10 giugno 2017 / Bergamo
TERRA E POPOLI. FUTURO PROSSIMO
Interventi e risonanze (8)


 

Da persona

  • nata agli sgoccioli dell’agricoltura di sussistenza in cui l’azienda agricola forniva alla famiglia tutto il necessario per la sua vita
  • formata come tecnico agricolo nel periodo di espansione dell’agricoltura industriale che fa un uso massiccio di mezzi chimici per ottenere un aumento della produzione
  • avuta come prima esperienza lavorativa quella della carta dei suoli che aveva come principale preoccupazione il contenimento del consumo di suolo,

mi considero un’agronoma ambientalista fin dall’università, durante la quale ho cominciato a sviluppare la mia personale critica all’agricoltura intensiva.

Oggi, osservo che i servizi tecnici, di cui faccio parte, come un tempo sviluppavano tutti gli aspetti dell’agricoltura intensiva, attualmente si dedicano con altrettanta passione all’agricoltura sostenibile, come se fosse una necessità allora l’espansione dell’industria nell’agricoltura con il conseguente inquinamento e danno ambientale, e una necessità adesso rimediare a tutto questo con la protezione dei paesaggi agricoli, l’agricoltura biologica, i parchi e le riserve naturali, il controllo dell’inquinamento di suoli e fiumi, ecc.

La comunità scientifica si è schierata ormai in senso ambientalista ma fino a pochissimo tempo fa (e forse ancora oggi con l’attuale guida USA) i negazionisti hanno prevalso, portando avanti ad oltranza le istanze della scelta industriale ed energetica che determinano il cambiamento climatico e tanto altro.

L’enciclica Laudato si’ attinge abbondantemente alla critica ambientalista per costruire il suo discorso e nelle parti in cui esamina la situazione, si avvale spesso del linguaggio e dei risultati scientifici per descriverla. Tuttavia, non riesco a respingere, come credente, l’impressione del ritardo ad assumere questa posizione e mi chiedo come sarà possibile creare una mentalità ecclesiale in proposito.

Me lo chiedo anche a proposito del governo del destino della terra: in realtà, noi occidentali non sappiamo praticamente niente delle civiltà del mondo e siamo formati culturalmente nell’idea di una nostra supremazia su di esse. A me sembra, invece, che in un mondo globalizzato, i popoli debbano diventare il soggetto che decide, anche se non so dire con quale modello di organizzazione. Forse, agire localmente può servire, nel senso che applicare un modello in piccolo può aiutare a riflettere sul modello globale.

Per finire, non credo che la mobilitazione possa venire dalla base religiosa: questo sarebbe possibile se avesse un pensiero diverso da quello di massa, ma così non è e non solo sulla questione ambientale. Certamente, oggi la coscienza di quanto sta avvenendo sul pianeta è di tutti: è fondamentale che ciascuno dimostri di averla acquisita e cerchi di fare rete con chiunque altro mostri di averla.

Laura Galassi


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