Preti in condizione operaia
Chi è il preteoperaio oggi? È possibile esibire un suo ritratto? Quali le sue difficoltà? Queste, nella sostanza, le domande-guida di questa piccola inchiesta.
Dominano i capelli grigi, anzitutto. Con qualche eccezione, come quella di Angelo, trentenne milanese che, col beneplacito del cardinale Martini, è diventato preteoperaio nel 1992. Si sa che una rondine non fa primavera, ma fa sempre piacere vederla volare accanto. Per la quasi totalità il «salto del muro» è avvenuto negli anni Settanta. Ora siamo più di un centinaio, compresi pre-pensionati, cassintegrati e precari. La crisi dura si è fatta sentire anche da noi. Così sono proporzionalmente diminuiti i pretioperai occupati nelle fabbriche, rispetto a quelli che lavorano in cooperative, nell’artigianato, nei servizi…
Non formiamo un’associazione e neppure propriamente un movimento. L’autorganizzazione su base regionale e nazionale ha sempre avuto un carattere minimale. Pubblichiamo PRETIOPERAI, rivista trimestrale nata dalla proposta di don Sirio Politi (il primo preteoperaio italiano) nell’ultimo convegno nazionale cui ha partecipato (Firenze 1986) prima di morire.
Siamo andati «altrove», fuori dagli spazi previsti, e lì abbiamo piantato radici. Gran parte delle nostre energie vengono assorbite nel lavoro, in compagnia con innumerevoli volti, nella condivisione quotidiana. Siamo degli spostati. Ma qual è il posto giusto nella vita?
Al centro della nostra fede vi è la narrazione di uno “spostamento” le cui conseguenze nessuno è in grado di dominare: «Egli era come Dio ma non conservò gelosamente il suo essere uguale a Dio. Rinunciò a tutto: diventò come un servo, fu uomo tra gli uomini e visse conosciuto come uno di loro. Abbassò se stesso, fu obbediente fino alla morte di croce. Perciò Dio lo ha innalzato». Una dislocazione in basso impensabile negli abissi dell’esistenza umana abitata dalla violenza.
Sicuramente questa figura ha avuto un’importanza decisiva nella scelta originaria di moltissimi pretioperai. Le testimonianze vi fanno riferimento come uno dei leitmotiv privilegiati. L’immersione nella condizione operaia, nella quotidianità del lavoro dipendente e/o manuale, la condivisione della fatica e delle lotte per un minimo di dignità umana sono apparse come la conseguenza di un imperativo etico alla cui forza non era possibile né giusto sottrarsi.
Il risultato di questo cammino lungo quasi una vita, viene così descritto dal teologo Armido Rizzi: «Gente che non dice “ho voglia di andare”, ma è andata. Sono narrazioni, non progetti di vita. È avvenuta una rottura e una ristrutturazione dell’io: una nuova identità è emersa da questo “essere per gli altri”. È un’esistenza compromessa. Una presenza che fa tutt’uno con la propria identità».
La violenza che si sta abbattendo sulle classi lavoratrici (riduzione secca dei posti di lavoro, con i padri che lo perdono e i figli che non lo trovano, vanificazione di diritti acquisiti, grandi masse di popolazione passivizzate e dichiarate un peso, invece che una risorsa…), il trionfo di un liberismo che non conosce limiti di sorta, a livello mondiale come nel cortile di casa, per noi sono elementi che danno conferma piena della giustezza e dell’attualità dell’essere «come loro», cioè assieme, alla pari e dalla parte di chi vive sulla sua pelle la durezza della lotta e l’amarezza della sconfitta.
I nostri occhi hanno appreso lo sguardo dal basso, simile a quello che Bonhoeffer descrive tracciando il bilancio di 10 anni di opposizione al nazismo: «Resta un’esperienza di eccezionale valore l’aver infine imparato a guardare i grandi eventi della storia dal basso, dalla prospettiva degli esclusi, dei sospetti, dei maltrattati, degli impotenti, degli oppressi e dei derisi, in una parola, dei sofferenti».
Il senso della nostra vita è quello di essere una parabola, analoga a quelle evangeliche: «Il Regno dei cieli è simile a dei preti che hanno saltato il muro e sono entrati in condizione operaia. E vi sono rimasti…». Tutte la parabole sono portatrici di ambivalenze inevitabili. Noi viviamo e raccontiamo la nostra, altri la loro. Alla fine un Altro giudica con la prova del fuoco i materiali utilizzati nel lavoro per il Regno: se oro, paglia, o altro.
Nell’ottobre scorso il vescovo francese presidente della Commissione per il mondo operaio ha chiesto perdono a quei preti che, esattamente 40 anni fa, costretti a scegliere tra ministero e vita operaia, optarono per questa seconda alternativa: «Vogliamo dire a questi preti che si sono sentiti esclusi che noi siamo pentiti di tutto ciò che, quarant’anni fa e ancora oggi, ha fatto pensare che la condizione operaia sia incompatibile con lo stato di vita del prete».
Anche qui, una rondine non fa primavera però è bello vederla volare.