Vegliare in tempo di guerra
Cortona 11 settembre 2001
Ospite in casa di Laura, tento di prendere il telegiornale delle 18. Sullo schermo appare New York con una delle due torri gemelle in fiamme, subito penso al solito film di fantascienza non ancora terminato; ma sono riportato alla realtà dalla concitazione del commentatore e poi dalla visione della seconda torre colpita.
Non si tratta di un incidente aereo: sta avvenendo qualcosa di grave negli USA, resto incollato al video incredulo e spiazzato di fronte al susseguirsi delle notizie e delle immagini.
Non è più la grandiosità dello “spettacolo” che mi colpisce, ma il pensiero delle persone coinvolte nell’impatto e nell’incendio. Le immagini mostrano persone abbarbicate alle finestre che tentano di resistere al calore o sventolano un drappo per chiedere aiuto, altri si lasciano cadere nel vuoto.
Non sopporto l’orrore di queste immagini, mi devo alzare e togliere lo sguardo. Sento scendere in me una oppressione ed una “costrizione” da cui non posso fuggire.
Per anni ho preso le distanze da questo mondo oppressivo occidentale ora colpito nei suoi simboli, sto scoprendo che le torri gemelle, la casa bianca, il pentagono, sono parte del mio mondo. Non è bastata la testa o la volontà per rompere, non posso cancellarmi da questo mondo.
Chi ha colpito (persone senza volto, che hanno sublimato la loro morte per diventare strumento di morte) ha colpito anche me. Non sono più spettatore di violenze subite da altri, ora sono io violentato, io che vivo all’ombra di questi simboli da me contestati.
Per me niente sarà come prima. Pensavo che ci fossero luoghi sul pianeta dove la violenza del sistema potesse esser combattuta dall’interno con le nostre strategie, mi trovo nella violenza imposta dall’esterno; sono costretto a guardarla in faccia.
Ma dove passa il crinale tra l’essere contro il sistema oppressivo e la connivenza con il sistema stesso? Quanto la vicinanza e la quotidianità con questo stile di vita e con il pensiero occidentale mi ha preso? L’ombra dell’idolo e la polvere del sistema si è depositata su di me, è difficile sbattere la polvere dai propri calzari. (Mt. 10,14)
Il senso di costrizione ha richiamato l’esperienza che avevo fatto nel 1989 in Palestina incontrando Israeliani e Palestinesi accomunati (sia pur in situazioni diverse) nel dramma di un conflitto, e nel 1992 in Bosnia nella guerra croato mussulmana. Anche allora ho sentito la costrizione di questi popoli ed ho anche pianto, ma per me c’era una via di scampo rappresentata dal termine della permanenza.
Sento che ora non ci sarà più un termine nemmeno per me. Nessuno potrà essere sicuro in nessuna parte del mondo.
Non ci sono garanzie né di scudi spaziali, né di poteri economici corruttori, né di tecnologie sofisticate per dare sicurezze. Il corpo dell’uomo diventa la vera offesa e la vera arma. “Colui che mangia il pane con me, alzerà la mano contro di me”. (Mt. 26, 23)
Come poter vivere se in me si allignerà il sospetto, la diffidenza non solo nei riguardi del “diverso” ma anche dell’identico? Sarò ancora capace di non essere né rassegnato e né violento, ma un uomo sempre pronto a coltivare il sogno della giustizia e della pace?
Con questa tragedia percepisco che l’Occidente è arrivato ad un crinale pericoloso, l’offesa e la paura possono farci diventare più violenti. Siamo vincenti (almeno lo riteniamo) a livello di pensiero, di economia e finanza, di tecnologia, e di forza armata… La nuova frontiera sarà: “vincere” il terrorismo con gli strumenti che ci siamo dati per esser vincenti, e noi ne saremo le prime vittime.
Il sospetto, la paura, l’insicurezza unite alla voglia di vincere potranno portarci a delegare i poteri forti di controllo a scapito delle libertà e della democrazia allungando la distanza con i poveri del mondo. Comunque resteremo assediati.
L’altra strada del crinale è molto più impegnativa, lunga e difficile. Si tratta di imboccare la via della saggezza e dell’umiltà riconoscendo che la nostra giustizia è terribilmente di parte e la nostra libertà è schiavitù per molti. Non possiamo partire dal vincere o dalla supremazia, ma dall’incontro disarmato con l’umanità storica di uomini e donne che si pongono in dialogo per la giustizia e la pace, le vere torri gemelle da ricostruire.
Non si tratta di vincere, ma di “con-vincere”; vincere assieme al “nemico” i reciproci limiti per un altro mondo possibile, a partire dalla fiducia nell’altro.
Dio (nel libro della Genesi) rompe la paura di Adamo dopo il peccato, scovandolo dal suo nascondiglio. “Adamo dove sei?” Dove sono io ora, di fronte ai morti ed ai vivi non solo americani, ma delle violenze di tutto il mondo? Qual è il mio posto, il mio ruolo? Il problema non è il perdono, ma la riconciliazione con questo tempo ed anche con la mia fede incrinata dal male che non fa altro che riprodursi, magari sotto il nome della giustizia. Personalmente sento una rottura in me, sono ridotto all’esilio ed al silenzio; devo accettare e ripartire da questo per riconciliarmi con il mio tempo, attraversando insicurezza ed oppressione.
La sofferenza dei poveri del mondo non è paragonabile alla mia; ci accomuni almeno la speranza e la tensione per una vita buona per tutti.