“NON DOVRANNO PIÙ ISTRUIRSI
GLI UNI GLI ALTRI!”
(Ger 31,34)

Scheda su
“L’interpretazione infinita”
di Pier Cesare Bori


 

Premesse

a) Gregorio Magno, Vescovo di Roma dal 590 al 604, vive una situazione drammatica, un momento di grande confusione; si rende conto di essere ad una svolta segnata da una irrimediabile rottura col passato. Lo attira l’analogia della sua situazione con quella del profeta Ezechiele: la distruzione della città e della sua gloria terrena, la decomposizione di una civiltà, la responsabilità civile del profeta come guardiano del suo popolo, l’esigenza di trovare dei criteri che permettano il trapasso ad una condizione futura. Riprende così in mano il primo capitolo del libro del profeta (Ez.1,1-28).
b) La scelta della visione di Ezechiele non porta Gregorio ad indagare sul “mistero” di Dio, per carpirne tutti i simbolismi (molti mistici ebraici e cristiani orientali si dilettavano in queste speculazioni), ma a ricavare un metodo generale di lettura della Bibbia. Compito del profeta è quello di riuscire da una parola, da una figura, da un testo a trarre delle indicazioni utili per il futuro degli uomini.
c) Per Gregorio il testo sacro possiede un dinamismo che si esplica in due direzioni: per la storia individuale e per la storia collettiva, cioè non solo risponde alle diverse esigenze spirituali di ognuno, a seconda dell’ età, della capacità, della maturità, ma si allarga fino ad abbracciare il presente e il futuro della chiesa e del mondo.

Contenuto della visione di Ez. 1,1-28

1. L’immagine fondamentale è quella della ruota identificata nella Scrittura e la “ruota nella ruota” sono i due Testamenti. La metafora contiene tre aspetti:
a) la parola biblica è inarrestabile e infallibile nel suo percorso;
b) è adattabile (per questo è irresistibile): è la parola che si fa carne, la Sofia divina che si rivela, il mistero che si manifesta assumendo segni, parole, volti umani. E la “condiscendenza” di Dio verso l’uomo. Per Agostino la Scrittura “cresce con i piccoli”, è a tutti accessibile;
c) è circolare: si trova ora in alto, ora in basso, per i perfetti e per i deboli; dall’alto della contemplazione si deve scendere in basso, nella vita.

2. La seconda immagine fondamentale legge nel movimento della ruota solidale con gli esseri viventi la crescita della Scrittura e il progresso del credente. Da una parte (le ruote che girano e si alzano seguendo il movimento degli esseri viventi) il testo si muove, cresce, avanza con chi lo legge, dall’altra il credente (gli esseri viventi) progredisce con la Scrittura. Insomma: l’idea di crescita, progresso, sviluppo, cammino. Da Origene Gregorio prende l’idea che ogni testo e ogni fatto biblico si collocano in un quadro “economico” complessivo, la “storia sacra”, in cui trova posto l’esperienza del credente nella sua lettura personale del testo come punto culminante.

3. Gregorio fa tesoro di vari autori precedenti, in particolare di Girolamo, Cassiano, Origene, Agostino, ma c’è in lui una novità: in fondo per essi la crescita del testo rimane un fatto legato alla soggettività del lettore, cioè il testo si “adatta”, cambia aspetto quando un credente preparato vi si impegna nella lettura e nell’esperienza; per Gregorio invece, quando si scopre qualcosa di nuovo nella Scrittura, non si tratta solo di un progresso soggettivo dinanzi ad un testo che rimane “immobile”, ma è la Scrittura che è viva, si muove, cresce, progredisce insieme con chi la legge. Qui si potrebbe collocare la formula dei quattro sensi della Scrittura (storico, allegorico, morale, escatologico), un modo per dire che la parola biblica può essere espansa fino a risignificare tutta la realtà, da quella primordiale al momento attuale e avanti fino alla fine dei tempi. Ogni testo biblico ha dunque potenzialmente sensi infiniti, è infinitamente polisemico. “Cresce con chi lo legge” non solo per la forza interna della parola divina, ma perchè contiene la risposta ad ogni domanda presente e futura.



