Condizioni di lavoro
“Eccoci qua, eccoci qua”, ripete Everardo Dalla Noce, quasi a rassicurare i milioni di telespettatori ansiosi di conoscere l’indice MIB, l’andamento della borsa, il valore del dollaro e il prezzo del greggio. Sullo sfondo decine di mani si agitano a trasmettere messaggi cifrati con geroglifici strani.
Il colpo d’occhio dà l’immagine di un formicaio sovreccitato. A Milano, Tokio, New York… sempre le stesse scene con i ritmi che a volte raggiungono una tensione parossistica. Sono i santuari della contrattazione.
La vetrina che quotidianamente ci viene offerta dalla TV è un oblò che lascia intravvedere i movimenti della grande anima del mondo. Il mercato, con il look
imbellettato di libertà, è quell’anima che impera incontrastata con le sue regole, più forti della legge di gravità.È onnipresente. Nelle luci di Hollywood come nelle foreste dell’Amazzonia, ovunque c’è il suo sigillo. Anche l’orso russo ha alzato bandiera bianca dinanzi al fascino della sua forza. Quest’anima, o meglio questo grosso animale, vive momenti di eccitazione, come alla notizia dei bombardamenti sull’Iraq quando si è scatenata la “tempesta nel deserto”, ma conosce anche le giornate nere della depressione. C’è da pregare che la sua salute sia buona perché se arriva, putacaso, la stagflazione anche noi tutti poveracci ci becchiamo l’epidemia.
Come il pesce non può vivere senz’acqua e l’uccello non può volare se non è avvolto dall’aria, anche noi non possiamo esistere se non nel ventre del grande animale. E lì dentro conta chi contratta. Chi può gettare sul piatto della bilancia tutto il suo peso. Puoi avere tutte le ragioni, alzare lamenti, riempire le piazze, ma se non hai peso tutto si perde in un soffio. Potere contrattuale: ecco quello che occorre per giocare la partita a questo enorme tavolo verde. Le ragioni non contano nulla. Qui è un gioco per duri.Mai come in questi anni nel sindacato c’è stata una parola d’ordine: contrattazione, contrattazione! Già, ma con quale peso? Sempre più dai lavoratori una tale parola viene percepita come un “flatus vocis”, cioè un gemito impotente a scalfire le grandi regole, come fanno i giapponesi, possibilmente meglio di loro, poi tra le pieghe può darsi che qualcosa salti fuori.
Insomma a tanti lavoratori la contrattazione assomiglia al tira e molla del pescatore quando ha preso il luccio all’amo. Un po’ di filo e poi giri di manovella che lo portano verso riva. La lenza è in salde mani. Anche se le cose stanno così, però non bisogna dirlo forte. Sarebbe disfattismo.Qualche giorno fa ricordavo con un amico una assemblea unitaria di lavoratori pubblici e privati che avevano riempito il palasport di Mantova poco dopo la fine della vertenza FIAT del 1980. Relatore era Marianetti, allora segretario generale aggiunto della CGIL ed ora onorevole PSI. Il nocciolo del discorso; questo: a Torino sono stati gli operai a vincere, pure avendo dovuto fare qualche concessione alla dirigenza FIAT.
Detto tra noi: sappiamo bene quante batoste seguirono quella …vittoria; ma qual è il primo dovere di un buon dirigente se non tenere su il morale della fanteria sindacale?
Ricordo una vignetta, forse eccessiva, di qualche anno fa. Rappresentava tre cani targati CGIL-CISL-UIL che si affannavano a saltare verso alcuni bocconi lasciati cadere da una grande mano. Se le cose stanno così, c’è poco da fare. La contrattazione è dividersi i bocconi già destinati.
Un metalmeccanico diceva sulla recente vicenda contrattuale costata quasi cento ore di sciopero: “ci fanno approvare un contratto la cui piattaforma è stata bocciata dagli operai e in più questa piattaforma è stata cambiata in senso peggiorativo”. Per fortuna questa tuta blu, forse un po’ retrò, può contare su uno stuolo di consiglieri disposti a spiegargli, come oggi va il mondo: «compagno metalmeccanico, come puoi pensare di decidere tu, proprio tu, pìattaforme e contratti? Certamente sei ancora infetto di quel virus della demagogia operaia che induce a credere che sia tua competenza trattare del salario, della salute, dell’orario di lavoro, della cassa integrazione a turni o a zero ore. Che ne sai tu delle grandi leggi universali dell’anima che domina il mondo? Non sai che anche il tuo padrone, o il consiglio di amministrazione o le multinazionali, insomma quella diavoleria che ti concede di lavorare è soggetta a quelle leggi?
«Non pretendere, dunque, di immischiarti in cose più grandi di te. Accontentati dei sindacati che hai: è già fin troppo. Da altre parti non hanno neppure quelli. La loro contrattazione è la tua contrattazione; la loro firma è la tua firma. Se ognuno dovesse dire la sua ed essere ascoltato sarebbe il caos, la fine della pace sociale. Se sei “democratico” non puoi volere questo!
«Sii oggettivo, prendi in mano il tuo contratto. Invece di lamentarti della esiguità degli aumenti salariali – il bicchiere mezzo vuoto – prova a considerare la robusta elemosina che ti viene corrisposta – il bicchiere mezzo pieno. I veri signori fanno sempre un po’ di elemosina».
Vi sono dei sindacalisti che sanno interpretare ottimamente la nuova situazione. Prima di Natale, quando si minacciava lo sciopero generale a sostegno della vertenza dei metalmeccanici, ad un attivo dei delegati della CGIL il dirigente regionale che chiudeva la giornata sosteneva la necessità di pervenire ad una “armonizzazione” con la controparte imprenditoriale. Mentre invece all’interno della organizzazione non vi dovrà più essere, come ora, maggioranza e minoranza, ma maggioranza e opposizione. In parole povere il conflitto dovrebbe sciogliersi e possibilmente sparire nei luoghi della produzione in virtù della “armonizzazione” e dovrebbe, invece, essere interiorizzato dal sindacato stesso tra una maggioranza “armonizzante” ed una minoranza relegata alle stonature della opposizione.
In sostanza: “può un pesce essere antagonista dell’acqua nella quale nuota, o un uccello lottare contro, l’aria che lo sostiene? Allora anche tu lasciati invadere dalla grande anima, fa che il suo pensiero diventi il tuo senza più obiettare. Correrai meno rischi e nel caldo del suo ventre potrai contare su qualche briciola.”Il metalmeccanico non ascolta più. Il suo pensiero è volato via. Gli viene in mente, in tempi di guerra, una poesia di Brecht sentita tanti anni prima:
spiana un bosco e sfracella cento uomini
ma ha solo un difetto: ha bisogno di un carrista.
Generale, il tuo bombardiere è potente
vola più rapido di una tempesta e porta più di un elefante.
Ma ha un solo difetto: ha bisogno di un meccanico.
Generale, l’uomo fa tutto.
L’uomo può volare e può uccidere.
Ma ha un solo difetto: può pensare
La tuta blu si accorge di avere questo difetto. Lo ha coltivato applicando con fatica l’attenzione nelle lunghe ore, giornate, settimane, nei tanti anni di fabbrica. Ha cercato di costruirsi il proprio punto di vista a partire dalla concretezza dell’esperienza, nelle discussioni coi compagni, decidendo di dire no quando era ora.
Il difetto di pensare in lui è diventato un vizio. Ce l’ha e non Io vuol mollare.
E manda a quel paese quelli che gli vogliono insegnare come è fatto il mondo.