circoncisi, stranieri, pubblicani e prostitute. La “Galilea delle genti” è la grande protagonista di questo Vangelo, poi viene Gesù e poi gli apostoli.
Gesù distingue: vorrebbe una risposta diversa dai suoi e la ottiene. “Ma, voi, chi dite che io sia?”. Il “ma” è molto forte. Risponde Pietro e dice: “Tu sei il Cristo”. Gesù è contento perché Pietro ha capito grazie alla scuola particolare che Gesù aveva loro offerto. Sì, perché con loro aveva dormito, mangiato, pregato. Quante cose avevano fatto insieme! Aveva parlato in parabole e solo a loro le aveva spiegate. Insomma Gesù si è preso una cura particolare per questo gruppo, chiamiamola chiesa, anche se la chiesa nascerà dopo. Pietro dunque risponde così e se il vangelo si chiudesse all’8,29 andrebbe benissimo, perché Pietro ha capito e questo è lo scopo del suo farsi conoscere.
Ma subito dopo Gesù afferma: “Il Figlio dell’uomo salirà a Gerusalemme”. E qui che cosa faranno? Ed ecco il primo annuncio della sua passione-morte-risurrezione. Ce ne saranno tre di questi annunci, ma il primo viene fatto direttamente sulla risposta di Pietro, che tra l’altro è il portavoce della comunità apostolica. Poi continua: “Lo consegneranno e poi sarà ucciso e il terzo giorno risorgerà”.
Il primo annuncio ha meno dettagli, il secondo ne avrà di più: “lo flagelleranno, gli sputeranno addosso…” Gesù rivela che cosa ci sta dentro la sua messianicità. E qui cade l’asino. Il problema di Pietro nasce qui, lui che è stato il primo ad essere chiamato, che ha avuto il miracolo della suocera guarita dalla febbre. Gesù viveva a casa di Pietro, approfittava delle barche dei figli di Zebedeo. Essi sono diventati la sua famiglia. Quando gli dicono tua madre e i tuoi fratelli ti cercano lui risponde “chi è mia madre, chi sono i miei fratelli?”. C’era un’assoluta familiarità, un legame più forte di quello del sangue fra Gesù e i suoi discepoli.
Poi Pietro non accetta il modo con cui Gesù parla del suo essere messia. Tant’è vero che lo rimprovera e Gesù replica a questo rimprovero dicendo “Vai dietro di me”. Che significa “non passarmi avanti” e lo chiama Satana (8,33). Penso che Gesù non sia stato così duro con nessuno come lo è stato con Pietro in questo momento.
Ma poi il problema si rivela con tutto il collegio apostolico, con tutto il gruppo. Al secondo e terzo annuncio della passione, che noi troviamo al capitoli 9 e 10, quando questo cammino verso Gerusalemme è già in corso. Gesù andrà a Gerusalemme a mostrare veramente la sua identità di Figlio di Dio, perché questa identità Gesù la mostra in maniera finale sulla croce. Ma questa croce naturalmente scandalizza. Su quale fronte scandalizza?
Nei due annunci che seguono, la reazione dei discepoli avviene proprio sul tema del potere. In 9, 31-35 viene narrata la reazione di tutti. Al suo annuncio segue un silenzio di tomba. Poi si fermano ed entrano in una casa, a Cafarnao, e Gesù chiede: “Di che cosa parlavate lungo la strada?”. Che cosa si è consumato tra Gesù e questa gente?
Questa è la tradizione apostolica, non tanto diversa da quella di oggi. I Vangeli raccontano l’esperienza della chiesa primitiva, che è questa, in cui la tentazione del potere, la mentalità del mondo era normale. Quando si parla di complotti in Vaticano, la cosa che a me fa male, è che questo non è diverso da tutti gli altri ambienti di potere. Così succedeva già nella prima comunità. Non possiamo pensare ai Vangeli come se fossero cose pure, non è così. La realtà umana era quella.