NECESSITÀ CHE LE SCRITTURE SIANO CONFUSE


Kierkegaard scrive: se il cristianesimo fosse una cosa tanto semplice e confortevole, a che scopo Dio, nella sua Scrittura, avrebbe messo in moto cielo e terra, minacciando pene eterne?
– Domanda: ma allora perché questa Scrittura è così poco chiara? Se si vuol mettere in guardia qualcuno contro pericoli tremendi, lo si fa dandogli da sciogliere un enigma, la cui soluzione è forse l’avvertimento?
– Ma chi dice che la Scrittura è veramente poco chiara: non è possibile che in questo caso fosse essenziale «proporre un enigma»? Che un avvertimento più diretto fosse destinato, benché tale, a ottenere l’effetto sbagliato?
Dio ha fatto sì che quattro uomini riferissero sulla vita del Dio incarnato, ognuno diversamente, e in modi contraddittori
– ma non si potrebbe dire, per esempio: è importante che questa testimonianza non abbia più che una comunissima probabilità storica, al fine che questa non sia ritenuta essenziale, decisiva? Al fine che la lettera non abbia più credito di quanto le spetta e lo spirito conservi il suo diritto?
Ossia, ciò che tu devi vedere non si lascia mediare neppure attraverso lo storico migliore, più rigoroso; perciò è sufficiente, anzi è da preferire, un’esposizione mediocre. Infatti, ciò che deve esserti fatto sapere lo può comunicare anch’essa. (All’incirca come uno scenario mediocre può essere migliore di uno raffinato, e alberi dipinti possono essere migliori di alberi veri, che sviano l’attenzione da ciò che è essenziale).
Ma è lo spirito che mette ciò che è essenziale, essenziale per la tua vita, in quelle parole. TU DEVI vedere chiaramente proprio ciò, e soltanto ciò che anche quella esposizione chiaramente mostra. (Io non so con certezza fino a che punto tutto questo sia proprio nello spirito di Kierkegaard).
1937

(Da: Ludwig Wittgenstein, Pensieri diversi, Adelphi, pp. 65-66)


 

Sviluppi successivi

L’interpretazione di Gregorio Magno non era condivisa da tutti ed un po’ alla volta si fecero strada altre letture più immediate del testo, più legate alla lettera e alla ragione, meno alla libertà dello spirito considerato troppo vago.

1. Con Tommaso d’Aquino diventa decisivo il senso letterale, cioè quello inteso dall’autore, che non può che essere uno. Per salvare anche il senso spirituale egli sposta la molteplicità dei sensi non sul testo, ma sui fatti narrati, sulla res. Gregorio intendeva veramente che la stessa parola è testo e mistero, cioè lettera e profezia (“dum narrat textum prodit mysterium”); Tommaso invece afferma che la parola è univoca ed il fatto per volontà di Dio è polisemico (“dum narrat gestum prodit mysterium”).
Si esclude così che la Scrittura cresca con il suo lettore: esistono invece nella storia sacra dei concatenamenti oggettivi (tipologia e allegoria in factis ) che ci possono richiamare al mistero; questi collegamenti non sono affidati però alla libertà del lettore, ma esistono già nel testo sacro.



ANCHE SE LE SCRITTURE FOSSERO PERFETTE, DIMENTICALE…


Un giorno Kyogen spazzava il giardino davanti all’eremo, quando un sassolino ruzzolò dal pendìo, andando a urtare un bambù. A quel suono, il monaco si destò, e raggiunse l’illuminazione perfetta.
Nel Rinzai, si dice che l’illuminazione giunge improvvisa. Ma cos’è l’illuminazione? Prima dell’evento, il monaco era sempre rimasto nel dubbio. I giorni passavano, uno dopo l’altro, e non si sentiva mai appagato. Il suo maestro, Issan, gli diceva:
«Sei intelligente, ma hai letto troppi
sutra. La tua intelligenza dello Zen deriva dall’apprendimento dei sutra! Non posso conferirti lo shiho. Cerca di far ritorno al tempo della nascita, quando non eri in grado di distinguere tra oriente e occidente, poi ritorna e vedremo».
Il discepolo bruciò tutti i suoi libri, i suoi sutra, i suoi quaderni. Pianse. Lasciato il maestro, s’inoltrò nella montagna e si votò alla vita solitaria. Praticò la meditazione in solitudine per un anno, due anni. E quel giorno, sentendo il rumore di un bambù urtato dal sasso, si destò e raggiunse l’illuminazione. I suoi dubbi svanirono:
«Stolto che ero» si disse, e compose una poesia:

D’un tratto, al suono di un piccolo sasso,
al suono di un bambù,
tutto ho dimenticato.
Le idee che mi affollavano la mente
sono svanite,
si sono dissolti i pensieri contorti.

S’inginocchiò in direzione del maestro, Issan, e bruciò incenso. Inviò lo poesia al maestro, che disse: «il mio giovane discepolo ha compreso». E gli concesse lo shiho. L’episodio ispirò a Daichi una poesia:

Al suono di un piccolo sasso
dimenticò tutto il suo sapere.

Non rimase nulla. Vuoto totale. Ma l’illuminazione del discepolo non dipese dalla sua mente. Non giunse grazie al bambù, e neppure grazie al vento, e non fu qualcosa d’improvviso.

