
Convegno nazionale dei pretioperai
Salsomaggiore 29 aprile – 1° maggio 1995
Relazione di apertura
IQBAL MASIK, pakistano
CIRO VARANO, di Torre del Greco
EVIN AKSOY, curdo:
nomi di “cherubini” che impediscono di chiudere gli occhi di fronte alle sofferenze di milioni di creature usate, spremute, stuprate, ferite, uccise su questo pianeta.
I volti, i canti, i colori della manifestazione di Roma per le pensioni, e di quella del 25 febbraio ‘95 con gli extracomunitari e quelli dei minatori di Carbonia in fondo ai pozzi.
L’odore ed il sapore del Berberè eritreo e del Kattughi coreano.
La coppa di Champagne:
Il 20% più ricco riceve l’82,7% della ricchezza prodotta nel mondo.
Il 20% più povero riceve l’1,4% del totale della ricchezza prodotta nel mondo.
Hamburger Big Mack:
– la stessa dimensione
– lo stesso gusto
– lo stesso prezzo in tutto il mondo

Un simbolo di speranza:
il portone aperto del Palazzo del Duca Serra di Cassano a Napoli.

La risposta può avere molti nomi, può camminare per diverse strade.
Resistenza è uno di questi nomi.
Resistere, proporre, sostenere, far crescere il proprio esistere di fronte alla “Bestia” che lo schiaccia, e, riconoscendo la fragilità di questo esistere, cercare compagni e compagne, fratelli e sorelle per sostenerlo, utilizzando tutte le nostre capacità creative, i sogni del nostro profondo, per reggere all’attacco, individuare l’aggressore, dargli un nome, progettare cammini di vita e non di morte.
Insieme alla vecchia domanda ho tenuto presenti dei nomi, dei volti, dei canti, dei colori, degli odori, dei simboli di dominio e di speranza, per rimanere dentro la nostra realtà, dentro i nostri percorsi di pretioperai e da qui vedere, indicare, sollecitare, dare senso al nostro “resistere”.
Nei piccoli pezzetti di mondo nei quali viviamo e lavoriamo vediamo molte cose: l’aumento dello sfruttamento sul lavoro, l’aumento dei giovani disoccupati e degli esuberi – le ragazze in particolare -, il degrado del territorio, il problema dei nuovi immigrati e la crescita di un razzismo strisciante, che si manifesta in episodi di violenza, il rumore ripetitivo di affermazioni sull’economia e la politica, la tensione e la paura, il frantumarsi delle relazioni, con la progressiva sostituzione dei rapporti basati sulla reciprocità con rapporti commerciali di assistenza, il ritirarsi dagli spazi pubblici, anche quelli fisici, come la strada e la piazza, per rinchiudersi nel piccolo privato, nell’illusione di difendere meglio, con le difficoltà economiche in aumento, quel poco o quel tanto di ben-avere raggiunto.
“Ognuno deve pensare solo a se stesso”: la legge del Lager descritta da Primo Levi.
Ma vediamo anche cose di segno contrario: gruppi di giovani, adulti che formano comitati, il silenzio attento quando offri strumenti che vanno incontro al bisogno di capire, di uscire dalla confusione dei messaggi, di raggiungere una propria autonomia. È il portone del Duca che si apre.
C’è una trappola in questa doccia scozzese, in cui molti cadono. È quella di dare la colpa della “crisi”a chi non ce l’ha: ai giovani che non hanno ideali, ai genitori che non educano, ai cinesi che ti portano via il lavoro, ai politici che rubano, al “pubblico” che non funziona, ai meridionali che hanno sciupato il paese o il quartiere; e di ritenere che basti cambiare i manovratori, mettere in riga i giovani, mandare via i cinesi per rimettere le cose a posto.
Questa confusa voglia di cambiamento predispone ad accettare una specie di rivoluzione culturale all’indietro, che i mass-media propagandano come nuova, moderna, efficiente, che ha restaurato un capitalismo privatizzato e che accusa di bestemmia ogni tentativo di correggere la “mano invisibile del mercato” in nome del bene comune.
