Sguardo dal basso


 

Era il titolo di un manifesto con il quale, 15 anni orsono, un gruppo di delegate operaie delle aziende artigiane di Ostiano denunciavano con coraggio e schiettezza le palesi ingiustizie che si consumavano sui loro posti di lavoro.

Dopo tanti anni, l’autunno scorso, presso la cooperativa in cui lavoro, si presenta una ragazza, dicendo: “cerco un posto di lavoro nuovo, perché sono stanca di essere sfruttata. Ho lavorato quasi 200 ore presso *** non assicurata; e a fine mese il padroncino me ne ha pagate 70 a 2.000 lire cadauna”.
Carla è una ragazza che abita al nord d’Italia, nella Lombardia operaia e avanzata, in un paese che – se pur segnato come tutti dalla crisi occupazionale – tuttavia disdegna di essere equiparato alle zone del terzo mondo dove vari gruppi industriali si stanno rivolgendo per avere manodopera a bassissimo costo. Invece Carla abita proprio ad Ostiano (CR) e cerca un posto di lavoro a condizioni umane e civili dignitose.

La crisi occupazionale generale e la debolezza produttiva tipica di una zona caratterizzata da una prevalente piccola imprenditoria conto – terzista (colpita ultimamente dal fallimento della ditta Robe di Kappa , che a Ostiano coinvolgeva 13 laboratori artigianali con circa 130 dipendenti: una vera fabbrica decentrata nel territorio) stanno producendo nella bassa cremonese condizioni lavorative pesanti tipiche di ‘quei tempi’, quando l’operaio o il salariato si toglieva il cappello davanti al padrone e prendeva la paga ‘con le mani dietro la schiena’ (come si dice da noi), cioè senza fare alcuna obiezione e aggiungendo ‘grazie, signor padrone!’.
Il posto di lavoro per molti è diventato un miraggio: e pur di lavorare, accettano le condizioni che dettano i padroncini: nessuna tutela sindacale, buste paga (quando ci sono!) fasulle in rapporto ad un orario di lavoro settimanale senza regole, licenziamenti indiscriminati, umiliazioni e offese personali indegne di un paese civile.
La situazione descritta non è frutto di sorpassata e nostalgica dietrologia operaistica: basta fare attenzione a quanto succede ogni giorno anche nelle grosse aziende industriali, dove l’operaio – e ora anche l’impiegato – viene espropriato di ogni possibilità di difendersi dall’attacco padronale.
I tempi socio-politici che stiamo vivendo non permettono certamente facili illusioni o pensieri di prossimo radicale cambiamento del quadro sopra descritto. Anzi i bollettini quotidiani che annunciano l’allungarsi dell’elenco delle fabbriche che chiudono i battenti, indicano che i tempi di ripresa economica sono ancora molto lunghi.
E intanto che cosa si può dire ai tanti uomini e donne espulsi dai posti di lavoro, costretti all’inattività lavorativa senza alcuna prospettiva, costretti a vivere condizioni assistenziali che spesso provocano profonde lacerazioni personali e tensioni familiari?
La struttura sindacale non sta certamente facendo il suo dovere: la vergognosa farsa che dal 31 luglio 1992 i vari governi succedutisi, il sindacato e la Confindustria stanno sfacciatamente interpretando sostenendo – oltre ogni limite di decenza – che la causa della crisi economica italiana è il costo del lavoro (cioè la busta paga dell’operaio: £. 1.350.000 mensili!), deve essere continuamente denunciata e contrastata.
I tempi di lotta necessitano che tutti i movimenti e focolai di resistenza si uniscano; infatti la soluzione non è certamente vicina perché i danni prodotti nella gestione della cosa pubblica da parte di una classe dirigente irresponsabile e arrogante hanno segnato profondamente il tessuto produttivo e fiaccato la capacità di resistenza.
E allora manteniamo viva in noi, e cerchiamo di alimentarla con ogni mezzo anche negli altri, la volontà di non subire passivamente le situazioni: l’utopia non porta a sognare mondi irreali, ma ad impegnarsi nel presente con la convinzione che è ancora possibile il cambiamento, che è ancora possibile che la giustizia e il diritto prevalgano sull’oppressione e lo sfruttamento.

Gianni Alessandria


 

Share This