Bergamo 11 giugno 2016
Convegno nazionale PO e amici
CAMBIA LA FIGURA DELLA CHIESA?

Interventi (1)


Ho avuto la fortuna di far parte della comunità missionaria del Paradiso e soprattutto essere lì in un momento di rinnovamento della comunità stessa. Erano gli anni del ’68, del post-concilio, tutto era in movimento. A Vallombrosa avevamo redatto uno statuto, valido fino al 1986. In esso si diceva che ognuno poteva scegliere il tipo di ministero e di presenza, soprattutto andando là dove altri preti non volevano andare, là dove non c’erano strutture, agendo con mezzi poveri.

Erano i tempi delle periferie, della presenza di una forte immigrazione dal sud Italia. Tutto era in movimento e le parrocchie sono andate nella direzione delle strutture e si costruiva dappertutto, come se il cambiamento avvenisse attraverso esse senza mettere in discussione tutto l’apparato.

Nelle strutture era tutto organizzato e da quello schema era difficile uscirne , o per lo meno pensare qualcosa altro. .

Nel vangelo si parla spesso del vegliare, dell’attenzione :” Dalla pianta del fico imparate la parabola: quando ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l’estate è vicina. Così anche voi: quando vedrete accadere tutte queste cose, sappiate che egli è vicino, è alle porte. in verità io vi dico. non passerà questa generazione prima che tutto questo avvenga”. (Mt 24, 32-34)

La vita da prete operaio è stata essenziale per l’attenzione, resa possibile quando si vive la stessa condizione della gente comune. Questo modo di vivere è necessario per tutti coloro che hanno delle responsabilità, politiche e sociali: se non conoscono i problemi e se non hanno esperimentato sulla propria pelle le precarietà, i disagi, le insicurezze sarà ben difficile programmare progetti credibili e realizzabili. Chi non ha mai viaggiato con i mezzi pubblici, non si rende conto dei disagi e non potrà mai proporre soluzioni utili ai cittadini.

Dall’alto si vede la realtà da una certa prospettiva, tutto sembra più lontano, più piccolo, non si sentono le voci, solo un brusio, un rumore di fondo che può essere eliminato chiudendo le finestre. Non si vedono i volti, che diventano solo numeri.

Nella mia vita hanno contato e contano molto i volti, che si rivelano sempre più quando si vive con loro, si fa esperienza con loro. Da essi si capisce se il messaggio o il progetto è qualcosa che li tocca, essi sono la porta per la comprensione delle realtà. Anche ora nella scelta di vita di questi ultimi anni dedico molto tempo all’ascolto. E’ così che vivo il mio essere chiesa. L’ascolto porta sempre a un cambiamento, esso precede il dialogo e qualsiasi progetto. La parola stessa “ecclesia” significa assemblea, dove le persone si incontrano, discutono e decidono insieme. Da lì nasce anche il termine “assemblaggio”, che è il mettere insieme i diversi pezzi che portano a comporre l’oggetto. Per anni a Malagrotta –Roma, ho lavorato a queste tematiche dell’ascolto e del dialogo, che non sono ovvie perché abbiamo una lingua per parlare e una voce più o meno alta o bassa. E’ un’arte che si impara e che si insegna. Non è dialogo un’ assemblea dove parla chi ha la lingua lunga mentre molti stanno solo zitti senza intervenire ed esprimere un proprio parere e proporre delle soluzioni. L’aver vissuto per anni con musulmani, ortodossi, non credenti o diversamente credenti mi ha aiutato ad apprezzare le diversità. Siamo passati da una società monoculturale, monolitica, ad una società plurale, sia nelle colture sia nelle fedi. Questa è un’occasione unica che ci obbliga a cambiare e a concepire la nostra fede come uno dei tanti percorsi. Già Gandhi diceva: “per arrivare alla montagna ci sono molti sentieri, ognuno può prendere quello che vuole e importante non è il sentiero, ma arrivare in cima”.

