Bergamo 11 giugno 2016
Convegno nazionale PO e amici
CAMBIA LA FIGURA DELLA CHIESA?

Interventi (7)


 

All’origine della scelta di Prete Operaio c’è stata la percezione di una grave distanza della prassi pastorale della Chiesa dal vivere quotidiano sempre più in evoluzione.

Distanza frutto di un pensare consolidato e irrigidito in formule esaurite, di schemi di evangelizzazione spesso inefficaci perché legati a formule catechistiche non più capaci di coinvolgere pienamente in un cammino di conversione permanente.

Quando si tentarono esperienze più partecipate e aperte al mondo esterno, ambito della storia umana, si incontrarono forti sospetti e resistenze da parte dell’istituzione, fino al rifiuto e allontanamento dall’incarico (ministero) dentro la comunità.

È stata la scelta di essere “con e come gli altri” e di abbandonare l’identità sclerotizzata del prete come “separato” spesso “isolato” e di un ministero (servizio) svolto dall’alto verso il basso.

Geremia 20,7-9: “Mi hai mi hai sedotto Signore, e io mi sono lasciato sedurre: mi hai fatto forza e hai prevalso… Così la parola del Signore è diventata per me motivo di scherno ogni giorno. Mi dicevo: non penserò più a lui, non parlerò più in suo nome. Ma nel mio cuore c’era come un fuoco ardente chiuso nelle mie ossa; mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo”.

È un’esigenza fondamentale stare bene con se stessi, specie dentro un “ruolo” di relazione permanente con gli altri, un ruolo di servizio.

Star bene con se stessi non vuol dire ritagliarsi uno spazio separato dai contrasti tra ciò che hai maturato nella fedeltà al Vangelo di Gesù e il tuo ministero dentro la comunità cristiana nella quale vivi quotidianamente. Nella condizione di vivere con e come gli altri, nella dimensione di discepolo, fragile ma fiducioso, del Vangelo, che è Gesù di Nazareth, incarnato nella vita del suo popolo e che rivela il volto misericordioso del Padre nel permanente cammino dell’Esodo, ci si assume la corresponsabilità del cammino di chi ci è accanto nel nostro costante esodo di liberazione, nella permanente ricerca del volto di Dio dentro la NUBE.

Un testo che mi ha impressionato chiarisce quanto detto sopra sulle aperture che vivevamo.

J. Moingt s.j.: “Il cristianesimo è entrato nella sua verità non a causa della sua rottura con l’ebraismo ma ripudiando ogni forma di separazione di esclusivismo, ogni spirito di egoismo e di superiorità adottando un modo di vita tipicamente evangelico, una convivenza nell’unità e solidarietà, l’amore fraterno, l’umile servizio reso ai più piccoli, in uno spirito di umanità aperto a tutto ciò che è umano. Paolo afferma: ‘non vi è greco o ebreo, schiavo o libero, ma Cristo è tutto in tutti’ (Col. 3,11). Paolo dice che dal punto di vista del rapporto di ciascuno con Cristo non ci sono e non ci devono essere fra i cristiani sentimenti né segni di superiorità o di inferiorità degli uni verso gli altri, né prevenzioni verso gli uni e indifferenza o disprezzo per gli altri, perché tutti sono ugualmente debitori a Cristo che fa i suoi doni a tutti senza misura e si dona agli uni per l’intermediario degli altri. In questo sta la prima costituzione ispirata alla chiesa dal modo dello Spirito di darsi a ciascuno per il bene comune (1Cor. 12,7)”.

Sopra dicevo della nostra permanente ricerca del volto di Dio nella NUBE.

Balducci in una omelia della festa della Trinità (anno a) scrive che la nube domina la storia.

L’Esodo: la parola di Dio scaturisce dall’interno della NUBE.

Se noi facciamo consistere la fede in un ascolto della parola che viene dalla tenebra della NUBE di Dio, allora la nostra fede trova il suo fulcro autentico e mi si fa immune dalla corruzione della visione delle immagini.

Dio non ti ha dato un’immagine di sé, ti ha dato una parola”.

E la Parola è appello, provocazione, è missione.

La NUBE domina la storia.

Dio si manifesta in un uomo, Gesù di Nazareth.

