Bergamo 11 giugno 2016
Convegno nazionale PO e amici
CAMBIA LA FIGURA DELLA CHIESA?

Interventi (9)


 

Quest’anno vado fuori tema perché invece di interrogarmi sui cambiamenti che stanno avvenendo nella Chiesa, stimolata dall’articolo di Congar, ho pensato che mi appartiene di più e mi fa sentire maggiormente a mio agio porre accanto alle vostre riflessioni, la voce di quel Mondo che Congar definisce “intenso” e che negli anni ’60 la Chiesa sembra scoprire per la prima volta con occhi nuovi.

Si tratta di una piccola porzione, una scheggia di quel Mondo, che a me sembra insieme coraggiosa e lieve, variegata, eppure dotata di una precisa identità: quella femminile, per entrare nella quale occorrono le chiavi magiche della solidarietà, del coraggio di mostrarsi insieme a quello di nascondersi e infine della bellezza.

Sono le mie, storie di diverse realtà di donne che si sono confrontate col dolore del cancro e mi piace raccontarvi come da questo territorio si sono mosse e quali rotte hanno seguito per lasciarselo alle spalle. Per una serie di circostanze in questi ultimi mesi sono entrata in contatto con alcune di loro, viene da domandarsi conoscendole: l’amore può salvare il mondo?

Non presento queste storie come modello, si tratta di realtà che non sono auto-supportanti, proiettate all’affermazione di sé. Non hanno un volto al maschile, sono fluide – direbbe L. Irigaray – al femminile e possiamo porci accanto a esse come Chiesa semplicemente godendone le storie, le rotte intraprese, fino a con-dividerle. E’ un modo anche questo di essere Chiesa.

Cominciamo con il primo spicchio di mondo: Giovanna, una versiliese, intorno ai quaranta anni scopre di avere un tumore al seno, viene operata e poi affronta con coraggio i cicli di chemio, è una lottatrice e ha tre figli e un marito che l’aspettano. La cosa che la mette più in difficoltà è la menomazione della sua femminilità, il seno e i capelli. Vorrebbe nascondere quello che le sta accadendo, avere il tempo di elaborare, di accettare. Per me lei è il tema del nascondimento e il tesoro che trova nel campo è la solidarietà.

Da subito nel 2002, quando è ancora nel primo anno di trattamento, dà vita a una Associazione ‘Per te donna’(1) per aiutare le altre che come lei sono o sono state coinvolte in una esperienza oncologica. È un gruppo di auto-aiuto dove ci si sostiene, si leccano le ferite, ci si prende cura una dell’altra, attente in specie alle nuove arrivate. Giovanna ha reso noto il suo numero di cellulare offrendo un telefono amico 24 ore su 24, quando, specie di notte, lo sconforto prevale. Molti medici specialisti collaborano offrendo visite gratuite, soprattutto permettendo alle volontarie accesso libero al reparto oncologico e al Day-Hospital tanto da creare una rete molto salda di amicizie anche all’interno dell’ospedale. Negli ultimi anni nella loro sede è nato un simpatico rituale tipicamente al femminile: il the del giovedì pomeriggio, ci si riunisce per stare bene insieme, c’è chi porta pasticcini e chi torte, si chiacchiera e intanto si fanno piccoli lavori (uncinetto, perline, cartapesta) oggetti che verranno venduti in occasione di raccolta di fondi. Ogni giovedì, una parte delle volontarie lascia la sede e raggiunge il Day-Hospital per portare the e dolcetti alle donne che stanno facendo le chemio: “dobbiamo coccolarle” dicono. Ho partecipato un paio di volte a questi pomeriggi e vi posso dire che fra di loro si sta proprio bene, un forte senso di vita, di solidarietà. Giovanna sovraintende e mi ricorda la figura della Loba di “Donne che corrono coi lupi” la donna che siede accanto a un fuoco e canta canzoni di rinascita (2)
Lo scopo dell’Associazione è anche quello di ri-creare un benessere che comprenda il lato estetico. Infatti, fin dall’inizio quando Giovanna va in cerca di una parrucca si accorge che quelle che offrono i negozi sono inadeguate, false a colpo d’occhio. Riesce a mettersi d’accordo con un parrucchiere per fare dei tentativi. Poi le viene in mente che questa sua fatica non deve essere dispersa e si accorda con il reparto oncologico versiliese per distribuire un volantino alle degenti con suggerimenti e indirizzi. Ma da cosa nasce cosa, e lei fa molto di più, dapprima coinvolge il primario, poi il direttore amministrativo nel progetto di considerare le parrucche un presidio terapeutico finanziato dalla ASL. Visto il successo, indomita, si reca presso l’Assessore regionale della sanità, riesce a intavolare una trattativa e in breve tempo, nel 2003, la Giunta della Regione Toscana (prima regione italiana) delibera di riconoscere un rimborso delle spese sostenute per l’acquisto della parrucca alle donne colpite da tumore (l’anno seguente si estenderà ad altre patologie). L’importanza del nascondimento e il ruolo estetico vengono riconosciuti come importanti supporti per consentire un miglioramento della qualità della vita. Giovanna ha trovato il suo tesoro nel campo.