Così il lavoro diventa solo una variabile dipendente della produzione, la scuola cessa di essere un diritto per diventare un servizio, la salute torna ad essere un bene di consumo privatizzato, cioè sottoposto alle regole di mercato. Quindi, chi ha più soldi compra meglio, chi ne ha meno compra peggio, chi non ne ha non compra niente e deve contentarsi delle briciole di solidarietà che cadono dalla mensa dei ricchi, o della minestra dei frati.
La crisi dei partiti di massa e del sindacato, come forme associative basate sulla solidarietà, la progressiva trasformazione del sistema politico verso forme di personalizzazione del potere, la manipolazione dell’opinione pubblica attraverso i media, ci hanno portato vicini, ed ancora lo siamo, ad una specie di “principato illuminato”, di governo mediceo (trasformazione di una grande casa economico-finanziaria in Signoria Pubblica).
Il tutto in presenza di un potere forte come quello della Chiesa cattolica, i cui dirigenti nella gran parte, dopo Tangentopoli ed il crollo della DC, non sono stati capaci di accettare la comune responsabilità, e si sono rifugiati rapidamente o nel silenzio, o nel gridare al tradimento, o nel ritessere il vecchio gioco delle tre carte, o “briscola peggio” (vedi il Vescovo di Termoli e quello di Civitavecchia).
Ma anche a questo livello il portone del Duca si apre. La manifestazione di Roma, il voto del 23 aprile aprono spazi, possibilità, ma non ci devono far cadere in braccio ad illusioni di facile cambiamento.
I volti ed i nomi di IQBAL MASIK e di EVIN AKSOY ci ricordano che tutto questo non è un caso italiano; che quello che succede qui è un fenomeno generale in occidente ed in tutto il mondo, e che è cominciato molti anni fa, anche se il crollo del muro di Berlino ha impresso a tutto una spinta fortissima.
Anche a livello mondiale è in atto una rivoluzione conservatrice di carattere globale che pretende di presentare come inevitabile una globalizzazione omogenea e neoliberista del mercato mondiale, basata sulla privatizzazione, sulla concorrenza e sulla liberalizzazione dell’economia, sotto il patrocinio degli organismi finanziari internazionali.
Le sue caratteristiche più evidenti si potrebbero riassumere nella parola concentrazione:
– concentrazione della ricchezza
– concentrazione del sapere
– concentrazione della tecnologia
– concentrazione del potere politico
– concentrazione del potere militare.
Le conseguenze sugli uomini, sui popoli e sull’ambiente sono enormi: aumento della povertà e della disoccupazione, emarginazione progressiva di grandi masse di popolazione, frammentazione e polarizzazione nelle società, sia in quelle dei 2/3 del Nord che in quelle di 1/3 del Sud, catastrofe ambientale.
Le immagini della “coppa di Champagne” e dell’hamburger “Big Mack” ci aiutano a capire meglio.
Viviamo in un mondo in cui il 20% della popolazione si trova nella parte alta della coppa e controlla l’83% della ricchezza prodotta, mentre il 20% che si trova in fondo al gambo si arrangia con l’1,4% della ricchezza mondiale. Tradotto in quattrini significa: un miliardo di esseri umani vive con un dollaro al giorno, oltre 3 miliardi con poco più di due dollari al giorno.
Questa enorme disuguaglianza del diritto alla vita tende ad aumentare. La forbice si allarga! Nel 1960 il 20% della popolazione più ricca ha avuto entrate 30 volte superiori a quella del 20% della popolazione più povera. Nel 1993 tale differenza è aumentata di 61 volte.
Alcune famiglie ricchissime hanno redditi pari a proventi di centinaia di famiglie povere. I miliardari sono in aumento. Il paese che ha il maggior tasso di crescita dei miliardari è il Messico (Rapporto mondiale sullo sviluppo umano. 1992, Torino, Rosemberg e Sellier).
Ciò che si sta instaurando nel Sud come nel Nord, ciò che prende forma è una società che più progredisce nell’efficienza, più restringe la sua base sociale e produttiva. Di conseguenza si riduce il numero delle persone che la società considera necessarie; le altre diventano eccedenti, “esuberi”.
In esubero sono i lavoratori delle fabbriche e dei servizi, esuberi i pensionati colpevoli di uscire dal lavoro troppo presto e di morire troppo tardi, esuberi i malati, esuberi ed inaccoglibili sono gli immigrati, eccedenti e fuori lista sono interi popoli del Sud del mondo.