Vediamo un po’: camminavano insieme, avevano un unico destino. Gli apostoli, anche loro, avevano rinunciato a qualcosa. I figli di Zebedeo avevano rinunciato all’azienda familiare. Avevano sì continuato a fare i pescatori, ma di uomini, cioè con un’altra logica: la logica della gratuità, solidarietà. Quando facevano i pescatori di pesce avevano la logica proprietaria e mercantile, dell’azienda, come abbiamo oggi nel nostro mondo. E questo è il cambiamento. Non cambiano il tipo di lavoro, ma lo fanno secondo un’economia che è quella del bene di tutti. Con questa scelta in un certo senso si erano compromessi. Da Giovanni sappiamo che essi avevano paura dei Giudei.
Il rinnegamento di Pietro è quasi peggio, dal punto di vista umano, del tradimento di Giuda. “Anche tu eri con lui, tu sei Galileo”. E Pietro risponde: “Non l’ho mai conosciuto”. Nella bibbia non c’è peccato più grave di questo. Lo troviamo in Osea, nella parabola del rapporto tra Dio e Gerusalemme, in cui Dio è lo sposo di questa donna che è Gerusalemme, che l’ha tradito con molti amanti. Essa ha fatto passare i figli per il fuoco, ha bruciato i figli che erano di Dio (il riferimento è all’idolatria in cui c’erano sacrifici di bambini). Ma questo era niente in confronto al fatto “che tu hai detto che non è mai esistito tra noi questo amore” (Ez 16 ). Il tradimento è davvero più grave e Pietro lo fa. E questo è fortissimo.
Ritorniamo allo scollamento che si crea tra Gesù e i suoi. Essi erano un tutt’uno, avevano ormai condiviso il loro destino. Però nel cammino verso Gerusalemme (là dove sarebbe avvenuto il fatto fondamentale sulla messianicità di Gesù, sul suo essere figlio di Dio, sul suo vangelo, sulla sua verità) camminano insieme ma non c’è comunicazione. È una cosa tremenda che fa male, triste. E Gesù chiede: “Ma per strada di che cosa parlavate?”. Ed essi tacciono, c’è qui l’interruzione del dialogo fra loro. Perché tacciono? Fra loro avevano parlato di chi tra loro fosse il più grande. È il potere che è più forte di tutto, anche della ricchezza.
Arriviamo allora al terzo annuncio, alla replica che Gesù dà del suo annuncio: il figlio dell’uomo deve essere consegnato per essere messo a morte e poi risorgere. Come ragionano fra loro i figli di Zebedeo? “Quando sarai nel tuo regno potresti darci un posto di favore, uno a destra e uno a sinistra?”. Povero Gesù! È un fallito. Come maestro, nel Vangelo di Marco, ha proprio fallito.
Ma qual’ è la reazione di Gesù, nei confronti di questa assoluta estraneità? I figli di Zebedeo facevano parte del gruppo dei quattro, tra i primi ad essere chiamati. Nel capitolo 9 li troviamo sul monte della trasfigurazione. Hanno avuto un trattamento speciale all’interno del gruppo dei dodici che già avevano un rapporto speciale con Gesù . Essi l’hanno visto con le vesti bianche, sfolgorante come davvero Figlio di Dio. Ma non è bastata neppure la visione sul monte a far cambiare la loro mentalità.
La Bibbia è storia, questa storia (quasi potremmo dire qui che mal comune è mezzo gaudio). Altrimenti facciamo del fondamentalismo. La trasformiamo in un qualcosa di completamente integro. La storia della chiesa è piena di corruzione già lì.
I Vangeli che cosa sono in effetti? Sono una seconda catechesi, un tentativo ulteriore di evangelizzare. Infatti essi sono degli scritti tardivi, composti dopo le lettere di Paolo, verso gli anni 80. Queste cose già nella chiesa primitiva si vivevano. Ecco perché i Vangeli sono così critici, essi sono degli scritti profetici perché critici nei confronti della prassi della chiesa. Non possiamo pensare quindi che essi siano il luogo puro e poi viene la chiesa, perché non è vero. Infatti prima viene la chiesa, poi la scrittura su Gesù e poi la scrittura dei vangeli.
