10 giugno 2017 / Bergamo
TERRA E POPOLI. FUTURO PROSSIMO
Interventi e risonanze (6)


 

Lungo il corso della nostra vita abbiamo visto dei cambiamenti molto importanti, sia a livello di natura, sia a livello di incrocio di popoli e di culture diverse.
Negli anni 50 incominciavamo a vedere i cosiddetti “terroni”, visti sempre con diffidenza,che hanno lasciato il sud per entrare nelle fabbriche del Nord. Un grande esodo dovuto all’abbandono del Sud da parte dei governi, un sud che è stato depredato durante gli anni dell’unità d’Italia da parte delle forze di occupazione piemontesi, con stragi, distruzione di paesi, ruberie varie, trasferimento di cantieri navali e industrie al Nord. A queste persone gli abbiamo fatto anche dei monumenti. Torino prima si prese il Meridione e poi i meridionali. Furono cinque milioni a partire. Molti del Nord lasciavano l’Italia soprattutto per la Svizzera, da dove si rientrava il fine settimana. I contadini dei paesi di montagna e collina si trasferivano in pianura perché era più comodo. Le nostre colline erano coltivate a vigneti, con piccoli orti per i bisogni famigliari. Poi qualcuno cominciò a coltivare verdure da vendere ai mercati, mettendo via un po’ di soldi che servivano per costruire case nuove e così la cascine vennero abbandonate: era più comodo abitare sulla statale e in pianura. Nel giro di cinquant’anni è mutata la situazione, sia ambientale,lavorativa e sociale. Tutto per il progresso. Le parole chiave erano “ produrre, costruire, velocizzare, lavorare il più possibile anche con straordinari. Bisognava avere una macchina, andare in ferie al mare e in montagna, magari con una doppia casa. Quasi un’ubriacatura generale. Quando si ha fretta, si va veloci, non si ha il tempo di programmare, di rendersi conto di quello che sta accadendo, vivendo il presente senza pensare alle conseguenze sul futuro. Per esprimere il tema uso due immagini che esprimono il passato e il presente-futuro: Conservo una foto scattata negli anni 30 dalla sala pranzo dell’eremo Sotto si vede la vecchia abbazia e tutto attorno campi coltivati a grano, granoturco, e gelsi che servivano per i bachi da seta. La parte finale della collina oltre a vigneti tenuti splendidamente, era ornata da centinaia di piante di ciliegio in fiore. Paesaggio che mi era familiare nella mia infanzia. Ora tutto è scomparso, si vedono solo case, case, serre, capannoni, strade, superstrade Quel poco verde rimasto sembra quasi fuori posto. Qualcuno qualche decennio fa aveva comprato perfino alcuni boschi della collina perché essi potessero diventare terreni per costruzioni. Si parlava e si parla tuttora di riqualificazione del territorio, come se il terreno per l’agricoltura fosse un qualcosa fuori posto.

L’altra immagine che mi ha colpito in questo ultimo periodo è stato qualche settimana fa. Sono sceso in paese verso le ore 8,30. Per le strade non ho incontrato macchine, erano tutti al lavoro, solo persone immigrate: donne con vestiti lunghi e colorati che spingevano delle carrozzine con dei bambini, che tranquillamente camminavano sui marciapiedi. Mi sembrava una visione irreale. Le uniche persone a piedi erano loro, delle altre nessuna traccia. Le stesse piazze sono il luogo d’incontro di queste persone, ed esse continuano a rivivere, mentre per noi erano diventate solo dei parcheggi. L’esperienza di Roma mi ha fatto toccare con mano la ricchezza delle diversità. Una borgata fatta da marchigiani, umbri, abruzzesi, calabresi, siciliani, laziali e pochi romani. Il modo di parlare, di cucinare, di costruire le case esprimeva la diversità ma anche la ricchezza delle tradizioni. Abituato ad una cucina molto semplice e con poche ricette, le solite, ho scoperto odori e sapori diversi, diventati parte della nostra cucina. Dalla pizza, ormai un patrimonio dell’umanità, ai diversi tipi di pasta:amatriciana, carbonara, puttanesca, arrabbiata, del cornuto (aglio e olio e peperoncino )… nate da certe situazioni. La prima volta che ho mangiato la pizza il mio stomaco ha reagito, non ero abituato a quei sapori. Sentire diversi dialetti, modi di dire, era per me uno spasso. In questa diversità lo sforzo che si è fatto è stato quello di passare da un ammasso di case abusive ad un quartiere. In pochi anni si è creata un’unità di intenti, su obiettivi comuni , altrimenti si correva il rischio di una ghettizzazione. Ogni gruppo si era creato i propri paletti e fare uscire dalle case le persone per parlare e affrontare i problemi comuni è stata una maturazione. Anche oggi ci sono esempi di integrazione positiva ma anche creativa che ci danno speranza di un futuro diverso. Riace, un piccolo paese della Calabria diventato famoso per i bronzi, sta rivivendo un periodo nuovo dopo lo svuotamento per l’emigrazione dei suoi abitanti con la maggioranza delle case vuote. Nel 1998 un gruppo di scampati del Kurdistan,dopo aver attraversato il mediterraneo con barconi, sono finiti sulla spiaggia di quel paese. Il Sindaco li ha accolti e ha chiesto ai proprietari delle case vuote se essi potessero essere ospitati col patto della ristrutturazione. Questo sindaco ha orientato tutta l’amministrazione all’integrazione dei rifugiati e degli immigrati, aprendo scuole, finanziando micro attività, ma anche realizzando laboratori, bar panetterie e perfino la raccolta differenziata porta a porta, garantita da due ragazzi extracomunitari e trasportata attraverso l’utilizzo di asini. In pochi anni quel paese ha ricominciato a rivivere, è stato tutto ristrutturato e queste persone hanno aperto negozi di artigianato. Si è creato persino un turismo con cittadini europei in visita al piccolo comune calabrese “modello”. Il sindaco Mimmo Luciano che nel corso di tre mandati ha accolto e inserito nel tessuto sociale di un borgo destinato a diventare fino a 15 anni fa un paese fantasma circa 6 mila richiedenti asilo da oltre 20 paesi, dando nuova vita al paese stesso e realizzando concretamente l’integrazione.