(da La tazza e il bastone, ed. SE pp. 19-201)


 

2. Successivamente Lutero sposta tutto il discorso sull’opposizione tra legge e grazia. Si ritorna al senso “unico”: non si tratta di passare da un senso all’altro, come dei tecnici, ma di operare l’atto della conversione. L’esegesi della Riforma cerca nel testo in luce chiara e immediata del nucleo più puro e primitivo del Vangelo, mentre l’esegesi patristica cerca nel testo il “mistero” nascosto attraverso il coinvolgimento del lettore nelle varie fasi necessarie.

3. Con il Concilio di Trento si ritorna al testo scritto con l’affermarsi progressivo del metodo storico-critico e perciò con l’abbandono dell’esegesi spirituale. Sintetizzando al massimo: l’interpretazione moderna cerca di cogliere nel testo significati universali, validi astrattamente per tutti. Il lettore non ha alcuna importanza: è lui che deve adattarsi al senso del testo, non viceversa. Siamo agli antipodi della lettura di Gregorio!

4. Con il periodo romantico (Novalis, Schlegel, Schleiermacher) avviene qualcosa di molto interessante. Il valore dato al soggetto fa riscoprire un modo di avvicinare la Scrittura che non solo riprende l’interpretazione originaria di Gregorio Magno ma la porta alle estreme conseguenze. Bastino alcune citazioni per rendersi conto di questa novità assoluta:
“Chi ha detto che la Bibbia è chiusa? Non si dovrebbe invece pensare alla Bibbia come ancora in crescita?…
Non si potrebbe pensare di preparare più Vangeli?…
Non ci può essere un Vangelo dell’avvenire?…
Lo Spirito Santo è più della Bibbia. Deve essere il nostro maestro di cristianesimo, non la lettura morta, terrena, ambigua…
Nei Vangeli ci sono i tratti di futuri e più elevati vangeli” (Novalis).
”Non possiede la religione chi crede in una scrittura sacra, ma chi non ha bisogno di alcuna scrittura…
Non ha una religione chi crede in una sacra scrittura, ma solo chi la comprende vitalmente e immediatamente e perciò potrebbe anche, quanto a lui solo, farne facilissimamente a meno” (Schleiermacher).



SEICENTOMILA PORTE, OGNUNO LA SUA…

Questi testi (che sono in Gershom Scholem, La Kabbalah e il suo simbolismo , ed. Einaudi, pp. 18 e 83) sono dedicati al modo con il quale nel cattolicesimo si pensa alla comunità: nessun valore del singolo e delle sue strade, catechismi uguali per tutti, catechismi uguali per tutti, omologazione, controllo sociale massimo in nome dell’amore, dell’obbedienza.

«Un’altra formulazione di questo carattere di chiave della Torah si trova spesso nei libri della Kabbalah luriana: ogni parola della Torah ha seicentomila «facce», strati di senso o entrate, una per ciascuno dei figli d’israele che stavano ai piedi del monte Sinai. Ogni faccia è rivolta solo verso uno di loro, che può vederla e decifrarla. Ogni uomo ha la propria, unica e insostituibile possibilità di accesso alla rivelazione. L’autorità non sta più nel «senso» univoco e insostituibile della comunicazione divina, ma nella sua plasticità infinita».

«Il passo ultimo e più radicale nello sviluppo di questo principio dell’infinita ricchezza di senso della Torah era compiuto dalla scuola cabbalistica di Safed nel secolo XVI. A questo proposito si richiamava alla vecchia concezione secondo cui il numero complessivo delle anime di Israele che uscirono dall’Egitto e ricevettero la Torah sul monte Sinai era 600.000. Secondo le leggi della trasmigrazione dell’anima e della distribuzione delle scintille in cui l’anima si scinde in ogni generazione ci sono, in Israele, queste 600.000 anime fondamentali».

«Di conseguenza ci sono anche 600.000 aspetti e spiegazioni della Torah. In corrispondenza a ciascuno di questi singoli modi di spiegare la Torah, esiste, in Israele, la radice di un’anima. Nell’età messianica ogni individuo leggerà la Torah, a Israele, secondo quella spiegazione che è associata alla sua radice, e la stessa cosa accade anche per la comprensione della Torah in paradiso».

