Cambia la figura della Chiesa? (2)
[…] Si trattava di liberare il Vangelo dalle forme sociologiche, pastorali, liturgiche, più o meno antiquate, per restituirgli tutto il suo dinamismo in un mondo che richiedeva nuove forme, nuove espressioni, l’invenzione di nuove strutture.
Giovanni XXIII, in meno di qualche settimana, e in seguito il Concilio hanno creato un clima ecclesiale nuovo. L’apertura maggiore è venuta dall’alto. Di colpo, delle forze di rinnovamento che stentavano a manifestarsi apertamente potevano svilupparsi. I timidi esempi di riforme che si trovano menzionati nel nostro testo del 1950 sono largamente superati! Quanto avviene oggi, dal punto di vista positivo, corrisponde certo a ciò che desideravamo, ma sorpassa di gran lunga ciò che si poteva sperare nel 1950.
Riforma liturgica ancora in piena evoluzione, istituzione di consigli presbiterali e pastorali (con la partecipazione dei laici), restaurazione di ciò che si può chiamare la vita conciliare della Chiesa (Sinodo dei vescovi, Conferenze episcopali, sinodi diocesani, ecc.), incoraggiamenti alla ricerca nell’ambito delle scienze religiose, ricerca e prime applicazioni d’un nuovo stile nella formazione dei chierici, ecc. Nell’insieme, e malgrado qualche brutto incidente, i teologi godono di una normale libertà di ricerca e d’espressione. Ma i due grandi fatti che soprattutto incidono già e incideranno sempre più sul clima della vita ecclesiale sono: una ecclesiologia del Popolo di Dio e l’ecumenismo.
Non abbiamo terminato di elencare le conseguenze delle prese di posizione del Vaticano il nell’ambito ecclesiologico: superamento d’una ecclesiologia di pura «gerarchiologia» e denuncia del giuridismo (non ignoranza del Diritto, beninteso!); primato accordato all’ontologia della grazia a base sacramentale, all’esistenza cristiana o battesimale come tale in rapporto ai posti occupati nella società-Chiesa; concezione apostolica, non principalmente rituale, del sacerdozio, e valorizzazione della Parola, della catechesi; riconoscimento dei carismi e della varietà dei ministeri, ecc. Per ciò che concerne l’ecumenismo, si può affermare che esso è diventato od è in procinto di divenire una dimensione che accompagna tutta la vita della Chiesa, anche la vita più intima. Questo comporta e comporterà evidentemente delle reinterrogazioni, delle aperture di cui non si può al presente misurare né l’ampiezza né la profondità. In tal modo si ritrova per altra via il legame che, tino dall’inizio, abbiamo percepito e messo in evidenza tra ecumenismo e riformismo: le riforme non sono soltanto una istanza preliminare dell’ecumenismo, ma si nutrono di esso.
Se il clima ecclesiale è nuovo, anche la problematica si è rinnovata. Più per addizione e approfondimento che per sostituzione completa di nuovi dati a quelli vecchi. Le questioni sono d’adattamento, ma divenute più radicali non soltanto perché più dure, più acute e più urgenti, ma per il fatto che oggi toccano le radici stesse della Chiesa e della Fede. Mentre nel 1947-50 noi operavamo nell’ambito d’un cattolicesimo che ci assicurava ancora uno spazio d’azione, oggi siamo, intellettualmente e culturalmente, strappati dal quadro del cattolicesimo, anzi dal quadro religioso, e proiettati in un mondo che, per la sua densità di vita e d’evidenza, ci impone i suoi problemi.
Lo studio della storia delle dottrine ecclesiali che noi proseguiamo da tredici o quattordici anni, ci ha portati a riconoscere che la coscienza che si è avuta della Chiesa è dipesa, in maniera decisiva, da quella che si è avuta del mondo e della relazione che si era instaurata tra i due. È la difficile associazione dei due Poteri, è il loro confronto endemico, che in larga misura hanno determinato la concezione predominante della «Chiesa» come autorità e come potere. È stato necessario che il potere temporale divenisse pienamente «laico» e che la Chiesa riconoscesse pienamente questa laicità, affinché la Chiesa stessa potesse comprendersi e definirsi puramente come Chiesa. Grazie a Dio la Chiesa si è definita solamente con il Vaticano Il, dopo che si furono in gran parte calmati gli attriti, una volta violenti, tra lei e la società temporale, ed essa l’ha fatto beneficiando d’un forte ricorso alle sorgenti bibliche, uscendo per la prima volta formalmente e decisamente dal medioevo, entrando infine in una nuova visione del temporale, consona alla situazione reale del mondo.
