Camaldoli 1997
Tre citazioni in margine al seminario
1.
Un nuovo dinamismo oggi è in atto
di Giulio Girardi (1975)
Uno degli aspetti più impressionanti del sistema capitalista è la logica con cui esso inquadra e unifica, nonostante la loro estrema varietà le sue molteplici componenti. Logica implacabile di cui l’analisi delle singole sfere della società, appena abbandona la superficie delle cose, scopre la presenza tentacolare. Logica invisibile per l’immensa maggioranza degli uomini, dato che, per agire, essa ha bisogno dell’oscurità.
Questa unità è la forza del sistema. Ma le possibilità di riuscita dell’alternativa sono anche esse legate all’unità. Nella misura infatti in cui sono isolate, settoriali, le lotte per la libertà sono neutralizzate: si tratti della trasformazione economica e di quella culturale, dell’emancipazione dei lavoratori e di quella delle donne o dei giovani; della liberazione politica e della liberazione sessuale; della rivoluzione pedagogica o della rivoluzione senz’altro. La divisione delle lotte non è meno nefasta della divisione del lavoro. Poiché ogni lotta si inserisce effettivamente in una logica alternativa solo se trova il suo posto in un progetto globale e articolato. La libertà è indivisibile. La lotta per conquistarla, anche.
Questa percezione della globalità della posta in gioco, questa capacità di ricollegare di continuo, nella analisi e nella lotta, il settoriale al globale, è al centro della coscienza rivoluzionaria e dell’educazione liberatrice. Essa denuncia ogni prospettiva riformista che in nome del realismo dimentichi la solidarietà del reale; che, in nome dell’efficacia dei mezzi, ne dimentichi la finalità.
Fra le divisioni più tragiche nella storia della libertà abbiamo denunciato quella che ha diviso il cristianesimo dai movimenti rivoluzionari, soprattutto dal marxismo, e ha imposto agli uomini di scegliere fra dimensioni essenziali della loro liberazione. Questo divorzio fra due immensi movimenti di educazione delle masse segna anche, in modo decisivo, la storia dell’educazione. Per il cristianesimo e per i movimenti rivoluzionari esso rappresenta un indubbio impoverimento e una delle cause dei loro fallimenti.
Ma un nuovo dinamismo è oggi in atto, che offre all’uno e all’altro una possibilità storica eccezionale: quella di rinnovarsi inserendosi insieme nella storia, unica, della libertà.
2.
I “desechables”, cioè i rifiuti umani
di Eduardo Galeano
La società dei consumi offre precarietà. Cose precarie, persone precarie; le cose, fabbricate per durare, muoiono sul nascere, e ci sono sempre più persone buttate nella spazzatura fin da quando si affacciano alla vita.
I bambini abbandonati per le strade della Colombia, che prima si chiamavano “gamines” e ora si chiamano “desechables” (= rifiuti, scarti da buttare), e sono segnati per morire. I numerosi “nessuno”, i fuori posto, sono “economicamente non viabili” (= inutili), secondo il linguaggio tecnico. La legge del mercato li espelle per sovrabbondanza di manodopera a buon mercato.
Il Nord del mondo genera spazzatura in strabiliante quantità. Il Sud del mondo genera emarginati. Che destino hanno le eccedenze umane? Il sistema li invita a scomparire; dice loro: “Voi non esistete”.
Cosa fa il Nord del mondo con le sue enormi quantità di rifiuti velenosi, dannosi per la vita della gente? Li spedisce nei grandi territori del Sud e dell’Est, grazie ai propri banchieri, che esigono libertà per la spazzatura in cambio dei propri crediti; e grazie ai propri governi, che offrono tangenti.
I 24 paesi sviluppati che formano l’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico del Terzo Mondo) producono il 98% dei rifiuti tossici di tutto il pianeta. Essi cooperano allo sviluppo regalando al Terzo Mondo la propria merda radioattiva e l’altra spazzatura che non sanno dove mettere. Proibiscono l’importazione di sostanze contaminanti, però le spargono generosamente sopra i paesi poveri. Fanno con la spazzatura la stessa cosa che fanno con i pesticidi e con i concimi chimici proibiti in casa propria: li esportano al Sud sotto altre denominazioni.
Nel regno dell’effimero, tutto si converte immediatamente in rottame, affinché si moltiplichino per bene la domanda, i debiti e i guadagni; le cose si esauriscono in un attimo, come le immagini che spara quella mitragliatrice che è la TV e le mode e gli idoli che la pubblicità lancia sul mercato.
