“NON DOVRANNO PIÙ ISTRUIRSI
GLI UNI GLI ALTRI!”
(Ger 31,34)
Presentazione
Se uno sfoglia questo numero della rivista, leggendo i titoli e rendendosi conto di qualche tema, sicuramente si farà delle domande: perché dei pretioperai si interessano di interpretazione della Bibbia, di mistica medioevale, di temi filosofici…? Una ricerca di questo genere non appare un po’ aristocratica, intellettualistica, spiritualistica, addirittura antipolitica? Non sembrerebbe più consono alla loro vita immersa nel mondo interessarsi alla situazione delle fabbriche, alle trasformazioni della società, alla difesa della dignità dei lavoratori…? Questa sembra anche la preoccupazione dell’intervistatore che ha guidato la tavola rotonda dei PO veneti riportata all’interno di questo numero. Introducendo questo lavoro ci è sembrato giusto rispondere anche a queste domande.
1. L’esperienza dei PO è singolare, anzi unica: preparati per vivere “separati” dal mondo, esperti del “sacro”, perciò costretti ad essere senza famiglia, senza lavoro, senza impegni politici, alcuni preti lasciano questo status, liberandosi da una condizione clericale per vivere come tutti, nella normalità, ma facendo così delle scoperte, sul piano della fede, incredibili; scoperte impossibili per i preti rimasti a vivere a tempo pieno “dentro” l’istituzione ecclesiastica. La prima di queste scoperte è stata la situazione della gente: da una parte completamente atea, sia dal punto di vista delle conoscenze, nonostante tutti gli anni di catechismo, sia dal punto di vista delle scelte morali (le recenti scelte politiche degli italiani e il recentissimo dato che l’Italia è all’ultimo posto per fecondità, in barba a tutte le encicliche, dovrebbero far finalmente riflettere!), dall’altra completamente “bigotta” e impregnata di “sacro”, perché tutti, credenti o no, fanno riferimento alla chiesa per tutti i problemi sociali, per tenere i ragazzi, per fare i campeggi, per l’ordine mondiale…
Da qui è partita la nostra riflessione: perché si è creata questa situazione? Perché i laici non possono essere liberi all’interno della chiesa? Perché si è ripetuta anche dentro la chiesa la dicotomia “schiavo – padrone” così cara al mondo capitalistico (e non solo)? Perché i testimoni, che dovevano sollevare solo polvere, hanno costruito imperi? Non dovevano essere senza “tana”? Queste e altre domande ci hanno spinto a fare ricerche, a studiare i problemi, con una intuizione: che “da principio non doveva essere così”; e lungo questa strada abbiamo incontrato altri che erano sulla nostra stessa lunghezza d’onda.
E queste non sono domande che non ci debbano riguardare, anzi a noi sembrano “le” domande, quelle fondamentali. Certo, nella vita continuiamo ad essere dentro le situazioni, siamo sempre impegnati nei consigli di fabbrica, nelle organizzazioni sindacali e di partito, come tutti, ma abbiamo scoperto che dalla nostra “finestra” avevamo un angolo di visuale privilegiato che ci permetteva di vedere qualcosa di specifico: questo è proprio quello che vogliamo dire con questo numero della rivista: che ne è della fede della gente?…
LE TIGRI E LA FRAGOLA
In un sutra, Buddha raccontò una parabola: Un uomo che camminava per un campo si imbatté in una tigre. Giunto a un precipizio, si afferrò alla radice di una vite selvatica e si lasciò penzolare oltre l’orlo. La tigre lo fiutava dall’alto. Tremando, l’uomo guardò giù, dove, in fondo all’abisso, un’altra tigre lo aspettava per divorarlo. Soltanto la vite lo reggeva. Due topi, uno bianco e uno nero, cominciarono a rosicchiare pian piano la vite. L’uomo scorse accanto a sé una bellissima fragola. Afferrandosi alla vite con una mano sola, con l’altra spiccò la fragola. Com’era dolce!
