Verso il Convegno Nazionale PO ’92


Oggi ritorna il problema di Dio. Sono molti coloro che ne parlano. La rivista A.R.M. (Actualité réligieuse dans le monde) presentava i nn. 89-90-91 del maggio-giugno-luglio 1991 con questi titoli: En route pour Dieu (mettersi in strada per trovare Dio), La cuisine des réligions (con la sottolineatura della pratica del digiuno e dell’astinenza), Les réligions sous le feu des médias (i mezzi di comunicazione di massa parlano alle religioni).
È solo un piccolo segno per dire che oggi la religione sta diventando interessante per molte persone, dopo un periodo in cui sembrava legittimo parlare di un’era post-cristiana, che riservava la questione religiosa ai bambini, alle donne e agli anziani.
Oggi si ripresenta una domanda religiosa da parte di una generazione che ha visto crollare sicurezze in cui aveva posto le sue speranze e tante utopie che pur avevano occupato il cuore di intere popolazioni.
Questa domanda noi la proponiamo così: Dov’è Dio?
Ci sono risposte che vengono date dalle chiese e dalle religioni. Noi ci soffermiamo sulla risposta che i preti che sono tra noi tentano di dare.

1.

Noi constatiamo che ci sono tanti preti che dedicano le loro energie per acquistare una professionalità adeguata al ruolo che è stato loro affidato dal Vescovo.
C’è la professionalità liturgica, quella catechistica, quella pastorale, quella biblica, quella amministrativa … Si cerca di fare una buona liturgia, una buona catechesi ecc. In questo impegno c’è spirito di sacrificio, c’è dedizione, c’è sollecitudine. Sarebbe legittimo attendersi da tanto impegno una risposta da parte della gente. Quando questa non arriva, il prete entra in crisi, che spesso viene risolta con l’invito a non perdersi d’animo, a portare con fortezza la croce del vangelo. Il ricorso alla fede è necessario.
A qualcuno però sembra che la questione abbia radici più lontane, che non coinvolgono il problema personale del prete, ma la sua stessa fede e la missione che gli è stata affidata.
Si può compiere un ministero con una professionalità ineccepibile, ma rimanendo a livello di funzionariato. Un bravo funzionario, un conoscitore dei ferri del mestiere, ma niente più che funzionario. Possiamo definire questo prete il “ prete concordatario”. Un prete che compie un servizio riconosciuto dalla chiesa e dalla società civile; un prete che viene pagato per questo; un prete che esegue con grande obbedienza e fedeltà ciò che gli è stato comandato, Questo prete può essere un buon prete: solo però che egli sta facendo un servizio come tutti coloro che compiono dei servizi: sta facendo un lavoro umano non un lavoro divino. Sta amministrando le cose di Dio adoperando la sua intelligenza, la sua competenza, che sono qualità umane.
Quale risposta darà questo prete alla domanda religiosa urgente? Egli può fare come la fontana che porta l’acqua, ma a lui non importa berla.
Ci possono essere dei perfetti funzionari che non conoscono la sete religiosa, che non sperimentano la fame di Dio. Possono essere anche senza fede. perché non l’hanno mai percepita nella propria carne. Fanno opere grandiose, ma non sono segno di un Dio presente, quel Dio che pone come condizione al suo popolo: “temerai il Signore Dio tuo”. Dio è oltre i segni e i servizi. È dentro il cuore. Ma è un Dio immenso, che non si può misurare con la misura umana.
Il lavoro di questo prete può avere un senso solo se sa offrire segni e strumenti perché l’uomo si avvicini al mistero di Dio, Occupare il terreno di Dio spegnendo la domanda con risposte nate dalla dottrina dell’uomo, è cosa grave. Il prete deve portare fino alla soglia di Dio e poi tirarsi in disparte.
Questo è possibile quando il prete cerca Dio anche lui, oltre la funzione che compie o l’obbedienza che esegue. Cercando come tutti e come tutti, cominciando ad imparare che l’inizio della sapienza è il timore di Dio.

2.

Dio è oltre il pastore, l’educatore e il consolatore: per arrivare a questo c’è da lasciare il ministero e andare per la strada di chi condivide la vita della gente, come per esempio il preteoperaio?
La domanda nasce dal fatto che sono i pretioperai che tirano fuori tale questione.
Gli altri si sentono umiliati, come fossero preti di serie B, o giudicati da persone che assumono l’atteggiamento di giudici e di maestri.
Un prete in parrocchia vive tante situazioni della gente, che ha bisogno di lui. Nell’educazione di una mentalità, di una cultura, nei momenti del dolore, nei disorientamenti morali, nel compito di padre per tante persone. È questa una situazione secondaria di fronte ad una domanda religiosa che si fa insistente?
Ci sembra di poter dire che la domanda religiosa non può essere confusa con la situazione di bisogno. Il compito di educazione, di sostegno. di orientamento è un compito necessario. Ma Dio non si ferma là. E grave sarebbe approfittare dei bisogni della gente per chiudere la fame e la sete di Dio.
La domanda religiosa cerca Dio, non la consolazione per se stessa. E Dio è misterioso, è immenso, è l’unico che è padrone dell’uomo.
L’uomo oggi chiede servizi religiosi di ogni genere, ma cerca dei segni del Dio invisibile. Con questo Dio deve misurarsi il testimone e non dare risposte sostitutive. La povertà di Dio non viene coperta con l’intensità del servizio religioso.