Il Sud, discarica del Nord, fa tutto il possibile per trasformarsi nella caricatura del Nord. Però la società dei consumi — “dimmi quanto consumi e ti dirò quanto vali” — invita a una festa che è proibita all’80% dell’umanità. Le sfavillanti bollicine si infrangono contro le alte mura della realtà. La poca natura che rimane al mondo, malconcia e sull’orlo dell’esaurimento, non potrebbe sostenere il delirio del supermercato universale; e in fin dei conti la grande maggioranza della gente necessariamente consuma poco, molto poco o niente, per garantire l’equilibrio dell’economia mondiale mediante la sua manodopera a buon mercato e i suoi prodotti a prezzo da occasione. In un mondo unificato dal denaro, la modernizzazione esclude molta più gente di quanta ne include.
Per un’innumerevole quantità di bambini e di giovani latino-americani, l’invito al consumo è un invito al delitto. La televisione ti fa venire l’acquolina in bocca e la polizia ti caccia fuori dalla sala del banchetto. Il sistema ti rifiuta quello che ti offre; e non c’è Valium che possa addormentare questa ansietà, né Prozac capace di mettere a tacere questo tormento.
La lotta sociale appare chiara nelle pagine politiche e sindacali.
Il mondo di fine secolo viaggia con più naufraghi che naviganti, e i tecnici denunciano le “eccedenze di popolazione” nel Sud, dove le masse ignoranti non sanno fare nient’altro che violare il sesto comandamento giorno e notte. “Eccedenze di popolazione” in Brasile, dove ci sono 17 abitanti per chilometro quadrato, o in Colombia, dove ce n’è 29? L’Olanda ha 400 abitanti per chilometro quadrato e nessun olandese muore di fame; ma in Brasile e in Colombia un gruppetto di rapaci si prende per sé tutti i pani e i pesci.
Sono sempre di più i bambini emarginati che — a quanto sospettano certi esperti — “nascono con la tendenza al crimine e alla prostituzione”. Essi compongono il settore più pericoloso delle “eccedenze”. Il bambino come minaccia pubblica: la condotta antisociale del minore in America è in tema ricorrente dei Congressi Panamericani del Bambino a partire dal 1993.
All’inizio del secolo, lo studioso inglese Cyril Burt propose di eliminare i poveri molto poveri “impedendo la riproduzione della loro specie”. Alla fine del secolo il Pentagono annuncia il rinnovo dei propri arsenali per adattarli alle guerre del futuro, che avranno come obiettivo le rivolte di strada e i saccheggi. In alcune città latino-americane, come Santiago del Ciule, già ci sono telecamere per sorvegliare le strade.
Il sistema è in guerra con i poveri che lui stesso produce, e i poveri più poveri li tratta da rifiuti tossici. Ma il Sud non può esportare al Nord questi residui pericolosi che ogni giorno si moltiplicano. Non c’è la possibilità di “impedire la riproduzione della loro specie”, anche se — secondo l’arcivescovo di San Paolo — cinque bambini al giorno vengono ammazzati per le strade delle città brasiliane; e — secondo l’organizzazione Giustizia e Pace — sono bambini gran parte dei 40 “desechables” che ogni mese vengono assassinati per le strade delle città colombiane.
E neppure si possono tenere nascosti, anche se i “desechables” non esistono nella realtà ufficiale: la popolazione marginale che è maggiormente cresciuta a Buenos Aires viene chiamata Città Occulta; come vengono chiamate “città perdute” i quartieri di latta e di cartone che spuntano al bordo dei dirupi e delle discariche dei sobborghi di Città del Messico.
Non molto tempo fa, i “desechables” colombiani vennero fuori da sotto le pietre e si riunirono per protestare. La manifestazione scoppiò quando si seppe che gli squadroni paramilitari, i “gruppi di pulizia sociale”, uccidevano i poveri per venderli agli studenti di anatomia dell’Università Libera di Baranquilla.
Fu allora che Bonaventura Vidal, cantastorie, raccontò loro la vera storia della creazione.
Davanti ai vomitati dal sistema, Bonaventura raccontò che a Dio avanzavano pezzetti di tutto quello che creava. Mentre dalle sue mani nascevano il sole e la luna, il tempo, il mondo, i mari e le foreste, Dio buttava nell’abisso gli avanzi della sua opera. Ma Dio, distratto, si era dimenticato della donna e dell’uomo, che stavano aspettando là, sul fondo dell’abisso, di poter esistere.
E davanti ai figli della discarica, Bonaventura raccontò che la donna e l’uomo non avevano trovato altro rimedio che farsi da se stessi, e si erano creati con quegli avanzi che Dio aveva buttato giù. E per questo noi, nati dalla discarica, abbiamo tutti qualcosa del giorno e qualcosa della notte, e siamo un po’ terra e un po’ acqua e un po’ vento.
3.
