CIVILTÀ TECNOLOGICA, SFRUTTAMENTO, EMARGINAZIONE
“La fede interroga i progetti”

Convegno nazionale PO 1986

5) Seconda relazione


 

PRIMA PARTE / POVERTÀ ANTICHE E NUOVE: EMARGINAZIONE – SFRUTTAMENTO

Abbiamo distinto le situazioni di maggior sfruttamento, da quelle che possono rientrare sotto il titolo di emarginazioni.


A. SFRUTTAMENTO

Maggiore sfruttamento e peggioramento delle condizioni di lavoro
– Riteniamo di insistere su questo perché non accettiamo la perdita di attenzione verso l’interno del mondo del lavoro: il modo di produzione, l’ambiente di lavoro, il lavoro alienato.
– Aumento dei ritmi, taglio progressivo dei tempi, eliminazione delle pause, senza adeguata reazione, perché l’importante è avere lavoro.

Decentramento produttivo
particolarmente presente in Toscana (abbigliamento, tessili Prato, ceramiche).
Decentramento tradizionale della produzione, verso unità produttive con minori costi, soprattutto di lavoro, (piccole aziende artigiane, lavoro in proprio, lavoro di tutta la famiglia) le cui capacità concorrenziali sono fondate principalmente sulla compressione del costo del lavoro.
Decentramento dovuto ad una più spinta divisione del lavoro tra aziende decentranti e contoterziste, in cui si ha una “testa pensante” e finanziaria che è il “centro imprenditoriale” vero del processo produttivo, ed una costellazione più o meno grande di aziende su cui vengano riversate quote rilevanti del rischio di impresa. Il decentramento interessa anche aziende tipo Piaggio Pontedera, che ha decentrato le lavorazioni meccaniche.
Il decentramento produce isolamento, aumento di sfruttamento, peggioramento delle condizioni ambientali di lavoro, difficoltà di organizzazione e di lotta, maggiore ricattabilità e sudditanza nei confronti di chi ti dà lavoro.
Anche da questa finestra “Toscana” di piccole e medie aziende emerge il segnale che il nuovo asse portante, la forma generale del nuovo sistema produttivo è il decentramento, la segmentazione, la flessibilità.

Lavoro precario e lavoro nero che si estende a macchia d’olio, senza che ci sia una adeguata reazione, anzi viene sempre più accettato in positivo (meno male che c’è). I giovani e le donne sono i soggetti più interessati. Le donne in particolare ricadono nella doppia gabbia del lavoro nero e di quello casalingo.

Peggioramento delle condizioni di lavoro

C’è una caduta verticale delle lotte per la salute. Le piccole aziende decentrate sono spesso situate in ambienti non adatti: scarso spazio, scarsa luce, mancanza di impianti igienici. “La salute non si vende” — uno slogan di altri tempi.
Questo anche dove il lavoro non manca. Es.: S. Croce sull’Arno, nel Comprensorio del Cuoio, la zona più inquinata d’Europa. Si assiste a questo fenomeno: ad una diffusa mobilitazione per la difesa dell’ambiente esterno alla fabbrica, l’inquinamento del territorio, le discariche, le cave; manca completamente una lotta per la salute in fabbrica. Si lavora di più per guadagnare di più, per spendere di più. Il “di più” che è solo disponibilità di beni e di denaro, che sotterra il valore della solidarietà, cioè della giustizia, della condivisione, della causa comune, valore che costituisce il vero “senso” della vita, sia sotto il profilo civile, sia nell’annuncio cristiano.
Vince invece il vecchio lavoro liberista della lotta per la vita, della competizione, dell’avere più degli altri.

Sfruttamento dei lavoratori stranieri
Una fascia nuova per l’Italia, gli immigrati del Sud, della periferia del pianeta. Lavori pesanti e malpagati, lavoro nero. Nessuna possibilità di difesa dei diritti minimi. Ricatto continuo dell’espulsione dal lavoro e del foglio di via; sottoposti ad una emarginazione sociale, ad un razzismo strisciante e sempre meno nascosto; percepiti spesso come pericolo, fattore di instabilità, criminali allo stato potenziale. Tutto questo favorito anche dal rifiuto di certi lavori più umili e più faticosi da parte degli italiani (domestici, sguatteri) e da complicità oggettive più o meno consapevoli della stessa classe operaia nel rapporto oppressivo Nord/Sud del pianeta. È vero che l’aspetto generale di 3 milioni di disoccupati ufficiali e il quasi milione di immigrati stranieri (fenomeno non solo italiano ma europeo) ha un peso determinante, ma l’accettazione silenziosa di questa complicità è una grossa carenza del movimento operaio, è già di per sé razzismo.
Es.: il calo del prezzo del petrolio, esaltato come insperato regalo per l’Italia, significa enorme trasferimento di ricchezze dal Sud al Nord, aggravando la dipendenza, la povertà, lo sfruttamento del Sud, aumentando le tensioni, che spingono ad una emigrazione maggiore, ad una politica di armamenti, che arricchisce ancora di più il Nord.