«Questa idea mistica, secondo cui c’è una vera via personale per la quale ogni singola anima comprende la Torah, viene già sottolineata da Mosè Cordovero di Safed. Egli dice che ciascuna di queste 600.000 anime ha nella Torah un settore che è soltanto suo, «e a nessun altro se non quello la cui anima proviene di lì sarebbe permesso di intenderla in questa maniera particolare ed individuale, riservata soltanto a lui». Collegandosi allo Zohar i cabbalisti di Safed svilupparono anche un’altra idea, secondo cui la Torah, che nella sua forma visibile contiene solo 340.000 lettere circa, in una qualche misteriosa maniera comprende tuttavia 600.000 lettere. Così ogni individuo di Israele possiederebbe una lettera di questa Torah mistica, alla quale è legata la sua anima, e leggerebbe la Torah nella maniera particolare che deriva da questa sua radice superiore insita nella Torah. Menahem Azariah di Fano, uno dei grandi cabbalisti italiani, vissuto intorno a1 1600, nel suo trattato sull’anima dice che la Torah, nella forma in cui fu originariamente incisa sulle prime tavole, che poi si spezzarono, conteneva appunto quelle 600.000 lettere, e che essa apparve nella sua versione più ridotta solo nelle seconde tavole; che tuttavia grazie ad un misterioso processo di combinazione delle lettere, anche queste ultime continuano a rimandare al numero originario delle 600.000 lettere che formano il corpo mistico della Torah».


 

Quello che vale per la Bibbia viene fatto valere per ogni altro testo o opera compiuta.
Novalis: “Se lo Spirito santifica, ogni libro genuino è una Bibbia”; e ancora:
“Una Bibbia è il compito più elevato di uno scrittore: elevazione di un libro a Bibbia!”; oppure “Voler scrivere una Bibbia è dar segno di una inclinazione alla follia che ogni uomo dovrebbe avere, per essere completo”. Schlegel aggiunge: “Ogni opera è una Bibbia e ogni pubblico una chiesa invisibile”; e “Solo il lettore fa della Bibbia una Bibbia”.

Un’altra formula di questa epoca, che può aiutare ad entrare ancora più in profondità su questi temi è: “comprendere un testo meglio del suo autore stesso”.
Un’opera non nasce interamente oggi; se così fosse non potrebbe neanche vivere nel futuro. Per questo il senso è potenzialmente infinito. Non ci può essere perciò un senso unico, solo. Non ci può essere un senso primo, né ultimo: il senso è sempre tra i sensi…
Tutti i termini legati alla Scrittura, come ispirazione, infinità di senso, lettera e spirito (che sono di origine sacrale) si applicano a qualsiasi testo compiuto, perdendo la loro specificità religiosa. Ma accade così anche l’inverso: un testo, quale che sia, viene sottratto alla sfera “profana”, divenendo un testo “sacro”. Tipico è il fatto di Raffaello che dipinge la famosa Madonna di S. Sisto a partire, per sua testimonianza, da una visione. Questa immagine della Vergine ha avuto un influsso notevole sulle origini del romanticismo tedesco e sulla cultura russa. Due citazioni possono aiutare a comprendere quali conseguenze abbia avuto quel dipinto sul modo di pensare del tempo: “Ho visto molte immagini di fanciulle pure, di madri tenere e amorose; nei loro occhi la fede, l’ispirazione, il dolore, sì che ero pronto ad esclamare: indicibile! Mi dissero: sono raffigurazioni della Madonna. Ma questa sola è apparsa a Raffaello” (V.K. Kjuchel’beker); “Dicono che Raffaello, apprestando la tela per questo dipinto, a lungo non sapesse cosa vi sarebbe stato sopra: non giungeva l’ispirazione. Una volta si addormentò con il pensiero della Madonna e invero un qualche angelo lo svegliò. Sobbalzò: è qui, gridò, indicando la tela e tracciò il primo disegno. Ed effettivamente questo non è un quadro, è una visione” (V.A. Zukovskij). Si parla di una immagine circoscritta, ma che contiene l’infinito. Questa descrizione fece epoca in Russia.
Non si tratta più di cogliere da fatti o immagini bibliche sensi ulteriori, profondi, ma dell’operazione opposta: qui si coglie l’infinito nel finito! Del resto la stessa operazione era già avvenuta nei confronti della Vergine Madre di Dio: la pietà popolare e la teologia da sempre si sono servite di simboli e analogie provenienti dalla Scrittura per fondare e far risaltare gli attributi e il ruolo di Maria.
Come Maria, la Scrittura ha un corpo, animato dallo Spirito Santo, attraverso il quale genera la Parola divina. Come Maria, la Scrittura è paragonata dagli autori antichi alla terra, al cielo, al firmamento, alle stelle, alla luce, al mare, all’acqua,·all’albero, al fuoco…Questo parallelismo è stato visto dalla tradizione come subordinazione di Maria alla Scrittura; nella novità del periodo romantico il ruolo della Vergine – Madre passa da subordinato ad alternativo: essa sta al posto della Scrittura. Così i testi, le persone, le opere autentiche hanno la possibilità di divenire “Scritture”.
Dalla fine comprendiamo l’inizio! A partire cioè da queste considerazioni del periodo romantico si possono capire meglio le interpretazioni antiche. E reciprocamente l’interpretazione iniziale di Gregorio assume pieno significato, vista dagli sviluppi successivi.

a cura di ANTONIO UDERZO


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