SULLA STRADA DEGLI UOMINI E DELLE DONNE
VIVERE L’OGGI… APRIRE L’AVVENIRE
Incontro internazionale PO / Strasburgo, 2-4 giugno 2001
Nell’intenzione di tutti quanti noi questo incontro vuol essere e significare un collegamento ed un sentirsi uniti di tutti i PO che sono e vivono nel mondo.
Prete operaio esprime una modalità di incarnare il Vangelo nel mondo, nella vita reale di ogni giorno, nel sentirsi parte di una umanità lavoratrice e non lavoratrice ricca di valori esistenziali, ma crocifissa quotidianamente per essere sfruttata, usata e tante volte gettata via.
Prete operaio è anche un “ ministero ” in favore degli uomini per edificare il corpo di Cristo in cui ogni essere vivente ha il suo spazio, il suo ruolo e la sua piena realizzazione; un ministero che è testimonianza di vita attraverso il lavoro; un ministero che si esprime attraverso l’impegno condiviso con gli altri lavoratori; un ministero che viene esercitato nella solidarietà, nella giustizia e nella fraternità lottando per la dignità di ogni persona, a servizio degli emarginati ed esclusi, per il superamento di una situazione esistenziale sub-umana; un ministero che si vive nella fedeltà ad un popolo di cui siamo parte integrante; un ministero che cerca di prendere coscienza e di vivere il passaggio da popolo a popolo di Dio.
Ci sono circa un migliaio di PO nel mondo: dal Cile al Canada, dalla Spagna alla Cecoslovacchia, dall’Italia alla Gran Bretagna, dal Giappone alla Corea, dall’Algeria alla Francia…
Un migliaio di PO che hanno in comune questo: di vivere la vita mettendosi sulla strada insieme a uomini e donne che fanno lo stesso cammino.
È questo “ vivere insieme … a uomini e donne” che nel processo di mondializ-zazione attuato dalla Borsa, dai prodotti finanziari e da “un pensiero economico unico” ci fa capire che siamo tutti colonizzati ed attraverso le nuove tecnologie: informatica, comunicazione, trasporti…, siamo stati chiusi in un labirinto di cui poche persone hanno la chiave ed i percorsi interni. Siamo gli schiavi di oggi e del nostro tempo.
La libera circolazione a livello di tutto il globo, la globalizzazione di tutte le ricchezze prodotte aumentano il potere e i beni delle nazioni ricche e del capitalismo globale e riducono ad una sempre più grande povertà le nazioni povere ed i singoli individui attraverso i debiti, la disoccupazione, il lavoro precario ed i movimenti migratori. I tre quarti della ricchezza del mondo sono ad uso esclusivo del 17% della popolazione dei paesi ricchi.
“ Vivere insieme …” ci fa prendere coscienza che è possibile una solidarietà tra tutte le vittime di questo sistema perverso.
Seattle, Genève, Nice, Porto Alegre, Praga, New York sono i primi segni di una opposizione che si sta costruendo a livello mondiale per riproporre la centralità dell’essere vivente e che è possibile un modo diverso di vivere. Un vivere che si esprime nell’oggi di ogni persona: ogni istante è realizzante, per ciascuno. Un vivere che costruisce l’avvenire attraverso una speranza che non è un desiderio ma una pratica di vita a realizzare quello che si crede.
È nato un movimento mondiale che rivendica uno spazio per tutti in modo da poter decidere su quello che riguarda il proprio avvenire e la propria vita.
Viene rifiutata la logica della economia unica, della concorrenza e della sottomissione ai monopoli economici; si stabilisce di agire insieme, di lottare e di resistere con ogni forma e mezzo possibile.
Si inizia col 2001 a Porto Alegre (Brasile) a costruire l’ alternativa attraverso una riunione mondiale di tutti quelli che si oppongono al “pensiero unico” proponendo una società con più democrazia e con una partecipazione di tutti ad essa.
Certamente i lavoratori devono riappropriarsi del lavoro e non lasciarlo gestire solo dall’economia.
I sindacati a livello mondiale ed in tutte le articolazioni non possono essere strumenti in mano del capitale e dell’economia, ma, coscienti di rappresentare tutti i lavoratori di questo pianeta, devono confrontarsi con il capitalismo moderno e se necessario contrapporsi per riuscire a trovare l’equilibrio perché tutti gli esseri viventi abbiano la possibilità ed i mezzi per vivere.