Collegata al lato estetico, l’Associazione sostiene un’altra iniziativa nata in Versilia nel 2016 “Estetica oncologica” legata al tema la bellezza salverà il mondo quando, come diceva il cardinal Martini, è amore che condivide. Letto l’invito per l’inaugurazione, pensai ci fosse un refuso tipografico, non avevo mai sentito l’accostamento dei due termini. Appresi durante la conferenza che il protocollo terapeutico per i malati oncologici prevede la rinuncia a qualsiasi trattamento di tipo estetico, a tutto ciò che può considerarsi come interferenza con la pelle, un organo messo sotto stress dal qualsiasi tipologia di tumore.

Quello versiliese è il secondo ambulatorio del genere in Italia, il primo è nato all’ospedale S. Raffaele di Milano nel 2014 per merito della dott.ssa Valentina Di Mattei che si rese conto come la perdita della propria immagine e quindi della identità, che tende a smarrirsi con il progredire delle cure, portasse le donne all’isolamento. Ideò, insieme a una serie di specialisti, il progetto “Salute allo Specchio”(3) che aiuta le pazienti oncologiche a ritrovare il desiderio di prendersi cura del proprio aspetto per stare meglio con se stesse e con le persone che hanno accanto. Occorreva agire a più livelli: prima di tutto convincere il reparto oncologico da sempre contrario a questa prospettiva, ma anche coinvolgere le case produttrici di macchinari elettromedicali, quelle che producono oli o creme per massaggi a creare una linea dedicata, e soprattutto impegnarsi alla formazione di una nuova figura professionale, l’estetista oncologica. Dopo circa un anno di lavoro, racconta la dottoressa “I risultati ottenuti sono riscontrabili su due piani: clinico e di ricerca. Le pazienti entrano al primo giorno del progetto con sguardi cupi e impauriti. Già alla fine della prima giornata escono con una luce diversa negli occhi. Anche la postura appare rinvigorita da un ritrovato senso di autostima e dal sostegno ricevuto da noi curanti, dai professionisti e dalle altre pazienti.”

Il progetto versiliese è nato per merito di Siria Perretti un’estetista che, conosciuto personalmente il cancro, ha deciso di specializzarsi negli USA e a Milano in questo particolare settore, il suo centro estetico si intitola “Mi prendo cura di me”. Una volta al mese il reparto di oncologia la ospita per mettere a disposizione delle pazienti trattamenti estetici gratuiti, frutto di un attento protocollo fra professioni sanitarie e del benessere. Si tratta di massaggi rilassanti e linfodrenanti, correzione di inestetismi, trattamenti nutrienti e riepitelizzanti, manicure e pedicure, igiene e cura della pelle, depilazione. È proprio vero, la bellezza salverà il mondo.

