Ci scrivono
Michele Pellegrino: il Vangelo degli operai
«Passa il tempo, ma non illanguidisce il ricordo del cardinale Michele Pellegrino, soprattutto per chi l’ha avuto maestro e guida nell’impegno ecclesiale. Provenivo da Bologna, dopo aver partecipato al Concilio col mio arcivescovo, il card. Giacomo Lercaro, e con il suo segretario conciliare, don Giuseppe Dossetti; e già al Concilio, all’ultima sessione, durante la discussione sulla Costituzione Gaudium et spes, avevamo ascoltato il caloroso appello dell’arcivescovo Pellegrino per la libertà della ricerca: sono da lui suggerite le parole “sia riconosciuta ai fedeli, tanto ecclesiastici che laici, una giusta libertà di ricercare, di pensare e di manifestare con umiltà e coraggio la propria opinione nel campo in cui sono competenti”».
Con queste parole uno dei più illustri testimoni del Concilio, mons. Luigi Bettazzi, vescovo emerito di Ivrea e giovane ausiliare di Bologna al Vaticano II, ricordava p. Michele Pellegrino sulle colonne de La Stampa, lo scorso ottobre.
A 40 anni dalla sua pubblicazione (l’8 dicembre 1971), Camminare insieme – la più nota lettera pastorale di p. Pellegrino, che segnò una grande discontinuità con il passato – non perde la sua carica profetica e di speranza. Un documento che metteva al centro il tema Chiesa–mondo e il problematico rapporto con il mondo del lavoro e che rappresenta il grande lascito spirituale di Pellegrino, ricco di spunti, suggestioni e possibili percorsi pastorali. Fu presentato alla comunità torinese in un’epoca difficile, di pesante conflitto ideologico: il ‘68, l’autunno caldo, la prima grande crisi nella città-fabbrica, dove stava nascendo un rapporto diverso e non di sudditanza con il colosso Fiat, e l’esperienza dei preti operai, che non piacque né a Corso Marconi, né al clero più conservatore e intransigente.
Se ancora oggi la lettera di Pellegrino è ricordata, è perché ha seminato molto, dando frutti concreti legati ad un’autentica e non evasiva attuazione e ricezione del messaggio del Vaticano Il: dall’Arsenale della pace di Ernesto Olivero al Gruppo Abele, dalle esperienze pastorali di base allo sviluppo dell’azione sociale, ispirata a quel cattolicesimo sociale che dai santi e dalle loro congregazioni (don Bosco, Cottolengo, Cafasso, Allamano, Murialdo, Giulia di Barolo) traeva linfa, ma che andava aggiornato secondo i canoni di un rapporto diverso con la modernità e la secolarizzazione. Le nuove povertà, l’individualismo, la progressiva deriva consumistica di una società scristianizzata erano i fenomeni emergenti da affrontare con mezzi nuovi. Non certo con un tentativo egemonico e di forte azione di potere, di natura clericale, ma con la testimonianza evangelica del camminare a fianco dei sofferenti per cercare di costruire una società diversa più giusta e più libera.
La Camminare insieme è stata lettera viva, non documento come tanti che non lasciano alcuna impronta tra la gente e la comunità credente e non, ma esperienza concreta sulla strada, come direbbe don Luigi Ciotti, uno degli allievi e interpreti più autentici nella Chiesa torinese e universale della pastorale di Pellegrino. L’arcivescovo senza il pastorale e con la croce di legno era fratello e compagno delle fatiche e delle speranze della sua Chiesa, ancorando l’annuncio evangelico e la conversione ai tre valori base di una umanità giusta e dignitosa per tutti: la povertà come ricchezza, la libertà da ogni idolo e la fraternità come stile di vita. Libertà che richiede per la Chiesa l’autonomia dal condizionamento politico, sociale ed economico, per svolgere in pienezza il suo compito evangelizzatore. Povertà che vuole dire «opzione preferenziale per i poveri», sulla linea tracciata dal Concilio. Fraternità che propone un nuovo stile di Chiesa nelle sue strutture e nel suo servizio al mondo.
Introducendo il concetto di «povertà di classe», Pellegrino provocò reazioni polemiche, tanto che Il Sole 24 ore lo accusò di «predicare il vangelo di Carlo Marx». E nel 1973, fedele ai giovannei «segni dei tempi», Pellegrino fu protagonista di un fatto destinato a creare ulteriore scalpore, la cosiddetta vicenda della tenda rossa.
Nell’ambito di una vertenza sindacale dei metalmeccanici particolarmente dura, venne eretta una tenda degli scioperanti davanti alla stazione di Porta Nuova. Nacque l’idea di far dire una messa al vescovo, per coinvolgere i cattolici. Si oppose però il prete operaio Carlo Carlevaris: l’iniziativa gli appariva una indebita strumentalizzazione; ma si offerse di chiedere a Pellegrino di incontrare i lavoratori in sciopero. Il presule accettò. Andò nella piazza, parlò coi manifestanti e tenne un discorso. Mentre ripartiva, i giovani intonarono Bandiera rossa. «Così potranno dire che sono stato ricevuto al canto dei comunisti», sorrise Pellegrino. Da quel giorno, qualcuno lo chiamò il «vescovo rosso».
Simona Borello
Gruppo “Chicco di Senape”, Torino