Il problema dunque è questo: come reagisce Gesù dinanzi a questa distanza tra lui e loro? Alza la misura della sua parola nel senso che si fa ancora più maestro. Non si scandalizza e non dice “basta!” perché non avevano capito niente. Poteva comportarsi come Dio-Adonai nel libro dell’Esodo dove nel cap. 24, stipula l’alleanza e nel capitolo 32 c’è il vitello d’oro. Dice basta e si rivolge a Mosè: “Prendo te che sei fedele e mi rivolgo ad un altro popolo”. Ma Mosè risponde che se Dio cancella il suo popolo deve cancellare pure lui.
Allora, come reagisce Gesù? Diventa ancora più dolce dinanzi a questa corruzione. Eppure gli apostoli avevano fatto le stesse cose che lui aveva fatto. Avevano veramente potere, exousìa. Gesù parlava infatti con exousìa. Anch’essi avevano evangelizzato villaggi, mandati due a due a compiere miracoli e avevano guarito delle persone. Le stesse e identiche cose che aveva fatto lui, anzi, mai da solo ma sempre insieme a loro. Egli fa tutto in gruppo, in comunione con loro. Ma essi non sono riusciti a cambiare la brama del cuore. È troppo forte!
Gesù non ci riesce, però riprova, con tanta pazienza. (Allora quando vedete la corruzione non stigmatizzate, altrimenti facciamo come la santa inquisizione. Certamente il giudizio deve essere chiaro, ma non vogliamo diventare come loro). Gesù rincara la dose della sua sapienza a parole e gesti. Chiamerei questa “retorica”, l’arte del persuadere.
“Quelli che sono ritenuti i capi, che governano, che cosa fanno?” Due cose, espresse con due verbi: katà exousiazo, katà kyrieuo. “Katà” in greco significa “su”, “sopra”. Exousìa è l’autorità. Exousiazo è esercitare l’autorità, e viene tradotto con “esercitare il potere”. Exousia katà vuol dire premere, imporsi su quello che sta sotto.
Gesù viene definito come colui che parla con metà exousìa dove “metà” vuol dire “con”. Quella è l’autorità o l’autorevolezza, mentre potere consiste nel mettere la propria exousìa katà, cioè sopra.
Katà kyrieuo viene tradotto con dominare. “Kyrios” è il padrone, il signore, uno che mette sempre un “katà” sempre su, una corona sopra di te, ti domina. Questo è il potere, è un uomo solo, sempre solo. Io sono sopra e sono solo io e non faccio altro che farti assorbire quello che io sono.
Gli imperatori sono divini. Il faraone d’Egitto manda giù la sua divinità su quelli che sono sotto e tutti gli altri sono suoi sudditi. Nella cultura biblica il messia poteva essere considerato così, come qualcuno che venisse a dominare quel popolo e a far scendere dall’alto la sua messianicità.
Ecco che cosa scandalizza Pietro: la messianicità dal basso. Eh no! e allora sei come tutti noi, noi vogliamo un messia, non un uomo. Ed ecco allora come si rovescia il linguaggio: Gesù è un vero maestro di sapienza, con un linguaggio straordinario. Egli utilizza le tecniche che la sapienza biblica conosce e inventa altri generi letterari, come le parabole, per farsi comprendere di più. E dice ancora: “E tra voi non sia così”. Il discorso che Gesù fa, è bello, gli dedica tempo. Ma il tempo si fa breve, perché sta per arrivare a Gerusalemme. Però quando si tratta di dire il confine sottile, sottilissimo tra potere del mondo e autorità del servizio, lui ci perde tempo, perché il problema nasce sul confine.
E allora dice: “Tra voi non sia così. In questo modo, no!”. Gesù svolge quello che anche Geremia doveva svolgere: per avere una cosa nuova bisogna distruggere quella vecchia, ars déstruens. Non si può scendere a compromessi col “katà”, bisogna cambiare la posizione ed è una questione di prospettiva mentale. “Chi tra voi vuol essere mega (non dice che tra voi non ci saranno dei grandi) come dovrà essere? “Doulos”, schiavo, servo. Qual è la posizione, l’immagine che ne esce? L’alto è il basso, il grande è doulos. Doulos è qualcosa che sembra niente, è qualcuno che è dipendente, che non ha una propria identità. A Roma gli schiavi si chiamavano res, cosa. Quando Paolo dirà: “Rivestitevi di Cristo”, con questo versetto ci supera, è molto più avanti di noi: “Non c’è più né giudeo né greco, né maschio né femmina (rivoluzione antropomorfica incredibile!), né uomo né donna, né schiavo né libero” (Gal 3,28).