Attraverso loro ho conosciuto una storia, veramente insolita, di solidarietà fra donne che si svolge in Sudafrica, donne che non nascondono, anzi, che mostrano le loro calvizie: hanno scelto di farsi rasare come gesto di amore, “debole con i deboli, balbettando con i balbuzienti, bambino con i bambini”, volevano essere simili a una loro amica alla quale la chemioterapia aveva fatto cadere i capelli. Questa storia è anche su youtube (4), il breve video è intitolato “Un piccolo gesto”. Le riprese del taglio dei capelli e poi della rasatura raccontano lo slancio, il timore, a momenti la perplessità e infine l’umorismo, il lasciarsi andare di un gruppo di amiche fedeli che dopo essere andate tutte insieme in un salone di bellezza a Johannesburg, vanno ad aspettare Gerdi che non sa nulla, all’uscita dalla terapia e si specchiano le une negli occhi delle altre, stupore, incredulità, abbracci, Gerdi non è più sola, altre fanno il cammino con lei. Vangelo vissuto concretamente?

E ora una favola a lieto fine il cui tema è di nuovo il coraggio di non nascondersi, anzi di mostrare le ferite, come gli antichi eroi per i quali ogni ferita era un punto di onore. Qualche anno fa, quando era incinta del primo figlio, a Chiara, una giovane versiliese, fu diagnosticato un tumore all’intestino che lei non volle curare subito perché la chemio era incompatibile con la vita del bambino: così la iniziò dopo il parto. Dopo le varie fasi della terapia, ad ogni controllo, anno dopo anno si è constatato che del tumore non vi era più traccia. Ed allora per riconoscenza verso la vita Chiara ha pensato di diffondere un messaggio forte e coraggioso : il cancro (ha voluto sdoganare questa parola) si può vincere a patto di non dimenticare il dolore attraversato e mostrarne le cicatrici. Il suo uscire allo scoperto lo racconta sulla pagina facebook che ha creato intitolata “Cicatrici di vita” (5):  “A un certo punto mi viene l’idea di “fare un Calendario a scopo benefico – “Cicatrici di Vita” – con la mia foto e quella di altre 11 donne che come me vogliono mostrarsi con le cicatrici dovute ad operazioni subite per sconfiggere il cancro. Donne sorridenti e positive che lanciano un messaggio molto importante: le cicatrici sono profonde nel corpo e nell’anima, ma la rinascita è ancora più forte, si può guarire e uscirne con un sorriso che non vuole nasconderle, perché per rinascere è necessario guardarle in faccia e fare pace con loro.” Il calendario è andato a ruba attraverso un passa parola e la collaborazione di molti negozi ed edicole e singoli che lo hanno messo in vendita.

Il gruppo che più di ogni altro, fra quelli che conosco, dichiara le proprie cicatrici è di Palermo, le donne si sono intitolate le Amazzoni, le senza mammella, dando vita al “Progetto Amazzone”, fra vita, scienza e teatro (6) Il teatro per loro è importante per ridare al corpo “tagliato” valore di comunicazione. Centro di ispirazione è l’antica guerriera che si amputò un seno per combattere meglio, memoria di una comunità arcaica di donne capaci di ribellarsi alla schiavitù e utilizzare il corpo per un nuovo progetto di vita: il corpo come utopia. Sede di una rivoluzione copernicana che vuole rovesciare la concezione della malattia come divisione dalla vita, per scoprirla come evoluzione e storia della persona. Fondamento del Progetto è la guarigione intesa come “processo” non come ritorno alla normalità, “a come si era prima”, secondo il più diffuso luogo comune, ma come attraversamento della diversità (la malattia) e acquisizione del cambiamento. Ogni due anni il centro organizza le “Giornate internazionali biennali” con convegni, spettacoli, dibattiti sulle attualità scientifiche e culturali relative alla malattia aperte a esperti di psicologia, medicina, cultura, antropologia, teatro.

Questi sono i frammenti di Mondo che ho pensato di offrirvi oggi, per rinsaldare ancora una volta la nostra amicizia.

Maria Grazia Galimberti


2 Clarissa Pinkola Estès, Donne che corrono con i lupi, Frassinelli 1993. La Loba è il personaggio di antiche storie dei territori fra il Messico e il Texas: una vecchia donna che vive nei deserti, raccogliendo le ossa dei lupi e altri animali che rischiano di essere dimenticati. Quando ha ricostruito l’intero scheletro “canta una canzone finché le ossa si ricoprono di carne e di pelo e le creature tornano in vita, la coda ispida e forte che si rizza e mentre lei canta ancora, il lupo apre gli occhi, balza in piedi e corre giù per il canyon.” Pag. 27/28
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