Non ci stupiamo più di un Dio che si manifesta nella parola di un uomo, questo appartiene al suo ministero inconoscibile. La fede è in crisi nella misura stessa in cui le sue espressioni si rivelano improvvisamente fragili e inadeguate.

Oggi vero credente è un credente in crisi per il divario obiettivo tra la realtà della Parola di Dio e le forme in cui essa storicamente si è espressa, e con cui l’abbiamo assimilata. Questo divario è il divario oscuro della NUBE di Dio.

Dovremmo amarla questa oscurità!

Essa non è segno necessariamente del venir meno della fede, è un segno dell’appello di Dio ad avere una fede più radicale, più misurata sulla sua volontà e quindi più aperta a considerare la sua presenza nella storia al di fuori di miti, leggi e consuetudini.

Chi ha questa fede è pronto a riconoscere i segni del tempo. Non dipenderà più da nessuno, perché l’unica dipendenza che non ci fa schiavi, ma ci costituisce signori nel mondo è la dipendenza della Parola che c’è stata detta.

Non dettare una verità e costruire le strutture per difenderla e diffonderla, ma insieme cercarla”.

Non so come intervenire sul tema del convegno: “Cambia la figura della Chiesa?”.

E non mi è facile dire come mi sento dentro questa Chiesa e il senso del mio “servizio-ministero”.

Ho preferito recuperare alcune letture di questi ultimi tempi che, sono convinto, aprono a un cammino fecondo per il nostro esodo di liberazione permanente.

1) Di Joseph Moingt ”Reinventare la Chiesa”

(in “La sapienza del cuore” ed. Einaudi “Omaggio a Enzo Bianchi. Opera collettiva”)

Il plurimillenario zoccolo religioso su cui la Chiesa si era costruita la sua tradizione, è crollato, trascinando anch’essa nella sua caduta al termine di una lenta disgregazione. Essa non deperisce a causa di un rigetto della fede da parte dei suoi fedeli considerati individualmente, ma a causa di un mutamento globale di civiltà, della rottura delle articolazioni immemorabili tra credenza religiosa e legame sociale, ed è questa la gravità irreversibile della situazione…Il legame tra un culto protettore di un gruppo umano era alla base dell’organizzazione delle città e degli stati. Il cristianesimo aveva costruito il suo passato di religione istituzionale su queste fondamenta molto anteriori a esso; ora, queste fondamenta cadono in rovina, ed eccolo crollare sulle sue macerie.

Il crollo della fede si è prodotto perché troppi cristiani si accontentavano di far dipendere la loro appartenenza alla Chiesa dalla loro nascita e dalla educazione, senza curarsi di personalizzare e di verificare la loro fede in Cristo attraverso l’ascolto e la meditazione frequente del Vangelo, per cui il loro legame con la Chiesa traeva la sua forza dalla presa di questa sulla società e la loro fede in Cristo dalla sopravvivenza di una comune credenza in Dio…

La Chiesa non manca certo di proposte: «nuova evangelizzazione», della società, restaurazione della tradizione liturgica e dottrinale, rafforzamento della comunione gerarchica, e soprattutto, per cominciare, chiamata al reclutamento presbiterale. Ma tutte queste misure per uscire da questa situazione che vengono programmate hanno di mira soprattutto, la salvezza della religione cristiana dall’alto e non propongono come mezzo che la ricostruzione del suo passato; e questa non può che fallire, per gli stessi motivi per cui il suo passato spesso è crollato.

La salvezza non può consistere che nel dare avvenire alla Chiesa in questo mondo nuovo… non rigettando la tradizione ma risalendone il corso fino alla nascita della Chiesa…fuori luogo e fuori religione, nella sospensione del tempo trascorso fra la morte e la risurrezione di Gesù, il cui soffio portatore di Spirito ha catapultato gli apostoli sulle strade del mondo carichi di un Vangelo non scritto, partiti senza bastone né sandali di ricambio per il breve viaggio che doveva condurre all’incontro col Signore e che ve li aveva effettivamente condotti ma per un tracciato imprevisto. La Chiesa ha tratto l’intera sua vitalità dal respiro di questo invio; non ne troverà in altro modo, la rinnoverà sicuramente nella stessa via.

