Bergamo, 27 aprile 2013 / gli interventi (5)


 

Ho cercato di collegare il tema che ci vede impegnati in questo nostro annuale incontro , Parola incatenata – Parola liberata – La Parola ci libera – con una icone biblica: l’incontro di Gesù con la samaritana.
Leggendo questo racconto ci si accorge che lentamente i due si sciolgono, si liberano, come rigenerati da un’aria nuova, che ti fa respirare liberamente, che ti fa sentire momento dopo momento a tuo agio.
L’evangelista Giovanni introduce l’incontro di Gesù con la samaritana con questa annotazione: “ I farisei avevano sentito dire che Gesù battezzava e faceva più discepoli di Giovanni. Non era Gesù, però, che battezzava; erano i suoi discepoli. Quando egli lo seppe, lasciò il territorio della Giudea e se ne andò verso la Galilea, perciò doveva attraversare la Samaria”.
Gesù lascia un ambiente dall’aria soffocante; un ambiente gretto, bigotto, senz’anima e creatività: un ambiente quotidianamente solcato da beghe clericali, tendenti unicamente all’autoaffermazione e alla difesa del proprio territorio. E ritorna in Galilea da dove era partito.
E’ grande il rischio di progettare la nostra vita dimenticandoci delle nostre origini, dell’aria che ha riempito i nostri polmoni appena usciti dal grembo materno, dell’ambiente e delle persone che hanno costituito l’habitat quotidiano nel quale abbiamo cominciato a familiarizzare con la vita.
Non dimenticherò mai la grande fortuna/grazia di essere nato in una famiglia povera, ricca soltanto di tanti fratelli e sorelle. Fino ai 13/14 anni ho vissuto con loro una vita di stenti; ma era la condizione di molti altri dalle mie parti in quel secondo dopo guerra. Povertà culturale, molto bisogno di lavoro, un lavoro qualsiasi pur di campare:  il papà fabbro di campagna, due sorelle a servizio presso signori di città, un fratello ‘famiglio’ ed io  garzone di bottega prima da sarto e poi da barbiere. E poi, non so come, catapultato in un mondo estraneo, non cercato: il seminario ( tutta colpa di un prete che mi ha proposto di riprendere gli studi in seminario: alle spese ci avrebbe pensato lui!).
Appena prete, curato in una parrocchia di città, ho subito avvertito un forte disagio: il ruolo che mi era stato affidato mi risultava personalmente molto faticoso da sostenere, mi muovevo in modo ‘impacciato’. Provavo una fastidiosa sofferenza di non poter costruire relazioni quotidiane libere con le persone. E fu così che subito, in quei primi anni, riemerse la nostalgia della mia originaria appartenenza ad una classe di persone che lavora molto e parla poco, che non ha particolari paure perchè possiede poco o niente, che sa gustare e gioire della solidarietà ricevuta e donata., che non coltiva il senso della proprietà ma tiene in gran considerazione la dignità della persona. Da tutto questo è sgorgata in me, come necessaria la decisione di entrare in condizione operaia: scelta fatta non come esperienza , ma come condizione di vita.
“Doveva attraversare la Samaria”: per incontrare chi?
Non era una necessità di strada: infatti era normale che un Giudeo per andare in Galilea non passasse per la Samaria, ma lungo il Giordano. Era perciò un’altra la necessità che lo costringeva ad “attraversare la Samaria”: il bisogno di acqua pulita…. non stagnante dove domina l’ovvio, il già stabilito.
Solo quando la vita che conduci comincia ad apparirti come non più vera, allora senti dentro di te il bisogno, la necessità di cambiare strada, mettendo in gioco tutto, non più bloccato dalla paura di quel che ti può succedere : è tale il desiderio di nuovo  che ogni passo in avanti è comunque verso la libertà.
E per incontrare chi? La sconcertante meraviglia dei discepoli nel vedere il loro maestro parlare al pozzo di Giacobbe con una donna samaritana, dimostra che qualcosa di totalmente nuovo stava succedendo, che non entrava nei loro tradizionali schemi di vita.
Gesù desidera incontri veri, non schermati da pregiudizi: incontri liberi in cui l’urgenza è il tuo bisogno dell’altro, nella verità della sua situazione, nella spontaneità dell’approccio che ti incuriosisce e permette di rivelarsi lentamente l’uno all’altro, suscitando responsabilità reciproche.
Mi ricordo benissimo gli sguardi delle mie compagne e compagni di lavoro il giorno in cui sono entrato in fabbrica: mi sentivo osservato mentre nello spogliatoio mettevo la tuta di lavoro, mentre giorno dopo giorno prendevo, a fatica, dimestichezza con gli strumenti di lavoro e il ritmo della catena. Ero imbarazzato io..ma lo erano anche loro, mentre si chiedevano ‘che è venuto a fare questo prete in mezzo a noi, in fabbrica, entrando dalla porta degli operai?’.
Entrare in fabbrica è stato per me come incontrarmi finalmente con tante parole vere, i miei compagni e compagne di lavoro, che mi hanno liberato il respiro, riscaldandomi il cuore, stanco di rapporti senza passione: è stata una inebriante  rigenerazione.

Gianni Alessandria

 


 

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