Bergamo, 27 aprile 2013 / gli interventi (2)
Che cos’è la parola? Cosa intendiamo con questo termine?
Per essere tale essa ha bisogno di essere ascoltata da qualcuno, altrimenti è un suono vuoto. Ma anche in questo caso può diventare insignificante. Va capita per non essere solo un suono gutturale.
Siamo in un contesto in cui le parole non valgono più nulla, troppe parole. C’è un invasione della parola, essa ha perso il suo fascino e Il suo valore. “In principio era il Verbo”. Ma che significato aveva questo Verbo? La Bibbia inizia con: “In principio Dio creò il cielo e la terra” e poi: “ Dio disse: sia fatta la luce, e la luce fu”. La parola allora è creazione , è l’inizio di un movimento, è un progetto. La parola è libera, ma spesse volta è tenuta in prigione, fatta zittire, è come un seme tenuto sotto chiave come nella banca del seme. Il problema è antico e fa parte di tutte le strutture che hanno assunto una dimensione piramidale e si sono trasformate in potere.
Per uscire da questo è necessario distinguere fede e religione. Non sono la stessa cosa. Quando il cristianesimo si è trasformato in religione, la parola ha incominciato ad essere messa sotto chiave, utilizzata “ad usum delphini”. Tant’è che i primi concili sono stati riuniti per mezzo dell’imperatore Costantino a cui poco importavano i dogmi, ma importava l’unità dell’impero ed era stanco delle diatribe tra le varie chiese. Diatribe che erano un tentativo di chiarire, di aprire spazi e sentieri inesplorati.
Quindi una struttura imperiale, dove tutto cala dall’alto, dove il dissenso non è tollerato e l’eretico, che prima era colui “che percorreva strade diverse” e che la pensava diversamente è stato isolato ed estromesso. Con la libertà concessa dall’imperatore si sono cominciate a costruire le basiliche, dove la parola cala dall’alto, dal pulpito, dall’ambone e il popolo che stava sotto in silenzio. Con l’andar del tempo l’altare rimane sempre più in alto, separato. E’questa la chiesa che abbiamo conosciuto. Nel vangelo di Tommaso si parla di Gesù che va in cerca della pecora che era uscita dal gregge, lui la prende sulle spalle e le dice. “Ti amo più delle altre”. Perché? Aveva percorso strade nuove, ha avuto il coraggio di smarrirsi, curiosa e uscire dai soliti schemi. Era proprio l’immagine del maestro, in essa lui si è rispecchiato.
I discepoli di Gesù tentano già di mettere i recinti nel loro peregrinare: “Abbiamo visto uno che non è dei nostri fare miracoli”. Il maestro risponde.”Lasciatelo stare, chi non è contro di noi è per noi”. Significativo il riferimento delle prime esperienze dopo la pentecoste al profeta Gioele: “Su tutti effonderò il mio Spirito; i vostri figli e le vostre figlie profetizzeranno, i vostri giovani avranno visioni e i vostri anziani faranno sogni. E anche sui miei servi e sulle mie serve in quei giorni effonderò il mio Spirito ed essi profetizzeranno” (At 2,17-18). I giovani hanno delle visioni, i vecchi dei sogni. Il Concilio era nel momento della nostra giovinezza, e facevamo dei progetti ed abbiamo iniziato “diventando carne”, per capire il linguaggio di chi lavora, soffre. E’ stata la scelta del lavoro, della condivisione. Questa è stata la nostra storia, ora ci aspetta il compito di sognare, fare sogni, che non sono altro che idee, che nascono dalla storia. Nei racconti biblici Dio parla attraverso i profeti e molto anche con i sogni, i sogni di Giuseppe, i sogni di Giacobbe, i sogni di Isaia. Parla poco attraverso i sacerdoti, forse perché si sono impelagati troppo col potere.
Ritengo importante perché ciò avvenga uscire dal paradigma del sacro, del religioso, che si regge sugli schemi del dualismo: del bianco e del nero, del buono e del cattivo, del bello e del brutto. La verità non è l’aut-aut, essa è più complessa e variegata, è “et- et”, che esce dallo schema di maggioranza e minoranza. Se la maggioranza vince al 51% , c’è sempre un 49% che rema contro. E’ lo schema nonviolento che va percorso. Questo presuppone un’educazione all’ascolto.
Nella mia quotidianità mi accorgo che ascoltando ho la possibilità di aprire maggiormente la mente, mi arricchisco. Meditando insieme sulla Parola, escono sempre delle sorprese, ci si arricchisce e spesse volte dico: ”Non ci avevo mai pensato”. Questo è possibile in piccoli gruppi, piccole comunità, che hanno più possibilità di confronto , di arricchimento reciproco. Stiamo uscendo da un periodo fatto di raduni di massa, di grandi numeri, dove quello che conta è la grandezza, l’apparire. Se la parola rimane come una reliquia da venerare, che viene tirata fuori nelle feste e nelle processioni, diventa idolatria. Si entra in un circolo incestuoso, che a lungo andare produce degli scompensi, delle tare. Già Gesù parlava di sale che diventa senza sapore, se lasciato lì, rinchiuso.