L’avvenire della Chiesa può essere solo quello del Vangelo che non consiste nell’assicurare innanzi tutto la sua sopravvivenza in quanto istituzione religiosa, ma nel permettere al Vangelo di Gesù di passare al mondo attraverso di essa per annunciargli la salvezza e adempierla.

La Chiesa vorrebbe istruire il mondo, ma non sa più parlargli e il mondo non l’ascolta più.

Essa può adempiere alla sua missione solo affidandola a quanti sono più adatti, a quanti vivono più in contatto con il mondo, ne condividono le sofferenze, I bisogni, le aspirazioni, a quanti hanno appreso i suoi modi di pensare e parlano lo stesso linguaggio: i laici impegnati nel servizio dei loro fratelli nelle dure realtà dell’esistenza, formati nello spirito del Vaticano II°, dell’apertura al mondo assieme ai preti che li hanno formati e che sono risoluti ad accompagnarli in una nuova avventura evangelica…

La salvezza non è qualcosa di etereo né di complicato, non avviene lontano dal mondo, negli spazi celesti e nei tempi dell’eternità…

La salvezza è una faccenda umana, ha il suo compimento in Dio, nell’unità di Dio e di Cristo, ma avviene sulla terra e fra gli uomini attraverso l’atto di unirsi e soccorrersi a vicenda: consiste nell’assumere un volto umano, attento agli altri, attraente, rassicurante, ad avere tra di noi relazioni improntate a umanità, a portare pesi gli uni degli altri…

La salvezza è opera di umanizzazione”.

L’ostacolo a questa visione di salvezza “viene dall’istituzione ecclesiastica che imbevuta di pregiudizi religiosi non riconosce ai semplici fedeli la libertà e la responsabilità del loro essere cristiani e del loro vivere insieme. Non li tratta da “individui maggiorenni, vuole mantenerli sottomessi al potere sacerdotale e gerarchico che provvede i mezzi di accesso alla vita soprannaturale e propone solo di aiutare i preti nei misteri di cui detengono le chiavi”.

Si tratta invece di lasciare nascere un avvenire nuovo come al tempo delle origini, e lo Spirito che soffia dove vuole (Gv. 3,8) passerà da questa apertura per installare lui stesso la Chiesa nella novità del tempo. La fiducia e la pazienza dei fedeli le ispireranno l’audacia di lasciarli testimoniare dallo Spirito che li anima, e la venuta dello Spirito farà germogliare nel mondo i semi dell’uomo nuovo”.

2) Ernesto Balducci – omelia di Pentecoste / anno C

 

*Ognuno che segue la sua coscienza, in quanto segue la sua coscienza, è gradito a Dio.

Affermazione giusta, ma troppo individualistica.

Il presupposto da cui si deve partire è che lo Spirito di Dio riempie la terra. Il riferimento al cristianesimo è subalterno ad un’altra verità: c’è uno Spirito di Dio che fin dagli esordi della creazione è dovunque e parla alla coscienza, ma non è una verità astratta; è una dinamica che attraversa le genti diverse, le diverse religioni, la razionalità laica, anche le formulazioni dell’ateismo.

Lo scopo di questa dinamica è la realizzazione dell’unità del genere umano. Questo Spirito parla ovunque, in molte lingue.

Il mio compito non è di far si che quelle lingue accettino il primato della mia, ma che esse si volgano verso l’orizzonte di cui ho parlato, verso l’adempimento del regno.

In questo cammino del genere umano, che tende ad essere un solo corpo, ci sono avvenimenti che, per usare un linguaggio teologico, possono avere una funzione di mediazione più che la Chiesa istituzionale. Non la Chiesa istituzione ma i grandi eventi sono una mediazione attraverso cui la coscienza e i popoli si comprendono l’un l’altro e collaborano per l’avvento del Regno. (vedi oggi il problema dei profughi).

Voler la pace vuol dire volere il regno di Dio.

Partecipare, vivere insieme l’evento della pace come progetto di vita è entrare nella salvezza, è vivere nella mediazione dello Spirito.

L’istituzione stessa è misurata da questo evento, per cui se essa non se ne occupa è fuori dello Spirito”.

 

Bruno Ambrosini


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