Non si tratta più in fondo di «due poteri». In questo campo possono ancora sorgere delle questioni, ma si tratta di un dominio decisamente parziale, per non dire ristretto, in rapporto a ciò che rappresenta oggi «il temporale» nella coscienza dei cristiani. Si tratta del mondo e della storia in tutta la loro estensione, densità, movimento e nei loro problemi; si tratta della volontà che i cristiani hanno d’esercitare le loro responsabilità nella costruzione del mondo, in riferimento al Regno di Dio. Non è necessario subodorare non so quale tradimento della fede per una conversione un po’ deteriore al mondo, come fa Le Paysan de la Garonne, nel riconoscere che la nostra epoca è contrassegnata, da parte dei cristiani, da una reale scoperta del mondo, scoperta seguita da una presa di coscienza, sovente ancora solamente globale, dei loro doveri verso questo mondo. In un processo del genere, ciò che viene dal mondo rischia d’essere percepito con una densità, una presenza, una evidenza che oscurano quelle delle affermazioni della fede e degli impegni di Chiesa. Si ha sempre la volontà d’essere dei cristiani, ma non è più la società-Chiesa, bensì il mondo che determina i problemi; è lui che suscita delle questioni difficili riguardo alle affermazioni positive e oggettive della Fede.
Queste questioni sono, in fondo, quelle che già aveva formulato il XVIII secolo, ma esse s’impongono oggi in una cerchia più vasta e con una intensità più incisiva, mentre le evidenze della scienza, della tecnica, dell’organizzazione razionale e puramente umana della vita, eliminano praticamente in interi settori la questione di Dio, talvolta senza neppure metterla in discussione. Ovunque esiste la tentazione, non soltanto di superare le vecchie affermazioni oggettivanti ed ingenue, ma di abbandonare il terreno delle affermazioni ontologiche relative a un ordine soprannaturale di verità e di realtà, per ricondurre tutto all’uomo, alla sua comprensione e realizzazione.
In questo caso non si tratta più di adattare il cattolicesimo e la Chiesa a una società moderna sorta al di fuori delle forme culturali di questo cattolicesimo. Si tratta dì ripensare e di riformulare le realtà cristiane, in risposta alla contestazione che ne fa un mondo puramente mondo, del quale l’uomo si sente il centro e il signore. I problemi sono ben più radicali. La differenza tra la situazione del 1947-50 e quella del 1967-68 è espressa molto bene dai titoli che la rivista Esprit ha dato rispettivamente ai suoi fascicoli di agosto-settembre 1946, Mondo cristiano, Mondo moderno, e di ottobre 1967, Nuovo Mondo e Parola di Dio. Gli interrogativi, negli stessi ambienti cristiani, vanno molto più lontano. Cosi pure la necessità di elaborare delle risposte.
Si richiede che l’aggiornamento conciliare non s’arresti all’adattamento delle forme di vita ecclesiale ma si spinga fino ad un totale radicalismo evangelico e all’invenzione, ad opera della Chiesa, d’un modo d’essere, di parlare e d’impegnarsi, che risponde alle esigenze d’un totale servizio evangelico del mondo. L’aggiornamento pastorale deve andare fino là. Si tratta di una condizione per andare incontro agli uomini, infatti essi non sono più disponibili in una specie di spazio neutro e vuoto dove la Chiesa dei chierici potrebbe ritrovarli, ma impegnati totalmente e pienamente nell’opera terrestre: è là che bisogna andar loro incontro in nome di Gesù Cristo. […]
Yves Congar
Strasburgo, Natale 1967
Yves Congar, Vera e falsa riforma nella Chiesa. Jaka Book, Milano 2015, 9-14 (prefazione).