B. EMARGINAZIONI

Emarginazione culturale
Il frazionamento, la disgregazione, il decentramento, il ritorno al privato, abbattono le difese nei confronti delle idee dominanti e propagandate dai mass-media. C’è una dispersione, una perdita di memoria storica, di sapere, di esperienze operaie. La perdita della coscienza di sé come agente collettivo di trasformazione che nasceva dal lavoro e dalle esperienze comuni. Perdita della identità di classe.
Ci sono grosse difficoltà a rendersi conto del quadro generale, a leggere in ciò che succede nella tua fabbrica, o nel territorio in cui vivi, le conseguenze di cambiamenti, di trasformazioni che avvengono a livello sovranazionale e che stanno mutando il volto sociale dell’Italia.
Da qui la difficoltà ad individuare gli obiettivi di lotta, ad organizzarsi.
Emarginazione del qualificato dal valore del suo lavoro, dal quale è stato espropriato o per l’innovazione del processo produttivo o per mancata innovazione.
Emarginazione del militante, espulso dalla fabbrica proprio perché militante, confuso, disperso. Perdita del senso della vita.
Emarginazione dovuta alla mancanza o alla incertezza del lavoro.
Cassa integrazione.
(Da notare che queste situazioni non creano solidarietà, non cementano i vari gruppi interessati, ma dividono).
Emarginazione e povertà perché l’occupazione è per ora il principale mezzo per il reddito, per i contatti sociali e per la realizzazione personale.

I gruppi a maggior rischio

— Le donne, perché in media ricevono meno istruzione degli uomini. Inoltre pressioni politiche, economiche, discriminazioni sessuali, tendono a respingere le donne in casa ed a combinare il lavoro con il lavoro domestico, aumentando la disuguaglianza.
— I giovani che stanno per lasciare la scuola, specie delle fasce sociali più povere e del Sud Italia. (Da rilevare che l’obbligo scolastico degli otto anni è ancora largamente disatteso, specie nel meridione, incentivato anche dal fatto che per certi impieghi statali — es.: agenti di custodia delle carceri — è tuttora richiesta la licenza elementare).
— Gli anziani, perché hanno maggiori difficoltà ad adattarsi alle nuove richieste di qualificazione della mano d’opera, perché le tendenze demografiche, la salute, la pensione anticipata, un alto livello di disoccupazione ed altro contribuiscono tutti alla creazione di un gruppo numeroso di persone anziane ma potenzialmente attive.
Per loro il rischio si aggrava perché l’approccio al problema è fondamentalmente assistenziale, e non quello di rendere produttiva socialmente la loro capacità di lavoro e di esperienze.

Emarginazione dovuta alla povertà
— (Sono poveri quelli il cui reddito è inferiore al 50% del reddito medio)
Dal rapporto Gorrieri il 19% della popolazione italiana, i persona su 5, ha problemi di povertà o di quasi povertà (poveri: 6.200.000; miseri: 3 milioni; quasi poveri: 4,5 milioni). Questa massa di persone non si concentra prevalentemente nella fascia degli anziani, come spesso si ritiene. La povertà attraversa tutte le fasce d’età, adulti, giovani, bambini, soprattutto le famiglie numerose e naturalmente è più grave nel meridione dove le persone e le famiglie povere superano il 18% della popolazione. Un dato che colpisce è la presenza di poveri tra i lavoratori: il 28% di persone povere appartengono a famiglie con un reddito da lavoro, come operai, o in proprio o anche come impiegati.
— Forme di povertà tradizionale che si presentano con un volto nuovo o perché assumono proporzioni inedite o perché le condizioni sociali espongono certe categorie di poveri a maggiori rischi (es.: anziani in un contesto familiare che tende ad estromettere od in assenza di case di accoglienza).
— Situazioni umane di bisogno che si sono rivelate in termini emergenti soprattutto negli ultimi tempi (tossicodipendenti, immigrati) e collegate spesso con la crisi delle istituzioni.
(Barboni, stranieri — profughi, rifugiati, clandestini — anziani soli, dimessi da ospedali psichiatrici, persone immigrate in cerca di prima occupazione o con occupazione saltuaria, dimessi dal carcere, tossicodipendenti ed etilisti, minori fuggiti da casa, sfrattati, giovani disoccupati, prostitute, omosessuali, nomadi, ragazze madri.
— Devianze ed emarginazioni nelle grandi città strettamente collegate al non lavoro.
Di fronte alla ripresa enorme dell’accumulazione che riguarda pochi, aumenta la
fascia che reagisce.
Droga: quanto è un prodotto di una società violenta basata sulla competizione?
Barboni — in aumento — striscia finale dell’area più garantita che emerge.