Sono sempre stato lontano dai templi, dalle chiese strutturate in maniera imperiale, esse non hanno nulla a che fare col messaggio evangelico.

Ma viene l’ora ,in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre, i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità”. (Gv 4,21 )

Il cambiamento avviene iniziando dalla struttura mentale, dalla concezione di Dio, ancora visto come colui che sta in alto in maniera autoreferenziale, come se il centro del messaggio fosse lui. Si parla di Dio onnipotente, nel credo e in altre espressioni .Un Dio maschio e barbuto. Ma che significa? E’ proprio onnipotente di fronte al male? Se guardiamo al significato ebraico del termine espresso nella Bibbia cambia tutto. Nel passaggio dall’ebraico al greco si vedono delle manomissioni per far dire ciò che non volevano dire. Una responsabilità l’anno avuta i masoreti che ci hanno consegnato la bibbia che noi conosciamo. Spesse volte sentiamo dire: Gesù si è sacrificato per noi, fatto uomo,” inviato da suo padre a soffrire e a morire per calmare la collera generata dal peccato di disobbedienza commesso all’inizio del mondo, e fu col sangue che questo dio-maschio ci riscattò”. E’l’idea del sacrificio che Paolo ci ha trasmesso. Ma quanta gente soffre per anni più del nostro maestro. Quante volte sentiamo dire: siamo peccatori. Ma l’autostima dov’è? Nel Vangelo non c’è questo, perché Gesù non condannava anzi spingeva le persone a cambiare vita. Egli non visse per morire ma ci insegnò a vivere Questa costruzione piramidale e maschilista ha influito nella concezione della chiesa. “Il papa ha detto”, quante volte l’abbiamo sentita questa frase, sia nel positivo che nel negativo, come se la chiesa fosse lui. E’ difficile scrostare questa realtà per i cattolici. Tutti i riti con il loro linguaggio obsoleto non dicono più nulla, se sono autoreferenziali. Il rito non può essere il centro, esso mi deve portare oltre. Le persone certamente hanno bisogno di riti, sia nel sociale che nelle chiese ma che siano comprensibili e siano dei mezzi, non dei fini.

E’ importante quindi il linguaggio, che parla al cuore, che parte dalla vita. Gesù non utilizzava concetti teologici, ma parlava in parabole che si rifacevano alla vita di ogni giorno: il pane, il seme, il seminatore, la luce, la lampada, i contadini, l’aratura. E si faceva capire perché parlava con il cuore. E qui trovo importante il come noi parliamo. Se le parole che diciamo sono frutto di un’esperienza, di un lavorio interiore, di un vissuto, esse vanno dritte al cuore. Anche il tono della voce ha la sua importanza, con le pause che aiutano a far sedimentare quello che viene detto. La pioggia violenta fa distruzione, ma la pioggerellina penetra il terreno.

Per rispondere alla domanda: cambia la figura della chiesa? Posso dire che è possibile, ma che ritorni al Vangelo, dove la centralità sia l’uomo, l’umanità. Chiesa fatta di piccole chiese, piccole comunità, collegate tra loro, dove i membri si conoscono e possono aiutarsi reciprocamente. Nel piccolo è facile, quando invece sono i numeri che contano è più difficile. Coordinamento delle chiese residenti in un territorio, dove in maniera sinodale si affrontano i problemi e si facciano delle scelte condivise. E quando si parla di sinodo intendo la presenza di donne e di maschi, contrariamente a quanto è avvenuto e avviene tutt’ora. Il che comporta un ripensamento del ministero e dei ministeri e della celebrazione eucaristica. Quest’ultima nel linguaggio e nella logistica non ha più nulla da dire. Essa è legata alla figura del prete, e la comunità non fa altro che ascoltare chi sta in alto. Coordinamento anche delle espressioni religiose in modo che si lavori su obiettivi comuni dove il centro è l’umano, perché uomini e donne possano avere una vita piena e lottino per essa. Il tutto nel rispetto delle diversità per non correre il rischio di erigere delle barriere e dei muri per difendere il proprio orticello.

Mario Signorelli


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