Recensione


 

 

Che vuol dire: “l’anima in fabbrica”? Viene da pensare che sia qualcosa da portare, da introdurre dall’esterno, da immettere dentro la fabbrica. Invece è successo ai preti operai di trovarla là dentro l’anima, la propria anima.
La spoliazione a cui il lavoro sottoponeva il nostro habitus ecclesiastico denudava la nostra umanità e scoprivamo l’anima, la nostra.
Avveniva l’opposto di una pastorale intesa come il possesso di un bene da portare in ambienti pensati senz’anima.
“L’anima in fabbrica” è il bel titolo del libro di Giuseppina Vitale che conosco ormai da molti anni. Se questo è un frutto, posso dire aver assistito alla sua semina nella preparazione delle tesi di laurea e di dottorato alle quali ho avuto il dono e il privilegio di assistere al momento della loro presentazione a Modena e a Reggio Emilia.
Giuseppina è andata a scavare negli archivi.
È stata a Lione dove il vescovo ausiliare e padre conciliare Alfred Ancel aveva lavorato, tentando di avviare una “comunità cristiana per il proletariato” formata da preti e religiosi nel quartiere operaio di Gerland.
La ricerca in Italia si è concentrata sui preti operai dell’Emilia e della Lombardia, dagli inizi sino al 1980.
Il dato comune dell’ingresso e dell’appartenenza al mondo del lavoro, nella fedeltà a Cristo e alla classe operaia, si espresse con differenze importanti e articolazioni diverse nei territori considerati.
La ricerca sui documenti fa emergere in maniera viva i tracciati delle persone nel contesto concreto, dove hanno vissuto la loro parabola.
Anche a me, che ho trascorso tutta la vita con i preti operai, nei convegni nazionali e nei periodici incontri regionali, alla lettura di queste pagine è capitato di scoprire aspetti nuovi, non conosciuti.
Fin dagli inizi del nostro incontro emergeva la passione di Giuseppina per la nostra storia, la sua voglia di scoprirla.
Passione che ora trasuda da questa sua opera.
Un’anima che è venuta a cercare e incontrare le nostre anime.
Grazie, Giusy.

Roberto Fiorini


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