Da prendere in considerazione le
Emarginazioni collettive
— Emarginazione dalle informazioni che sono a senso unico ed in mano a gruppi sempre più ristretti
— emarginazione della gente nelle varie regioni o zone dove coesistono tempi di avanzamento diverso delle trasformazioni
— Emarginazione del Meridione. Frattura incolmabile tra i poli tradizionali dello sviluppo e trasformazione con conseguente accumulo di risorse finanziarie, tecniche, culturali ed occupazionali ed un meridione sempre più impoverito dove si concentrano disoccupazione, lavoro precario, parziale, sottopagato, con una emarginazione sociale collettiva, ed il potenziamento di clientele mafiose e spazio per manovre conservatrici e reazionarie a cui agganciare vasti strati di popolazione (vedi manifestazione pro mafia a Palermo per il condono edilizio).


 

SECONDA PARTE: ANALISI

Questo il metodo usato: usare i materiali, le informazioni che anche i non addetti ai lavori, con un po’ di sforzo e di lavoro di insìeme potessero usare, e tenendo presente che c’è stata una vittoria culturale dei “padroni” che ha ricostruito una serie di valori comuni tutti interni alla cultura dominante, spostando la tendenza all’uguaglianza a quella verso la ineguaglianza e competitività, mettendo in crisi Sindacato e Sinistra.
La “finestra” è stata quella di guardare quali valori, quale filosofia c’è dietro questo gran parlare di “centralità ed efficienza dell’impresa”,
Un’impresa diversa da quelle che noi, almeno in Toscana, conosciamo, la cui novità più diffusa e radicale è la fabbrica flessibile che richiede una integrazione sempre più stretta dei processi di decisione, di produzione, di ricerca e che per funzionare ha bisogno del massimo di potere usato o in nome dei rapporti di forza o del consenso sociale a cominciare dai lavoratori direttamente coinvolti. Da qui una grande attenzione ad una crescente destinazione di risorse per il controllo dei mezzi di informazione,
L’innovazione tecnologica è lo strumento di questi cambiamenti, non solo alla produzione (produzione flessibile, che risponde quasi in tempo reale alla flessibilità di domanda del mercato, ed alla possibilità di utilizzare gli stessi componenti assemblati di volta in volta in modelli e prodotti diversi) ma soprattutto nell’organizzazione generale (progettazione, servizi, magazzino, gestione finanziaria).
Per garantire tutti gli spazi di azione e di potere, per raggiungere questa efficienza occorre eliminare i “lacci ed i laccioli” (Carli, 1977, Convegno di Portofino) e riconquistare le “libertà di impresa”: “Libertà di impresa che costituiscono il patrimonio più sicuro dei concorrenti con i quali le imprese metalmeccaniche si devono misurare e che stanno sempre meno nel vecchio continente e sempre più sulle due coste del Pacifico da dove si sta muovendo la più grande sfida tecnologica, politica, culturale che abbia attraversato il mondo dalla rivoluzione industriale in avanti” (da Imprese e lavoro, Federmeccanica, 1984).
— Le relazioni industriali una variabile dipendente dall’Economia.
— La ristrutturazione attiene il rischio imprenditoriale e non può essere oggetto di contrattazione.
— Il rapporto con il Sindacato deve risultare confacente agli obiettivi generali delle imprese: competitività, elasticità produttiva, innovazione.
— Recupero della libertà dell’imprenditore nel rapporto con i lavoratori libero dalla dialettica sindacale, da estendere al più grande numero possibile di dipendenti.
— Politica salariale più libera possibile. No alla contrattazione collettiva,
(C’è quindi il tentativo non solo di sezionare e disgregare, ma addirittura di arrivare ad un rapporto individuale, isolato tra lavoratori e controparte proprio quando la reazione, la resistenza, richiedono un p0’ di più di conoscenze, di connessione, di legame di forze e di sapere).
— Esaltazione e consenso intorno ai “valori”, l’ideologia dell’impresa. Il merito (professionale, disciplinare, di spirito di corpo, la selezione, la competizione).
— Liberalizzazione del mercato del lavoro in entrata ed uscita con eliminazione dei vincoli di rigidità e flessibilità, riportando il controllo della distribuzione, dell’occupazione della forza lavoro e il governo degli organici sotto l’imprenditore,