Si sta formando nel Nord e nel Sud del mondo un arcipelago di isole di opulenza, di benessere protetto dagli eserciti del nuovo modello di difesa, e circondato da oceani di indigenza e di miseria. È una nuova discriminazione ancora più grave delle vecchie e sempre ritornanti discriminazioni razziali, etniche, religiose, sessuali, perché è la discriminazione tra necessari e superflui, tra eletti ed esuberi. Una vera e propria apartheid su scala mondiale.
L’aspetto peggiore è il sacrificio che l’incondizionato sviluppo capitalistico impone ed imporrà alle generazioni che verranno. Valga per tutti l’esempio della Thailandia, dove la rapida crescita economica, spiegata dagli economisti liberali come il risultato delle strategie di esportazione della Banca Mondiale e della “economia aperta” agli investimenti stranieri, è in effetti basata in gran parte sullo sfruttamento illegale e sul lavoro forzato di donne e bambini, spesso ingaggiati dall’industria del “turismo sessuale”. Un’industria del sesso che dimezza il debito estero, incrementa il reddito nazionale, ma distrugge la popolazione. (Thailandia, Bozze ‘93, ed. Dedalo).
Queste aggressioni materiali alla vita sono sostenute da aggressioni ideologiche di sostegno. Gli interessi di un insieme di forze economiche vengono tradotti in termini ideologici e proposti come presupposti naturali.
A fondamento di questo pensiero unico è il concetto del primato dell’economia sulla politica, puntellato dagli altri concetti chiave: il mercato, specie i mercati finanziari; la concorrenza e la competitività; il libero scambio illimitato; la divisione internazionale del lavoro; la moneta forte; la privatizzazione, la liberalizzazione.
Un catechismo di formule, ripetute in continuazione attraverso tutti i mass-media, e da parte di quasi tutti gli uomini politici di destra e di sinistra, che impone un’omogeneità culturale a sostegno del mercato globale: l’hamburger “Big Mack” (lo stesso gusto, la stessa dimensione, lo stesso prezzo in tutto il mondo).
Ci troviamo di fronte ad un immenso processo di idolatria. Gesti ed atteggiamenti che l’essere umano fino ad ora riservava solo alla divinità, ora sono rivolti alle merci. Esse portano salvezza e felicità.
Questa idolatria reclama il sacrificio di vite umane, genera paura e frustrazione, ricerche di via d’uscita, di fughe attraverso gli stupefacenti o il sesso o il fondamentalismo politico e religioso (750 milioni di dollari è il fatturato che la criminalità organizzata produce ogni anno per droga, armi, prostituzione – Vertice di Napoli).
Ma anche in questo scenario dei portoni si aprono. I tre squilibri principali del sistema, quello fra Nord e Sud del pianeta, quello tra ricchi e poveri all’interno di ciascuna società, e quello tra gli uomini e la natura, mettono in crisi la falsa profezia dell’inevitabilità del mercato e fanno filtrare, come sangue dalle ferite, gruppi, organizzazioni, iniziative che partendo dal basso, bevendo al proprio pozzo, progettano alternative, propongono valori, comportamenti, interessi, in risposta alle minacce comuni presenti in tutti i continenti.
I vertici di Rio de Janeiro (ecologia), di Napoli (economia), del Cairo (popolazione), di Madrid (50 anni del FMI e della BM) e di Copenaghen (sociale) sono stati affiancati da controvertici che rendevano visibile la presenza di soggetti che avevano visioni del mondo, proposte e speranze di trasformazione, in pieno contrasto col modello neoliberista. (Il NAFTA ha innescato la ribellione nel Chiapas, visibilissima).
Da questa parte del muro, insieme a tanti altri, in questa resistenza–ribellione, ci troviamo anche noi pretioperai.
I percorsi fatti e gli anni ci hanno insegnato umiltà e discernimento, bisogno e capacità di rafforzare il nostro fondamento, strumenti di analisi logica per chiamare per nome chi aggredisce la nostra vita e quella degli altri, fedeltà e fiducia sufficienti per non fuggire, per non “andare in pensione”, per non sentirci arrivati al capolinea, ed il granello di fede necessaria per non sottomettersi ad altri dei, al di fuori di quello rivelato dal falegname di Nazareth, quello che noi con molto timore e sottovoce chiamiamo il Risorto, il Vivente.