Bergamo, 27 aprile 2013 / gli interventi (6)
All’inizio della mia vita cristiana, avrei voluto scegliere esperienze di vita comunitaria e di accoglienza, ma i giovani con i quali condividevo la mia scelta erano di diverso parere: tra loro, anche colui che sarebbe diventato mio marito. Così, ho dovuto trovare ciò che volevo nella vita comune rinunciando, per amore loro, alle strade che avrei scelto. Sono passati quaranta anni e ho vissuto la vita normale, di tutti un po’ da marziana perché mi sono sempre mancati i comportamenti comuni, quelli che tutti praticano. E faccio proprio l’esempio della comunicazione con gli altri: la regola è “parlare del più e del meno”. Io la respingo sempre, perché m’interessa troppo conoscere il pensiero che c’è dentro l’altro che poi è la sua umanità. Allora, mi scopro per prima, dico qualcosa di me che mi mette in gioco per far capire all’altro che il discorso tra noi può porsi in modo diverso, pur rispettando l’idea che ciò non avvenga per niente. Ho scoperto, inoltre, quando è che i marziani servono: è quando gli altri si trovano nel bisogno, ad esempio malati. La reazione comune, normale è di evitare queste situazioni; il marziano non lo fa e allora è gradito il suo rompere gli schemi negativi.
Per quanto riguarda la Parola di Dio, per me è sempre un discorso liberato perché ha i contenuti che cerco e vorrei fossero praticati nei discorsi fra umani. La frequento in modo continuo e mi dà la capacità di insistere a comportarmi da marziana.
Diverso è il problema della frequentazione comunitaria della Parola di Dio: è un lusso perché nelle parrocchie non è considerata un’attività prioritaria, da assicurare ai credenti. Io ho sempre dovuto cercare le persone che volessero farlo, le persone che sapessero introdurre gli altri alla Parola, il tempo necessario. Un lusso che non posso più permettermi da quando sono tornata a lavorare a tempo pieno. Sto sperimentando, ultimamente e con disagio, la separazione tra ascolto personale e comunitario della Parola.
Laura Galassi