Riassumendo:
centralità dell’impresa, impresa imprenditore, rischio dell’imprenditore, libertà dell’imprenditore nell’organizzazione e nelle scelte d’impresa per reggere la concorrenza e la competitività: la competizione, molla di ogni sviluppo.
L’attacco allo stato sociale, al Sindacato è conseguente, ma anche l’attacco a tutte le proposte di solidarietà, di rapporto tra società dei forti e società dei deboli perché “le tecnologie impongono dall’esterno le scelte professionali, per cui non c’è alleanza possibile tra solidarietà e nuove tecnologie” (Federmeccanica, documento citato, pag. 30),
Il problema non è quindi tra occupazione e disoccupazione, tra solidarieta ed egoismo, vincenti e perdenti, ma tra mobilità ed immobilismo, rischio e garantismo, nuovo sviluppo o caduta neI terzo mondo. Lo Stato deve intervenire con provvedimenti funzionali alle esigenze della libera iniziativa economica, ed accollarsi l’assistenza di quelli che non sono in condizione, temporaneamente o indefinitivamente di sostenere l’impegno imposto dalla societa della “deregolamentazione” e dalle nuove tecnologie nella produzione.
Ci rendiamo conto di presentare uno schema, un modellino, e che la realtà è molto più complessa e sfaccettata di questa. Ma ci interessa capire le idee forza che guidano questa rivoluzione industriale (se le idee che guidano l’uso delle nuove tecnologie sono queste, tutte le grandi potenzialità positive delle nuove Tecnologie saranno usate “contro” e non “per”).
Questa concezione è presentata e propagandata come vincente.
Le grandi industrie tornano in attivo, l’inflazione retrocede, la borsa va. I manager di successo, le figure emergenti sono i nuovi eroi. La città “futura” è il nuovo idolo.
I sacrifici necessari per entrare nella nuova era saranno ripagati dal dopo, creando una monocultura, una cortina fumogena sulla concentrazione di potere economico e politico, la frattura sempre più grande tra chi prende le decisioni e quelli che le subiscono, tra i pochi sempre più ricchi ed un’area sempre più significativa di povertà; frattura che diventa baratro nei confronti dei paesi produttori di materie prime.
Di fronte a questo ci rendiamo conto che non c’è un’opposizione adeguata alla sfida in atto, anche se segnali positivi nella sinistra, nelle fabbriche, nel rispuntare della voglia di contrastare ci sono; manca ancora un progetto su cui coagulare le forze per opporsi.
Nelle realtà di “provincia” in cui noi PO toscani viviamo ed operiamo si ha l’impressione di vivere sotto una cappa oppressiva, un consenso passivo, come se ribellione, sogno, utopie, memoria storica dello sfruttamento fossero scomparse. Una dittatura politica, culturale, spirituale che si regge anche sul nostro tacito consenso.


 

TERZA PARTE: INDIVIDUAZIONE DI ESPERIENZE CHE, ANCHE SE MINIME, SONO SEGNI DI RICOMPOSIZIONE DI UN PROGETTO

Questa parte è volutamente limitata:
1. perché non sono riportate le reazioni sindacali, politiche, o di movimento (es. la reazìone dei governi contro la guerra) che non sono l’oggetto specifico di questa relazione
2, perché lo scopo è di stimolare risposte.
Qualche flash:
Risposta culturale: come opporsi alla cultura dominante. Dal subire passivo alla lotta contro il subire passivo.
Valore dei lavoro manuale e dell’uomo che lavora: una risposta che nasce da situazioni limitate a Viareggio ed alla Tinaia, che hanno come centro la persona.
Internazionalismo: un valore proclamato in passato e che rinasce e si struttura proprio dalle presenze degli immigrati del Sud del pianeta, dei rapporti e l’amicizia che diversi di noi hanno con immigrati impegnati a sostenere ed a far conoscere i movimenti di liberazione operanti nei loro paesi. Un valore da recuperare e che riteniamo una idea forza fondamentale nel progettare il domani.
Tre Flash, tre suggerimenti per stimolare il dibattito e creare un clima di ascolto, di simpatia, in cui una esperienza si aggiunge all’altra e la arricchisce.

RENZO FANFANI


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