(Da: Centouno storie zen, ed. Adelphi, pag. 35)
2. Secondo noi l’origine di questo disastro sta nella divisione sacro – profano. Lungo i secoli la Chiesa ha trasformato lo Spirito in spirituale – sacro, lasciando il mondo alla sua “profanità”, considerandolo così territorio di sua conquista, di evangelizzazione. Così sono nate le grandi dicotomie: chiesa – mondo, spirituale – materiale, gerarchia – laicato, ecc…Nel territorio del sacro ci sono persone, luoghi, idee, strumenti dai più innocenti fino alla guerra: il sacro si specializza, si professionalizza, distinguendosi sempre più dal resto. E lo scopo è raggiunto, perché l’uomo vive nel suo profano riconoscendolo come profano, pensando che veramente il sacro è quello che i preti esibiscono. La vita appare profana, mentre Dio e lo Spirito, trasformati in catechismi, sono nelle mani di chi gestisce il sacro. Lo si voglia o no vedere, questo è il paesaggio che rimane dei cristiani dopo i quindici anni: pezzi di oggetti sacri sparsi qua e là sul terreno della coscienza o dell’etica, ma senza assimilazione profonda.
3. La ricerca dei PO veneti ha dunque questo significato: andare alla scoperta del nucleo fondamentale della fede, dell’evento, per liberarlo, se possibile, dalle mistificazioni del sacro. Non dunque un bel tema per consolarsi, ma il desiderio di:
– innalzare l’evento sopra la storia e le storie per toglierlo all’effetto della catena senza fine delle mediazioni, che lo lavorano a loro uso fino al deserto presente;
– innalzare l’evento per dire con libertà la sua trascendenza al di là delle pretese diversità della condizione clericale rispetto alle cosiddette condizioni profane;
– innalzare l’evento per togliere il Vangelo dal finire tra le “robe” sacre (esibizioni davanti ai popoli dai balconi o da campi di neve, vescovi in crisi per la crisi della DC…);
– innalzare l’evento per ridare qualche carta da giocare alla vita profana, alle persone che non hanno studiato, perché, da se stesse, senza pagare i diritti di passaggio per i “territori” clericali, con dignità di figli accedano almeno alle briciole della mensa, mentre ora si aggirano tra i rifiuti.
Innalzarsi verso l’ evento per noi ha questo significato: accettare la sfida del Vangelo, che è stato rottura definitiva dei poli sacro – profano, molto utili da sempre alla gestione dei poteri sacri e profani. Non ha senso, con la pretesa di rispettare il Vangelo ponendolo come fondamento, metterlo come base di un dopo, per fondare se stessi e riaprire il regno del sacro e del profano. Il Vangelo non è fondamento di niente che sia di questo mondo; la sua eternità è ora e il suo giudizio attraversa il sacro e il profano.
In questa prospettiva l’evento rende secondario il problema dei testimoni veri o falsi, fedeli o infedeli, perchè viviamo gli ultimi tempi, nei quali non c’è tempo se non per l’evento; invece i testimoni devono fondare saldamente il tempo nel quale esistono loro, con i loro libri, teologie e soprattutto catechismi. Invece l’evento incombe “tutto” sulla vita e sul destino di ciascuno: ecco! Si tratta proprio non di accostarsi all’evento, ma di sentirlo incombere su di sé, nella propria vita e nella propria morte, che non sono né sacre né profane.
Non è possibile occupare l’evento, sedervicisi sopra, mettendosi “dopo”: sarebbe un’illusione! Chi trasforma il Vangelo in un libro religioso, si trova irriso proprio dal libro che ha tra le mani; e a chi va in giro per il mondo ad evangelizzare con il Vangelo, quel libro dice che il suo viaggio ha scopi malvagi; e a chi con il Vangelo in mano non la smette un attimo di moralizzare i fratelli, il Vangelo dice di smetterla di caricare di pesi le schiene degli altri.
Così il Vangelo è l’indicazione che lo Spirito non lo si può mettere né nel sacro né nel profano ed è la smentita al modello per cui la gerarchia vive nel sacro e i fedeli nel profano, i contemplativi contemplano mentre gli attivi agiscono, i vergini sono più vicini a Dio mentre gli sposati sono più lontani, ecc…
Siamo come ad un punto zero, dove non si hanno più né padre né madre.
In questo senso si giustifica il titolo del quaderno: “Non dovranno più istruirsi gli uni gli altri”: essendo tutto l’evento qui ed ora, e coincidendo col destino e le responsabilità di ognuno, non contano le mediazioni di testimoni o di padri.