Il lavoro deve tornare ad essere il luogo della creatività umana, il mezzo di espressione migliore delle capacità dell’individuo e della collettività. I giovani devono sentirsi fieri di un lavoro che gli viene trasmesso dai loro padri, e non umiliati ad elemosinare gli spazi per continuare a vivere o sentirsi dequalificati da un giorno all’altro perché il loro lavoro “non serve più”.
La realtà del lavoro sta cambiando, sia nel settore pubblico che privato, perché la logica della concorrenza e dell’imperativo economico tende a condizionare la vita delle aziende, dei singoli individui, delle donne, che vivono in un clima molto individualista ed in cui viene fatta scomparire quella solidarietà, caratteristica fondamentale della classe operaia.
La flessibilità, il precariato, il lavoro in affitto e del fine settimana, la mobilità permanente, il lavoro nero degli immigrati e dei non occupati stanno eliminando tutte le conquiste sociali fatte nel passato.
Il lavoro deve restare il mezzo per guadagnarsi la vita, per affermarsi nella società e per creare quella comunità amicale e solidale che ha sempre realizzato.
Non si può lasciare spazio alle forme di schiavitù moderna che strappa i bambini e le ragazze dalle loro famiglie e dalla scuola per venderli ad operatori senza scrupoli ed adibirli a raccogliere il cotone, a cucire scarpe, a tessere tappeti o a lavorare le pelli o i tessuti per confezionare borse o vestiti…
Lo sfruttamento c’è sempre stato nella storia dell’umanità, ma anche la lotta contro lo sfruttamento . E nei nostri tempi questa lotta va continuata, va sostenuta, va organizzata.
Sta cambiando la cultura del lavoro : non si ha più una coscienza operaia o un lavoro politico di gruppo. Il processo di “ esternalizzazione ” ha parcelliz-zato le fabbriche ed il prodotto viene messo insieme solo alla fine del ciclo produttivo ed in un luogo molto lontano dal suo inizio.
La persona viene spremuta nelle sue forze, nella sua individualità, nelle sue capacità ed anche nei suoi sogni. E si fanno alternare a cicli di lavoro cicli di disoccupazione o di lavoro nero per “negativizzare” la figura del lavoratore agli occhi della società e farlo considerare sempre più come un “ costo ” che va assottigliato sempre di più.
Le leggi della finanza e del mercato predominano sul lavoro, sul servizio pubblico e sulla sicurezza sociale e fisica.
Il sindacato resta ancora un argine allo spadroneggiare del capitalismo ed uno spazio di resistenza allo sfruttamento, alle ingiustizie, alle ineguaglian-ze ed alla insicurezza sociale.
Il Sindacato è un contropotere che può contrastare con il senso della solidarietà e della coscienza di classe ogni altro potere e specialmente quello finanziario.
Anche il sindacato deve avere una dimensione internazionale , uno spirito che dà voce ai diritti fondamentali dell’umanità ed una volontà di creare una organizzazione finalizzata a questi scopi.
Restano elementi importanti di questa costruzione alternativa al nuovo capitalismo la solidarietà tra tutti i lavoratori, con lavoro o senza, e l’impegno ad autorganizzarsi a livello di base per la costruzione di una società sociale, politica ed economica diversa.
Come PO questo stato di cose ci coinvolge, ci fa sentire lo sfruttamento e l’esclusione dal lavoro sulla nostra pelle e nella nostra vita e ci spinge, insieme a tutti i lavoratori, a ribellarci a questo sistema e a creare delle alternative che siano fonte di speranza per tutti noi e per il futuro del-l’umanità.
La partecipazione a questa lotta ci vede impegnati a difendere e sostenere in ogni tempo ed in ogni luogo la dignità della persona e ci mobilita al fianco di chi nella società ne ha più bisogno.
Come PO crediamo nella solidarietà, ma siamo inseriti in un mo-vimento operaio che credeva in questo valore prima di noi, ce lo ha trasmesso e ci ha arricchito con le sue lotte perché il bene comune prevalesse sugli interessi individuali.
È questo coinvolgerci nella vita reale , in tutti i suoi aspetti e dimensioni, che esprime la caratteristica del nostro ministero di PO.