3. Prospettive

Le poniamo in tre settori. Ci sono tante altre strade, ma noi ci fermiamo su queste. La domanda che ci è posta è: Dov’è Dio?

a. Il prete è la persona indicata dall’opinione comune a dare una risposta orientativa su questioni che riguardano Dio. Una risposta che non si trova in maniera chiara nel prete “concordatario”, nel prete impegnato cioè a fare bene il suo ufficio come un perfetto e disciplinato funzionario. La domanda del sacro lo impegna e a lui la gente richiede tutti i servizi religiosi che fanno parte d’un patrimonio sociale. Ma la domanda di Dio va più in là dei servizi religiosi. E il prete ne può parlare solo se ha l’esperienza di Dio.
Non si trova neppure la risposta nel compito educativo e consolatorio che mette il prete dentro tanti fatti dolorosi della vita. La consolazione è un’opera di misericordia, ma Dio è più in là.
Per parlare di Dio non è sufficiente un assistente sociale, un educatore, un padre. Bisogna arrivare al livello del profeta. Ci si chiede: come è possibile arrivare a questo?
Ci sembra che la prospettiva che ci si apre davanti non è nella disistima del servizio religioso, o nella esaltazione del preteoperaio. Nell’uno e nell’altro ci si può mettere con poco spessore umano e con poca tensione profetica.
La strada pare quella di camminare insieme in un’umile ricerca, reciprocamente complementare. La posta in gioco è dare una risposta alla domanda: Dov’è Dio?
Su un Dio cioè che è oscuro, innominabile. In fondo è da mettere insieme istituzione e carisma, così da diventare un segno significativo per la gente che cerca Dio.

b. Dio ci può parlare se troviamo il tempo, tempo per la profezia. Sappiamo che ciascuno di noi è preso dalle molte attività. Ci vien detto di riservare ogni giorno, ogni mese, ogni anno un po’ di tempo per ritrovare noi stessi e per metterci in sintonia con le parole che Dio dice dall’alto.
Sappiamo tutti che è fuorviante trasformare il prete in un facitore e in un produttore di servizi, senza fare di lui un uomo che cresce. La situazione attuale però merita una particolare attenzione. Ci riferiamo al tempo del pensionamento.
È un tempo che viene dato alla nostra società. Non però come premio per il lavoro fatto, e neppure come attesa logorante del traguardo finale.
È un pezzo di vita, che può essere valutato da 10 a 15 anni, spesso unito a momenti di fragilità, di paure e di solitudine, che ha un ruolo. E ci sembra che il ruolo primario non sia quello di moltiplicare le attività per essere produttivi con il ritmo della società attiva, ma quello di entrare decisamente nella solitudine per imparare a pensare, a vedere, ad ascoltare, a parlare. È la condizione adatta per pensare a Dio, per vedere Dio, per ascoltare Dio, per parlare Dio…
È il ruolo del profeta, per quella profezia che sfugge al mondo attivo.
Tutto questo è vero anche per il prete. Solo che ci troviamo nell’assurda condizione di tenere il ministero fino a 75 anni. C’è da desiderare un pensionamento almeno a cominciare da 65 anni, come tutto il resto della gente, per prendere in mano il nuovo ruolo dell’anziano: quello del presbitero che vive nella profezia e impara a conoscere Dio, ad ascoltarlo, a parlarlo, in maniera nuova.

c. Dio è presente nella storia: la lettura dei segni dei tempi.
C’è una lettura che riguarda i segni lontani. Ce n’è una sui tempi vicini.
Dio è presente negli avvenimenti e nella storia. Alla storia si pone la domanda: Dov’è Dio?
Grandi teologi come Rahner, Chenu, Bonhoeffer ecc. hanno spinto la Chiesa in questa direzione. I tempi parlano di cause politiche, di confronti economici, diplomatici, di pesi per le zone di influenza. C’è però anche da cercare di capire un progetto di Dio che si sta attuando.
Ma quale? È un compito che è affidato a noi, o almeno è consegnato a coloro che sono chiamati a cogliere la profezia che rivela ciò che lo Spirito dice oggi alla Chiesa, e individua le tracce di un Dio che sta passando.
Sono tracce che ci aiutano a dare una qualche risposta alla domanda: Dov’è Dio?

Umberto Miglioranza


 

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