Bergamo, 27 aprile 2013 / gli interventi (9)
Quattro punti molto brevi che si rifanno un po’ alla mia storia personale.
Parola incatenata. Quasi tutti noi siamo nati ai tempi in cui era incatenata. Non potevi leggere la Bibbia da solo. Era peccaminoso, era pericoloso leggerla da solo.
Un collegamento però mi viene da fare subito: lo Spirito Santo comunque c’era. La mia nonna aveva una fede che non c’entrava un tubo con la lettura, anche perché non era capace di leggere, ma mi ha insegnato a credere. Cioè lo Spirito Santo era costretto a passare per altre vie, non per la Parola… E lo Spirito comunque passava.
Parola liberata. Io penso davvero che sia stato il concilio il momento della liberazione. È stata una sorpresa, non se l’aspettava nessuno. Io sono entrato in seminario nell’autunno del ’63; era appena iniziata la seconda sessione del concilio, e ho vissuto quell’aria di cambiamento, di trasformazione, di apertura. Sì, penso che la Parola sia stata liberata là. Tant’è vero che poi la lettura della Parola è diventata cosa lodevole. Era ancora pericoloso leggerla per conto proprio, bisogna farlo nella Chiesa… eccetera.
Mi ricordo che don Cesare (è morto proprio 5 anni fa) aveva davvero paura a far partire i gruppi degli esercizi spirituali (così li aveva voluti chiamare: ancora adesso ci sono 7-8 gruppetti attorno a Milano; gente che è cresciuta davvero così, alta, perché si ritrovano regolarmente insieme; alcuni di loro hanno scelto di fare meditazione e adorazione tutti i giorni. Gente che ha preso sul serio la Parola che ha appreso. Mi ricordo che don Cesare era ricorso a Martini per farsi dare l’approvazione al percorso di esercizi spirituali che aveva progettato.
La Parola che libera. Avevo 15 anni quando è incominciato il mio cammino di liberazione interiore: al ritorno dalla messa domenicale, a cui tutta la famiglia andava insieme (un rito a cui non era possibile sfuggire…), mia madre e le mie quattro sorelle si impegnavano nei lavori domestici; l’unico figlio maschio (destinato agli studi classici, mentre le sorelle avevano a un futuro più limitato all’interno dell’istituto magistrale) poteva permettersi il lusso di mettersi in poltrona: vangelo in mano, testo latino e greco a fronte, riprendevo i testi della liturgia domenicale, rimuginandomeli senza fretta; i lavori delle sorelle e della madre duravano accuratamente per il resto della mattinata. Così la Parola che libera mi ha messo in cammino, maschio comodamente in poltrona lasciando alle sorelle di svolgere il loro ruolo femminile.
A partire dalle ore di confessionale che faccio solo nei giorni appena prima di Natale e di Pasqua come tappabuchi nella parrocchia dove risiedo, sto facendo l’esperimento del “vangelo sul comodino” (così lo chiamo): prima di dormire, se non sei di quelli che si addormentano di colpo appena finisci nel letto, apri il vangelo – anche a caso – e cerca in quelle due pagine che hai davanti quella frase, quelle parole che ti sembrano rivolte proprio a te. Poi chiudi il vangelo e lasciati accompagnare nel sonno da quelle parole. È un esperimento che propongo a chi ha un minimo di sensibilità e di profondità. Io penso che la Parola che libera passa anche lì dentro.
Sulla Parola che libera aggiungo i miei pensieri relativi a questo papa Francesco. Quando c’è stato l’annuncio è stata una sorpresa, certo…
Ma ha passato in silenzio la dittatura Argentina – e non era un prete qualunque, era il superiore locale dei gesuiti; non ha detto una parola contro lo sterminio della teologia della liberazione che è stato fatto – ed era diventato vescovo, e poi primate della chiesa argentina, cardinale… queste cose mi angosciavano e ho fatto silenzio per un po’ di tempo.
Poi è uscito un intervento di Leonard Boff: lui, pesantemente bastonato dall’accoppiata Woytila-Ratzinger, scagiona Bergoglio dalle accuse sul periodo della dittatura. Poi ancora Jon Sobrino (l’unico sopravvissuto – casualmente – alla strage dei gesuiti dell’UCA in Salvador) interviene decisamente a favore di papa Francesco (in “www.cath.ch” del 22 marzo 2013, tradotto in www.finesettimana.org), precisando comunque che “non è Oscar Romero” (cfr. “www.cath.ch” del 22 marzo 2013, tradotto in www.finesettimana.org).
Questi due interventi mi hanno restituito speranza.
In questi giorni ci pensavo: non è di sinistra (ci mancherebbe… non esageriamo!) e non è neppure apertamente un progressista. Ma cos’è che lo salva? Il fatto di prendere sul serio il vangelo di Gesù; e i poveri.
Io penso che per un cristiano l’essenziale non sia lo schieramento in cui si pone dal punto di vista della storia; ma il “prendere sul serio” Gesù.
Prendi sul serio quello che ti sembra che Gesù ti dica; e poi prendi sul serio i poveri perché Gesù ti dice chiaramente che se non fai a loro non hai fatto a lui. È questo, penso, che può salvare noi che ci diciamo cristiani.
Luigi Consonni