Il destino dell’umanità nel prossimo futuro, si gioca su come si riuscirà ad organizzare il lavoro, e l’ambiente, su come ognuno darà il suo contributo lavorativo, su come vivranno “i poveri” di questo tempo e su quale ruolo avranno le “donne” in questa società.
Il ministero dei PO avrà queste strade in cui continuare il suo percorso, in cui esprimere ai propri compagni di cammino la partecipazione alla loro vita, alle loro sofferenze, alle loro lotte, alle loro vittorie e sconfitte.
È il ministero che hanno esercitato fino ad oggi i PO e che trova la sua origine nella missione affidata da Gesù Cristo ai suoi Apostoli e alla Chiesa. È il farsi popolo per prendere coscienza di essere popolo di Dio . Gesù Cristo ha insegnato che “ farsi popolo di Dio ” significa amarsi gli uni gli altri, amare i nemici, lavare i piedi, servire, esercitare un servizio, fermarsi e soccorrere la persona, chiunque sia, in difficoltà o moribonda, lungo la strada della vita.
Il prete operaio vive il suo ministero nella ordinarietà della vita della gente , nella incarnazione continua nel quotidiano, nello scoprire l’umanità e la presenza di Cristo nella persona che ha accanto.
Quando ci sfruttano, ci licenziano, ci discriminano; quando subiamo le ingiustizie o siamo senza lavoro; quando lottiamo per noi e per gli altri; quando godiamo delle nostre conquiste sociali e sindacali; quando ci sentiamo tutti uniti per realizzare un mondo migliore “nel vivere con…”, “nell’essere con…”, nell’essere per…” si concretizza la nostra condizione operaia ed il nostro ministero di PO.
Ci troviamo insieme ai nostri fratelli lungo la strada della vita e Dio cammina con noi , ci spiega il senso della sua Resurrezione, ci spezza il pane da dividere tra noi, e ci fa popolo di Dio in cammino.
Il popolo di Dio è la umanità intera a cui la Chiesa con la sua attività ed il suo sviluppo, per mandato di Cristo è a servizio.
Un servizio che si esprime nell’annunciare che tutta l’umanità è amata da Dio ed è chiamata a conoscerlo .
E nello stesso tempo la Chiesa è il segno della realizzazione dell’amore gratuito di Dio per l’essere vivente. Ed in questo amore si fonda la speranza per un avvenire della umanità non abbandonata da Dio.
Lungo questa strada ci siamo ritrovati con tanti uomini e donne che vivono profondamente e testimoniano con la loro vita i valori evangelici della fraternità, della solidarietà, della verità, del servizio, della costruzione della pace, della sofferenza, della mitezza, della semplicità, della purezza di spirito, del ricercare di agire per il bene comune, delle persecuzioni subite per le lotte per la giustizia, della povertà, dell’autenticità, dell’umiltà, del donare del proprio, del privarsi per gli altri, del costruire sulla roccia i valori della vita, della limpidità di sguardo, del retto cammino, dell’amore per le persone che hanno più bisogno di aiuto, del perdono, del rispetto della persona dell’altro senza giudicarlo.
Ognuno di noi ha trovato in ogni compagno di strada , in ogni lavoratore, in ogni uomo o donna incontrati, in tante “piccole sorelle” questi valori evangelici vissuti realmente.
È questo il popolo di Dio con cui Cristo ha camminato e continua a camminare ogni giorno, non “conosciuto” da noi e “senza influenza” per noi, ma conosciuto persona per persona, una per una, da Dio e da Cristo.
Se sentiamo la presenza di Dio e di Cristo in questa maniera ci rendiamo conto che questo Dio lo possiamo condividere con ogni essere vivente, con l’ortodosso, il protestante, l’ebreo, il mussulmano, il buddista e l’ateo stesso perché la caratteristica principale di questo Dio è quella di amare la umanità ed ogni singola persona .
La risposta a questo amore di Dio è l’amore che il popolo di Dio-Chiesa testimonia e vive dando valore alla sua esistenza, al suo cammino, alla sua meta, al suo realizzare concretamente il Regno di Dio.
Un popolo che prende coscienza di essere popolo di Dio.
E qui si inserisce la nostra risposta ed il nostro contributo a questa presa di coscienza sempre più profonda per aprire sull’oggi che noi viviamo la realtà dell’avvenire.