C’è questo contrasto di significati che Gesù ha avuto presente. Poi dice: “Chi tra voi vuol essere protos, il primo, il capo, sia appunto diacono, doulos. La diaconia. È chiarissima questa idiosincrasia tra Gesù e i suoi. Ma lui ci presenta un modo con cui avere a che fare con questi apostoli. La gente che aveva accanto era questa, era gente che non aveva cambiato mentalità sul punto fondamentale, proprio quello dell’essere grandi e quindi avere potere. Da questo momento in poi gli apostoli abbandonano Gesù. Il potere non è un argomento facoltativo, ma è il punto focale. Tant’è vero che Gesù presenta se stesso come esempio di diaconia: “il figlio dell’uomo infatti è venuto per servire”, essere diacono.
Approfitto per dire che le donne nei vangeli sono diacone, prima ancora di Filippo e dei sette diaconi. Gesù è il diacono, e le prime che lo hanno emulato sono state le donne: a parte Maria la schiava del Signore, quello che fa Marta di Betania, per ben due volte, si chiama diaconia. Tutto questo per dire che nei Vangeli c’è un’istanza critica fortissima, anche nel rapporto tra maschi e femmine nella comunità cristiana. Esse furono le prime ad accogliere il Vangelo (nelle lettere di Paolo e negli Atti troviamo Lidia, per fare un esempio). Poi piano piano anche dentro il nuovo testamento, vedi le lettere a Timoteo, si viene risucchiati nel giudaismo per quanto riguarda il maschilismo. Il discorso delle donne è anche legato al sacerdozio, perché le donne non potevano esercitare, essere sacerdoti. Potevano appartenere alla famiglia di Levi (vedi Elisabetta), ma non erano sacerdoti.
E allora il discorso di Paolo “Rivestitevi di Cristo, non c’è più né maschio né femmina” è l’abolizione di un sacerdozio di potere, di una circoncisione di potere. Per quanto riguarda maschio e femmina sicuramente, perché le donne non erano circoncise. Tutto ciò che il cristianesimo propone è una rivoluzione. Lui è venuto a servire, ma chi diventa testimone di quello che Gesù dice in questi versetti 26-28?
Gli apostoli che fine fanno? Gesù chiede la loro compagnia quella notte sul monte degli Ulivi. Ma non trova risposta: “Pietro dormi?” È forte. È un tète a tète. Si rivolge a Pietro perché avrebbe voluto la sua compagnia.
Poi c’è la consegna. Giuda che era l’economo, la persona più fidata si sa quello che fa, c’è tutto il discorso del mercato. Poi Pietro rinnega. Ma soprattutto chi è testimone per essere apostolo? Essere apostolo. Paolo ha faticato molto per legittimarsi come tale, perché non aveva avuto la sorte dei dodici, la loro apostolicità. Ma su che cosa si basa la loro apostolicità (vescovi successori degli apostoli)? È sulla testimonianza dei miracoli, delle sue parole, delle sue parabole, ma soprattutto sulla croce, di essere stati soprattutto testimoni della sua morte in croce e poi della sua risurrezione.
C’è una provocazione fortissima su questo punto. In Marco è ancora più forte rispetto agli altri sinottici perché lui non presenta nessun apostolo sotto la croce. Non c’è nessuno di loro. Vi è l’abbandono, la fuga. Ma dove comincia la fuga? Là dove il potere non è più servizio. È lì la fuga e l’abbandono. Non stanno sotto la croce. Chi è che fa la verifica? Un centurione romano, che vedendo come moriva Gesù dice: “Costui era Figlio di Dio”. Vi pare niente? Non c’è nulla di più polemico nei Vangeli. Il centurione era il più distante in assoluto. Non ci sono sotto la croce, non ci sono quando il corpo viene deposto. Ma questo è il kérigma, è il Vangelo, e loro non erano lì.