Forse noi ci spaventiamo di quello che sta accadendo in questi ultimi anni, ma se analizziamo bene la storia, ci accorgiamo che ci sono sempre stati degli spostamenti di popoli, dovuti alle guerre e invasioni. Sembra quasi un’eresia: nel Medio Evo, ai tempi di Federico II il Regno delle due Sicilie era molto prospero. Molti lombardi per la fame e per la miseria si trasferirono in Sicilia, soprattutto bresciani e bergamaschi che tra l’altro fondarono Corleone.

I vecchi dicevano che la storia è maestra di vita e noi abbiamo molto da imparare da essa.
L’uomo è di per sé sia stanziale sia nomade ed anche oggi ci sono molti nomadi, diversi da quelli che conosciamo: giovani che si spostano, che vanno a lavorare altrove,a studiare. In questi ultimi tre anni 440 mila giovani hanno lasciato l’Italia. Questo fa parte proprio dell’istinto umano, anche se molte volte le situazioni costringono a uscire e spesse volte a scappare. In questi giorni di Pentecoste ci vengono in mente le esperienze della prima comunità: lo Spirito si fa sentire nel momento in cui le persone prendono coscienza di quello che sta avvenendo, si aprono all’altro: “Ciascuno infatti li sentiva parlare nella propria lingua, per cui erano pieni di meraviglia e stupore e dicevano: “Questi uomini che parlano sono tutti Galilei? Come mai allora li sentiamo parlare nella nostra lingua nativa? Noi apparteniamo a popoli diversi”. (At 2,1 – 11 )Questa presa di coscienza ha prodotto come frutto l’effetto contrario a quello che era successo secondo il mito della torre di Babele (Gen 11, 1 – 9 ). La divisione delle lingue esprime l’incomunicabilità delle persone, mentre lo Spirito fa sì che coloro che parlano lingue diverse , si comprendano. Tutto questo per noi è possibile se ci apriamo all’ascolto e vediamo le diversità non come una disgrazia ma come una risorsa e un’opportunità.

Ci domandiamo: quale futuro della terra e dei popoli ?
Rileggendo il discorso del presidente dell’ Uruguay Mujica si possono trovare delle piste importanti:

