L’introduzione


 

Vivere e annunciare le beatitudini oggi

Chi lotta e soffre su una zolla di terra
lotta e soffre per tutta la terra
(don Sirio)

 

Vi porto il saluto di Sirio. L’ultima volta che l’ho visto mi ha affidato questo incarico. Dopo avermi parlato per mezz’ora, come si parla agli amici, mi ha congedato dicendomi di salutarvi tutti. Prima di lasciarlo gli ho detto grazie o nome di tutti voi.
Iniziamo questo nostro incontro sulle Beatitudini sentendo, nella sua prima assenza dai nostri lavori, la forza della sua presenza. E nel silenzio che avvolge la sua persona percepiamo l’energia della parola a noi rimasta, espressione di fede e di vita. Davvero siamo stati fortunati ad averlo avuto per tanti anni come compagno di viaggio, fratello ed amico.
E’ grande dono per noi poter riconoscere con certezza un’esistenza piena di senso, secondo l’orizzonte che viene delineato dall’annuncio della Beatitudine. E’ quel riconoscimento sincero che il popolo di Viareggio ha manifestato nel giorno dell’ultimo saluto: “Addio don Sirio, sei stato un grande uomo: prete e uomo di libertà verso tutti i lavoratori”.
Proprio la compagnia di Sirio ci ricorda che siamo arrivati a questo seminario attraverso un lungo cammino. Accenno soltanto ad alcuni momenti significativi dello sforzo di comprensione ed espressione della fede all’interno della condizione operaia:
– a Serramazzoni, nel ‘76, “contro l’uso antioperaio della fede”;
– a Viareggiò, nel ‘79, “credere e operare la giustizia”;
– a Firenze, nell’86, l’emergere del motivo della “fede povera”.

In questi giorni noi ci domandiamo

se sia possibile,
come sia possibile,
quali costi
si debbano sostenere
per vivere e annunciare le Beatitudini
oggi.

Assumeremo questi interrogativi in tutta serietà e onestà. La fede povera è quella che interroga e pone le domande vere e giuste. Invece la fede ricca è quella che è sovrabbondante di risposte, mentre non prende mai sul serio la sofferenza della gente.
Nel nostro contesto occidentale e nordico le Beatitudini sono state depotenziate della loro forza profetica e politica, ridotte nella sfera privata e individuale, confinate in un cristianesimo “come religione borghese: un cristianesimo che non pratica la sequela, ma che nella sequela crede” (Metz). Per questo le domande poste sono terribilmente serie.

Pertanto assumeremo il grido che viene “dal rovescio della storia” (Gutierrez), dal sud del mondo, quale punto di riferimento ineludibile per la interpretazione delle Beatitudini.
A questo proposito un segno importante è presente tra noi. Cesare e Andrea si trovano ora in Salvador:

“E’ questo un dato, dopo aver tanto discusso. Non sappiamo ancora chiaramente cosa faremo. Sappiamo che abbiamo risposto ad un invito che ci sembrava serio e che ci è sembrato nella linea dei preti operai. A tutti chiediamo di sentirsi uniti in questa risposta: noi non andiamo solo a nome nostro. Potrebbe essere un inizio… e non solo un gesto significativo, anche se pure importante” (lettera di Cesare ai P.O. lombardi).

E sono tra noi (speriamo) Ubaldo e Pierino tornati dal Nicaragua e dal Salvador.

Queste giornate saranno arricchite dalle riflessioni sulle Beatitudini ed esperienze a partire dalla condizione di fabbrica, quartiere… cioè dai luoghi della nostra presenza storica.

Tre amici ci aiuteranno nel nostro cammino di ricerca. Siamo loro infinitamente grati.
Consentitemi di chiudere queste poche parole con un brano di Sirio particolarmente intonato alle Beatitudini; porta per titolo “Questa nostra povertà” (si riferisce al suo giornalino “Lotta come amore”):

“…Siamo poveri – e questa è la povertà autenticamente gloriosa, esaltante – perché non siamo niente e quindi non contiamo niente. Non abbiamo nemmeno l’ombra di un minimo di potere, nemmeno quello che può venire da una considerazione, da un’ apprezzamento, da una benedizione. Neanche un granello noi abbiamo di qualsiasi autorità, non soltanto quella, ci mancherebbe altro, che vuol dire comandare, ma nemmeno quella che proviene dall’essere servi, servitori riconosciuti e accettati. Niente. Nemmeno siamo quei cani che hanno un padrone, una medaglia al collo, qualificati perché di razza. Siamo cani senza collare, sciolti, randagi, ad abbaiare alla luna piena. Assolutamente però senza museruola e senza l’obbligo di scodinzolare a nessuno. Liberi in tutto, perfino dai problemi che il nuovo concordato comporta per il clero in materia economica e circa la religione nelle scuole dello stato eccetera.
Non sappiamo come e perché siamo cresciuti così, all’aperto; e il vento e la pioggia, il freddo e il caldo, sono sempre stati e sono doni di Dio, cioè predilezione, abbandono, riconoscenza, accoglienza e offerta, cioè Amore.
E’ la povertà dell’aver venduto tutto, assolutamente tutto, perfino l’ombra del privilegio, per poter cercare il ‘tesoro’ nel campo del mondo, nella terra della storia, nella zolla di ogni essere umano…”
(Lotta come amore, febbraio ‘86).


La segreteria nazionale dei PO


 

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