Ritornando alla condivisione dell’ascolto che determina sempre delle sorprese vorrei partire da un aneddoto:
In un villaggio una donna ebbe la sorpresa di trovare sulla soglia di casa uno straniero piuttosto ben vestito che le chiese qualcosa da mangiare: “Mi dispiace”, ella rispose, “al momento non ho in casa niente”. “Non si preoccupi”, replicò lo sconosciuto amabilmente,”ho nella bisaccia un sasso per minestra. Se mi darete il permesso di metterlo in una pentola di acqua bollente, preparerò la zuppa più deliziosa del mondo. Mi occorre una pentola molto grande, per favore”. La donna era incuriosita. Mise la pentola sul fuoco e andò a confidare il segreto del sasso per minestra a una vicina di casa. Quando l’acqua cominciò a bollire, c’erano tutti i vicini, accorsi a vedere lo straniero e il suo sasso. Egli depose il sasso nell’acqua, poi ne assaggiò un cucchiaio ed esclamò con aria beata.”Ah, che delizia! Mancano solo delle patate”. “Io ho delle patate in cucina”, esclamò una donna. Pochi minuti dopo era di ritorno con una grande quantità di patate tagliate a fette, che furono gettate nel pentolone. Allora lo straniero assaggiò di nuovo il brodo. “Eccellente”, gridò. Poi però aggiunse con aria malinconica: “Se solo avessimo un po’ di carne, diventerebbe uno squisito stufato”. Un’altra massaia corse a casa per andare a prendere della carne, che l’uomo accettò con garbo e gettò nella pentola. Al nuovo assaggio, egli alzò gli occhi al cielo e disse: “ Ah, manca solo un po’ di verdura e poi sarebbe perfetto, veramente perfetto”. Una delle vicine corse a casa e tornò con un cesto pieno di carote e cipolle. Dopo aver messo anche queste nella zuppa, lo straniero assaggiò il miscuglio e dichiarò con tuono impetuoso: “Sale e salsa”. “Eccoli”, disse la padrona di casa. Poi un altro ordine: “Scodelle per tutti”. La gente corse a casa a prendere le scodelle. Qualcuno portò anche pane e frutta. Poi si sedettero tutti a tavola, mentre lo straniero distribuiva grosse porzioni della sua incredibile zuppa. Tutti provavano una strana felicità, ridevano, chiacchieravano e gustavano il loro primo vero pasto in comune. In mezzo all’allegria generale, lo straniero scivolò fuori silenziosamente, lasciando il sasso miracoloso affinché potessero usarlo tutte le volte che volevano per preparare la minestra più buona del mondo.
Il sasso se lasciato fermo non produce nulla, esso ha bisogno di condivisione, di essere laboratorio di idee, altrimenti può diventare un idolo muto, che non dice più niente, rinchiuso nel sacco, nei templi, come energia sepolta. La minestra è buona perché ognuno ci ha messo qualcosa del suo. Così la parola, quando è condivisa, è “ costruita insieme”, essa diventa fonte di gioia. Essa ha avuto bisogno di un facilitatore, e questo è il ruolo di chi coordina i gruppi, le comunità. Coordinare, non gestire.
“ Fino a quando nelle nostre città la costruzione del Regno non sarà organizzata dagli amici del cambio, dai poveri che si ribellano, dagli appassionati della rivolta, dai condannati alle piccole croci quotidiane, da chi rimane schiacciato sotto, da chi è ingiustamente spogliato di tutto come il Cristo, da chi viene abbeverato con l’aceto e il fiele di una vita insostenibile, avremo sempre aurore senza mattino, i macigni continueranno ad ostruire i nostri sepolcri, lasciandoci privi di una memoria spiritualmente eversiva. Le pietre scartate dai costruttori fanno le sorti della storia. Il loro anelito di vita muti in serbatoio di speranze questa allucinante vallata di tombe che è la terra “ (Tonino Bello).
Un altro aspetto è il linguaggio, comprensibile. Uno di questi giorni sono andato ad un funerale di un amico prete. La chiesa gremita. Sono arrivato prima e sono rimasto in silenzio nella chiesa. Rosario, litanie, preghiere per tutti e chi recitava era contenta di farsi sentire. Guardavo la chiesa, piena di tutto, santi, madonne (ce n’erano tre), candelabri sull’altare (ne ho contati 13). Liturgia obsoleta, con un linguaggio fuori dal tempo, preghiere che invocavano la liberazione dall’inferno. La visione di un Dio che sacrifica suo figlio ed è contento per quello. Canti che dicono tutto e non dicono nulla. Preghiere dei fedeli nate a tavolino e calibrate col bilancino. E la Parola dov’era? La dentro non c’era uno spazio vuoto, un po’ di silenzio. Solo la commozione delle persone. Come può la Parola essere creatrice? Mi son detto: questo è quello che ci siamo costruiti in questi 500 anni di storia. Voler cambiare e togliere tutte quelle infrastrutture tutto d’un colpo creerebbe solo sconquasso. Avere un progetto e poi cambiare una cosa per volta. Togliere come nel gioco che facevamo da ragazzini, lo shanghai, un bastoncino per volta, senza muovere quello vicino. Alla fine il mucchio scompare. E’ un percorso, che potrebbe essere anche quello del labirinto, dove è difficile uscire con il rischio di rigirare su se stessi. E’ necessario allora un filo di Arianna che ci conduca alla porta, all’origine. Un filo che è un progetto che non ripercorre le pappe trite e ritrite ormai senza energia e vuote, come sale scipito, con compagni di viaggio che sono i veri soggetti del regno, quelli amati da Gesù, pietre scartate, detriti dell’umanità.
Mario Signorelli