Paolo dice in 1 Cor 15,25: “Trasmetto quello che io ho ricevuto, che il Signore Gesù morì e fu sepolto, è risorto ed è apparso”. I due secondi verbi sono una riprova. Il fatto stesso che venisse sepolto è importante, è il kérigma, è l’annuncio. È risorto ed è apparso: la controprova, la conferma che veramente è risorto. E dov’erano loro? Non c’erano neppure la mattina della risurrezione. Quei versetti sono la finale del Vangelo, il resto è un’aggiunta. Non c’erano mai! Che fine hanno fatto? Questo è Marco, il protovangelo.
Vediamo invece chi c’è. C’erano le donne, non casualmente, esse che non erano state chiamate. Si giustifica l’autorità per il fatto che si ha avuto una vocazione, esse non l’hanno avuta. Gesù non è andato a chiamare le donne, però esse l’hanno capito (l’emorroissa, la figlia di Giairo), e loro c’erano sotto la croce. Bellissimo, c’è una deontologia, una finezza: “L’avevano seguito da lontano”. Qui c’è una provocazione fortissima. Chi dà loro l’autorità di essere apostole? Perché sono loro che andranno ad annunciare a Pietro e agli apostoli che il Signore era risorto e che la storia ricominciava. Nel nostro mondo cattolico di questo si parla troppo poco. Il potere autentico sta in questo servizio che le donne faranno annunciando il Cristo risorto, perché sono loro che lo vanno ad annunciare. Maria di Magdala non sarà creduta. Come si conclude la storia di Gesù con i suoi apostoli? Da risorto riuscirà veramente a coinvolgerli?
Nella comunità ci sono giochi di potere tra Giacomo, Pietro e Paolo. Quanti conflitti! E veramente una storia di confusioni, di scontri, che però sono costruttivi. In effetti il Nuovo Testamento ci insegna che la chiesa bene o male ce la fa. Certo, chi è il più grande apostolo? È Paolo. il suo pedigree lo conosciamo, non è stato tra i dodici.
Mi sembra di poter dire questo sul rapporto dialettico tra potere e servizio: il potere si scolla dal servizio e il servizio non è contemplato come potere. Il servizio è quello dei grandi della comunità. È il servizio che fa dire: quell’uomo è grande, è il primo. Si parte quindi dal basso, da questa diaconia.
Riassumo la diaconia di Gesù in questi cinque atteggiamenti.
1) Gesù è diacono perché ascolta. Tutto quello che lui fa nei vangeli è una risposta, non è una proposta. Anche le beatitudini sono una risposta: “Vedendo le folle che lo seguivano…”. Lui sapeva interpretare e la sua vita pubblica è determinata dalla domanda della gente. La parola di Dio è una risposta. In Esodo 2 noi sappiamo che il popolo grida e il primo modo di presentarsi di Dio è che lui “ascolta”. Israele deve ascoltare per fare come Dio. Se Dio ha un potere in mezzo al suo popolo è perché ascolta. Questo è veramente partire dal basso.
Quando la chiesa diventa di potere? Quando non ascolta. Il problema di oggi è che siamo di fronte (lo dico perché sono docente di esegesi e vivo in certi ambienti) a una chiesa che non ascolta, che non si rende conto di quelle che sono le parole della gente, di quello che la gente vive.
2) Gesù si mette su un piano orizzontale, con gli altri, con le folle. Tocca il lebbroso e poi parla con lui. Il lebbroso non è un portatore di lebbra e io vado e lo guarisco. È un essere umano e quindi un essere parlante. Quello che la chiesa deve fare è dialogare, conoscere la persona che sta accanto. Gesù sta a fianco di loro, sa mettersi in relazione.