“Permetteteci di fare alcune domande a voce alta. Tutto il pomeriggio si è parlato dello sviluppo sostenibile. Di tirar fuori le immense masse dalla povertà. Che cosa svolazza nella nostra testa? Il modello di sviluppo e di consumo che è l’attuale delle società ricche? Mi faccio questa domanda: che cosa succederebbe al pianeta se gli indù in proporzione avessero la stessa quantità di auto per famiglia che hanno i tedeschi? Quanto ossigeno resterebbe per poter respirare? Più chiaramente: possiede il mondo oggi gli elementi materiali per rendere possibile che 7 o 8 miliardi di persone possano sostenere lo stesso grado di consumo e sperpero che hanno le più eloquenti società occidentali? Sarà possibile tutto ciò? O dovremmo sostenere un giorno , un altro tipo di discussione? Perché abbiamo creato questa civilizzazione nella quale stiamo: figlia del mercato, figlia della competizione che ha portato un progresso materiale portentoso ed esplosivo. Ma l’economia di mercato ha creato società di mercato. E ci ha rifilato questa globalizzazione, che significa guardare in tutto il pianeta. Stiamo governando la globalizzazione o la globalizzazione ci governa? E’ possibile parlare di solidarietà e dello stare tutti insieme in una economia basata sulla competizione spietata? Fino a dove arriva la nostra fraternità? Non dico queste cose per negare l’importanza di quest’evento. Ma al contrario: la sfida che abbiamo davanti è di una magnitudine di carattere colossale e la grande crisi non è ecologica, è politica! 
L’uomo non governa oggi le forze che ha sprigionato, ma queste forze governano l’uomo … E la vita! Perché non veniamo alla luce per svilupparci solamente, così, in generale. Veniamo alla luce per essere felici. Perché la vita è corta e se ne va via rapidamente. E nessun bene vale come la vita, questo è elementare. Ma se la vita mi scappa via, lavorando e lavorando per consumare un plus e la società di consumo è il motore, perché , in definitiva, se si paralizza il consumo, si ferma l’economia, e se si ferma l’economia, appare il fantasma del ristagno per ognuno di noi. 
Ma questo iperconsumo è lo stesso che sta aggredendo il pianeta. Però loro devono generare questo iperconsumo, producendo le cose che durano poco, perché devono vendere tanto. … Questi sono i problemi che ci stanno indicando che è ora di cominciare a lottare per un’altra coltura. Non si tratta di immaginare il ritorno all’epoca dell’uomo delle caverne, né di avere un monumento all’arretratezza. Però non possiamo continuare, indefinitamente, governati dal mercato, dobbiamo incominciare a governare il mercato. Per questo dico, nella mia umile maniera di pensare, che il problema che abbiamo davanti è di carattere politico. I vecchi pensatori – Epicuro, Seneca e finanche gli Aymara – dicevano: “Povero non è colui che tiene poco, ma colui che necessita tanto e desidera ancora di più e più” Questa è una chiave di carattere culturale … La causa è il modello di civilizzazione che abbiamo montato. e quello che dobbiamo cambiare è la nostra forma di vivere! 
I miei compagni lavoratori lottarono tanto per le 8 ore di lavoro. e ora stanno ottenendo le sei ore. Ma quello che lavora 6 ore, poi si cerca due lavori; pertanto, lavora più di prima. Perché? Perché deve pagare una quantità di rate: la moto, l’auto, e paga una quota e un’altra e quando si vuole ricordare … è vecchio reumatico – come me –al quale già gli passò la vita davanti! 
E allora uno si fa questa domanda: questo è il destino della vita umana? Queste cose che dico sono molto elementari: lo sviluppo non può essere contrario alla felicità umana; dell’amore sulla Terra, delle relazioni umane, dell’attenzione ai figli, dell’avere amici, dell’avere il giusto, l’elementare. Precisamente. Perché è questo il tesoro più importante che abbiamo: la felicità! Quando lottiamo per il medio ambiente, dobbiamo ricordare che il primo elemento del medio ambiente si chiama felicità umana”.

Un ultimo pensiero preso dagli Indiani d’America esprime molto bene il tempo in cui viviamo con un augurio di una convivenza pacifica.

“Ci sono uccelli di tanti colori,
rossi, blu, verdi e gialli,
ma sono sempre uccelli.
Ci sono cavalli di tanti colori,
bruni, neri, fulvi, bianchi,
ma sono sempre cavalli.
Così è anche per i buoi,
così per tutte le cose viventi,
animali, fiori, alberi.
Così anche per l’uomo
in questa terra,
dove un dì vivevano solo gli indiani,
ci sono ora uomini di tutti i colori,
bianchi, neri, gialli, rossi,
ma sono tutti un popolo.
Che questo dovesse accadere
era rinchiuso nel cuore
del Grande Mistero.
Perciò è giusto così.
E sia pace ovunque”.

Tutto questo ci fa capire che il periodo in cui viviamo è di una grande trasformazione e di un’opportunità unica. L’incrocio delle diverse culture è una ricchezza, che ci costringe ad uscire dal solito schema e dualità: o bianco o nero, o questo o quello, per fare un passaggio che ci porta a dire: C’è il bianco e il nero, c’è questo ed anche quest’altro. Per usare un’immagine: un campo di grano è bellissimo da vedersi, ma se ci sono anche dei papaveri rossi esso acquista più vitalità. E questo ci fa uscire dal concetto di monocultura, e di maggioranza – minoranza. Siamo abituati in democrazia: chi vince governa, anche col 51%, senza tener conto del 49 %. In questa maniera ci saranno sempre delle lotte. Il futuro ed il presente non sarà il mio o il tuo, ma il nostro, se vogliamo vivere in pace, non governati da una minoranza che possiede quasi tutta la ricchezza mondiale.

 

Mario Signorelli


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