Frammenti di vita
La porta è ancora aperta. Maria è seduta sulla sedia con gli occhi persi nel vuoto; entro e saluto. Vengo ricambiato, eseguo esercizi di ipocrita circostanza ed esco. Mi allontano seguito dallo zampettare di una Nuvola trasformata in cane e dal caracollare triste e buono di Amica, un rifiuto di cacciatori ariani.
Al lago, Nuvola insegue, indifferentemente, gallinelle, anatre e folaghe, forse è anche interessato ai cigni, ma, si sa, questi hanno un brutto carattere. Amica è ancora lontana, avanza lentamente ed i suoi occhi mi rimproverano l’innaturalità della civiltà e del progresso. Il suo ventre ferito è testimone di una natura irrimediabilmente sconfitta.
Maria è ancora seduta sulla sedia ed ha il privilegio di assistere al suo funerale: la stufa viene spenta, i panni ordinatamente riposti nella valigia, il lavandino reso lindo e pulito, ma i ricordi esplodono e riempiono tutta la casa.
Cerca di inseguirli, di fermarne qualcuno, ma, come in un incubo, si sente cadere nel vuoto ed intorno a lei danzano tragicamente giornali, vestiti, pettini, forbici… il caleidoscopio di una povera e semplice vita.
Qualcuno l’afferra per il braccio e l’aiuta ad alzarsi; si guarda ancora intorno e, improvvisamente, scompaiono gli oggetti della casa, ci sono solo pareti bianche e luminose che provocano dolore agli occhi; abbassa lo sguardo ed esce; una macchina l’aspetta col motore acceso; qualcuno le corre incontro per salutarla: “Ci vediamo”, “Verremo a trovarti”… Maria non risponde, sta assistendo al suo funerale, può essere solo spettatrice, ma non ha né strumenti, né possibilità per modificare l’ineluttabilità della società dei consumi che ha trasformato la felicità in segmenti misurabili e mercificati nei bordelli degli ipermercati della tranquillità a tutti i costi, della famiglia prima di tutto, dell’egoismo e dell’individualismo.
La macchina si avvia, Maria volge lo sguardo, questo le è concesso. Sulle gote, lacerate dal tempo, non si posano lacrime, ma, come pesanti macigni, la sua casa, le sue amiche, le incerte ultime passeggiate col bastone, la sua incapacità di ribellarsi e la sua voglia di immolarsi sull’altare di un dio pagano che non la riconosce come sua creatura e che ha dimenticato di essere stato una sua creatura.
Maria scompare, lentamente; la macchina corre singhiozzando sull’autostrada dell’ineluttabile, dove non ci sono caselli e tutto è scandito dalle lancette di un orologio al cui ritmo si muovono camici bianchi che organizzano metodicamente e tristemente l’avvicendarsi di soli e lune, sempre più sbiaditi, sempre più lontani…
Il dio pagano che la porta lontano tenta di consolarla, le parla e poi… la bacia: è il bacio di Giuda che cancella questo viso vecchio e stanco.
Al suo posto una porta chiusa, irrimediabilmente, chiusa.
Domani è il 25 di Dicembre.