Il “katà” allora è una sete di potere quando non dialoga, quando non si contagia, quando non ha una concezione della comunità. Parlare di democrazia è quasi proibito. Sarebbe interessante fare una ricerca sulle radici della democrazia nella Bibbia, perfino nella Torà. Però non se ne può parlare assolutamente perché sembra un’eresia. Perfino la Regola benedettina è democratica. Questa è la rivoluzione: che perfino l’abate venisse eletto. “Sia fatto abate uno che tutta la comunità ha eletto nel timore del Signore”. E poi il primato della Regola sull’abate.
Gesù con la sua comunità come si comporta? Altro che democraticamente! Se fosse stato uno che scomunicava sarebbe rimasto solo molto presto. C’è un continuo dialogo con tutti.
3) Una chiesa diventa di potere se non prende su di sé il dolore del mondo, la pena del mondo, la cura del mondo, cioè delle persone. Gesù sentì che gli era uscito un potere nell’incontro con l’emorroissa, perché si era sentito contagiato dal sangue di questa donna. E questo significava morte perché da dodici anni era negata alla vita e non solo, le fu levata. In Levitico 13 si parla di tutto ciò che regola il sangue. Per cui la donna è isolata, non deve toccare neanche le suppellettili, non deve toccare nessuno! Se non avviene questo “assumere su di sé”, l’agire della chiesa diventa semplicemente un potere, in un’estraneità. E la parola diventa semplicemente “katà kirieuo”, l’imposizione di un precetto.
Parliamo della risurrezione dei corpi: dire cose incomprensibili, anche questo è potere. Il nostro corpo risorgerà. Ma che significa oggi? Ci troviamo davanti al fondamento della fede cristiana e Paolo dice “se noi non crediamo che risorgeremo neppure Cristo è risorto” (1 Cor 15).
Non parliamo poi dei sacramenti, che sempre più diventano cose incomprensibili, nel senso che non portano salvezza. Ho un figlio che sta preparandosi alla cresima: non sa niente di niente!.
Io insegno per la licenza in teologia: è una tragedia. Dove sono i fondamenti biblici dei sacramenti? Da che cosa si è partiti? come sono stati utilizzati dalla dogmatica? Ci potrebbe essere una sacramentalità straordinaria che si può ricavare dalla Bibbia. Invece c’è un’estraneità perché si fa e si dicono cose incomprensibili. Tanto più i riti e i gesti.
4) Gesù sapeva trasformare le parole in parabole. Il regno di Dio può diventare una parabola. Qui possiamo parlare anche del dialogo con la cultura. Il famoso discorso del papa Benedetto XVI, che poi non fu pronunciato all’università di Roma, parla un linguaggio che assolutamente ignora la filosofia, dalla scolastica in poi. Ignora tutto il cammino del pensiero. Parte da un linguaggio non più conosciuto.
5) La chiesa diventa chiesa di potere quando è fine a se stessa, autoreferenziale. Questo si vede moltissimo quando il suo linguaggio diventa difensivo. Quando ci fu la questione orrenda della pedofilia, il mondo cattolico andò a san Pietro a fare solidarietà col papa: un gesto assolutamente negativo. Bisognava difendere il papa, come se si dovesse difendere il messaggio cristiano. Il messaggio cristiano è allo sbaraglio, è una parola aperta, che non ha bisogno di essere difesa. Il Vangelo va speso. E perché allora non abbiamo fatto una manifestazione per custodire i bambini? Non è stata fatta. Quel linguaggio difensivo che cosa significa? Potere come abbandono, non essere più dentro questo mondo, questo essere società non è più un “essere per”.
Concludo usando l’immagine eucaristica. Gesù dice: “Questo è il mio corpo e il mio sangue versato per voi”. Penso che qui si stabilisca quel confine leggero, ma profondo fra potere e servizio.
Rosanna Virgili
(1) Gli esegeti moderni hanno scoperto la priorità di Marco, considerato una fonte dei vangeli sinottici, ritenuti sino a 40-50 anni fa, nel mondo dell’esegesi più scientifica, più accreditati dal punto di vista storico rispetto a Giovanni, vangelo più teologico. Oggi, al contrario, si tende ad attribuire a Giovanni una più alta credibilità e fedeltà.
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