Una nuova e grande lotta di classe se si vuole salvare il pianeta Terra
di Giorgio Nebbia
Era stato Francesco Bacone, trecento anni fa, a dire che la natura serve alle necessità umane, che voleva poi dire alle necessità delle manifatture e delle imprese economiche. E tutti l’hanno preso sul serio, come dimostra l’inarrestabile serie di eventi e catastrofi derivati dallo sfruttamento del suolo e delle foreste, delle ricchezze minerarie ed energetiche, degli animali e delle piante, della natura, insomma. Quando un movimento popolare di contestazione, ma anche la voce di alcuni studiosi, si sono levati per denunciare l’inaccettabilità di tale sfruttamento, tutti sono stati accusati di essere nemici degli operai, dei poveri, del progresso.
Che cosa sono quelle favole del riscaldamento terrestre in seguito alla distruzione delle foreste, all’immissione nell’atmosfera dell’anidride carbonica? Si taglino le “inutili” foreste, nel Nord e nel Sud del mondo, per ricavarne carta e legname, per liberare nuove terre coltivabili e accedere alle risorse minerarie che le foreste nascondono nel loro sottosuolo! Non era stato Reagan, quando era governatore della California, a dire che quando si è vista una sequoia si sono viste tutte?!
Così un giorno ci si accorge che la distruzione delle foreste rende disponibili aree coltivabili che però, dopo poco, perdono la loro fertilità, aree edificabili circondate da terre desolate, esposte a frane e alluvioni. Gli incendi che stanno investendo la Malaysia e l’Indonesia dimostrano che il fuoco, tanto rapido nello sgombrare le “inutili” foreste tropicali che intralciano il progresso dei proprietari terrieri possono sfuggire ad ogni controllo fino ad oscurare il cielo con nubi persistenti di polveri, gas tossici, anidride carbonica che si disperdono nell’atmosfera, che oscurano e contaminano vastissime aree, anche a grande distanza. Al punto da alterare lo scambio di energia fra la terra e gli spazi esterni, da modificare il clima dell’intero pianeta.
Che cosa volete che importi mai dell’effetto serra, delle denunce degli ecologi, ai proprietari terrieri, ai governi, di questi e di altri paesi del Sud del mondo, che hanno come unico fine l’imitazione dei modelli economici, merceologici, di sfruttamento della natura praticati dai paesi del Nord del mondo?
Lo si è visto nel giugno scorso a New York, al “secondo” vertice dell’ambiente, lo si vedrà a dicembre a Kyoto, quando i governi della terra si incontreranno non per salvare le generazioni future, ma per evitare costi e vincoli alle loro imprese, ai loro traffici; uniti — questa è la globalizzazione — nello sfruttamento delle risorse del pianeta.
La salvezza può venire solo da una revisione delle produzioni e dei consumi di merci, quelle che spostano, sulla superficie terrestre, 30 miliardi di tonnellate all’anno di materiali: prodotti agricoli e forestali, minerali, sabbia e ghiaia, pietre, carbone, e idrocarburi, acciaio e plastica, automobili e cemento. Quei consumi che generano 40 miliardi di tonnellate all’anno di scorie gassose, liquide e solide destinate a contaminare l’atmosfera, i fiumi e i mari, i suoli.
D’altra parte non è possibile che i 1.500 milioni di terrestri del Nord del mondo “si approprino” di 20 miliardi di tonnellate all’anno di materiali e che ai 4.500 milioni di abitanti dei paesi poveri restino “appena” 10 miliardi di tonnellate all’anno di alimenti, fonti di energia, carta, cemento, eccetera.
Freno allo sfruttamento delle risorse, minore inquinamento, riconoscimento dell’insostituibile ruolo degli ecosistemi terrestri – dalle foreste ai deserti, dai fiumi tropicali, alle montagne, alle terre fertili – ridistribuzione dei beni materiali, non significano povertà, ma lotta allo spreco, non significano disoccupazione, ma invenzione di nuovi processi e materiali, con aumento dell’occupazione.
Però bisogna anche avere il coraggio di riconoscere che la società capitalistica, di libero mercato, globale, sopravvive soltanto sulla disuguaglianza, sullo sfruttamento, e pertanto inevitabilmente distrugge la natura e le sue risorse.
Delle due l’una: o si ha voglia di avviare una nuova grande lotta di classe, questa volta fra inquinatori e inquinati, fra il trionfo dei soldi e quello della vita — vegetale, animale e umana — oggi e nel futuro; oppure teniamoci il mondo com’è, con i guasti, di oggi e del futuro, generati dalla violenza alla natura, gli incendi, i mutamenti climatici, le alluvioni, ma allora, per favore, smettiamola almeno di piangerci addosso.
(da Liberazione, 30 settembre ’97)