CHIESE E CAPANNE
L’acqua che scorre nei Vangeli calma e limpida sembra schiumare nelle lettere di Paolo. O, almeno, così a me pare. Forse è proprio solo la mia impurità a scorgervi il torbido: infatti, perché questa impurità non potrebbe inquinare la limpidezza? Per me, però, è come se qui vedessi una passione umana, qualcosa come orgoglio o ira, che non combacia con l’umiltà dei Vangeli. Come se ci fosse qui, in fondo, un’accentuazione della propria persona, e proprio come atto religioso, il che è estraneo al Vangelo.
Vorrei domandare – e non vorrei che fosse una bestemmia: «Che cosa avrebbe detto Cristo a Paolo?». Ma si potrebbe a ragione rispondere: che c’entri tu? Guarda di diventare tu più decente! Così come sei, non puoi affatto capire quale possa essere qui la verità.
Nei Vangeli – così mi sembra – è, tutto più schietto, più umile, più semplice. Là ci sono capanne: in Paolo, una chiesa. Là tutti gli uomini sono uguali e Dio stesso è un uomo; in Paolo c’è già qualcosa come una gerarchia: gradi e cariche. Così sembra dirmi il mio fiuto.
1937 (Da: Ludwig Wittgenstein, Pensieri diversi, Adelphi, pp.63-64)
4. Una parola sui materiali che compongono questo numero della Rivista. Nello spirito di quanto detto, essi non sono nuovi messaggi o nuovi catechismi per nuove evangelizzazioni, ma semplicemente il risultato di riflessione offerto alla lettura e alla trasformazione dei lettori. Noi PO siamo convinti che l’evangelizzazione, più che nuovi contenuti, deve aprire nuovi spazi alle tre libertà, della grazia, del singolo e del loro incontrarsi. Tutto ciò che qui è detto è offerto alla trasformazione attiva di ciascuno, perché le verità sacre vanno “profanate”, cioè tradotte e vissute nella profanità della vita.
5. La sezione è così composta:
a) una ricerca sul libro di Pier Cesare Bori, L’interpretazione infinita (Il Mulino), dal titolo “La Scrittura cresce con chi la legge”: essa ci mostra che di fronte alla Scrittura siamo come davanti ad una sfida, perché il senso della vita corre con noi; non siamo lettori di catechismi, ma partecipi di un evento;
b) una ricerca sul libro di Ernst Junger, Trattato del ribelle (Adelphi), dal titolo “Passare al bosco”, nella quale è esaltata la libertà del singolo, contro ogni massificazione mascherata dalle parole “consenso, comunità…”;
c) una ricerca sul libro di Marco Vannini, Esperienza dello spirito (Augustinus, Palermo) dal titolo “La sequela senza sequela”, sulla spiritualità di Meister Ekhart: il giusto fa il bene senza “perché”, mentre la Chiesa persegue tentativi di omologazione (tutti sotto la comunità – chioccia!);
d) due semplici riflessioni, che evidenziano concretamente quanto lontana sia la Chiesa (nei fatti soprattutto) dall’evento che essa dichiara di annunciare: sono tratte, una da un articolo di Christian Duquoc pubblicato su Concilium n. 1/1990, dal titolo “Memoria ecclesiale e ambiguità” ; l’altra da alcune affermazioni prese dal Corso di aggiornamento per sacerdoti della diocesi di Vicenza;
e) il testo registrato da una trasmissione di Radio 3 sul tema dell’ Apocalisse in Simone Weil, con la partecipazione di Massimo Cacciari e di Giancarlo Gaeta: ci è sembrato illuminante sul senso dell’evento che incombe ora, non rinviabile al futuro;
f) il resoconto di una tavola rotonda tra pretioperai del Veneto, nella quale ognuno, di fronte ad alcune domande dell’intervistatore, ha dato la sua risposta; questo perché il numero della Rivista non fosse solo composto di materiali di discussione, frutto di ricerca e di studio, ma anche di pezzi di vita concreta;
g) sparsi qua e là, una serie di “testi appoggio”, della provenienza più diversa, per dire come l’evento accade nei modi più differenti e imprevedibili;
h) un elenco di libri e di film che, nella linea di quanto detto, mostrano situazioni di passaggio, di svolte, di rotture, destinate a cambiare la vita.