La chiesa dei poveri
Come documento conclusivo del mini-dossier sulla “chiesa dei poveri” riportiamo parte della relazione che Couturier ha presentato al settimo Consiglio Plenario dei Cappuccini tenuto ad Assisi nel 2004. Trattando della formazione francescana e della antropologia di una economia fraterna, assume come essenziale punto di partenza quello che lui chiama il “mondo in extremis”: la povertà globale e la violenza che si esprime in guerre civili e internazionali; il disordine strutturale dell’economia della disparità che può essere affrontato solo con una conversione strutturale.
“Sempre più spesso ‘vi sono ingiustizie che vengono introdotte nelle istituzioni e nascoste nelle strutture della vita contemporanea’. Il peccato sociale e la virtù sociale devono diventare categorie in base alle quali pensare e comprendere il nostro mondo e il nostro ruolo in esso. L’analisi individuale non è più in grado di affrontare efficacemente i drammatici problemi che abbiamo di fronte… La mentalità del mercato che pervade sempre più tutte le nostre relazioni sociali, condizionando i nostri atteggiamenti, comportamenti e aspettative rappresenta un’enorme sfida a orientare il nostro pensiero in senso più sociale e praticare un’autentica solidarietà nei riguardi di coloro soffrono” (Luisa M. Saffiotti, Rischiare la parola. Ministri e ministero nella chiesa, in Il Regno, 14/2005, pp. 487-497. L’autrice attinge ampiamente dal Couturier, sviluppando gli aspetti connessi con la formazione dei ministri nel contesto del ‘mondo in extremis’).
Introduzione
Mentre leggiamo questo documento, 114 bambini moriranno di fame e per cause ad essa legate. 6.000 moriranno a causa di malattie curabili dovute all’acqua inquinata, diarrea, infezioni respiratorie acute, malaria e scarsa igiene. Nel corso dei prossimi minuti, 80 bambini sotto i 15 anni saranno infettati dal virus che causa l’AIDS e, mentre parliamo, 70 bambini moriranno di questa terrificante malattia. 11 milioni di bambini nell’Africa Sub-Sahariana lotteranno per cercare cibo e speranza dato che sopravvivono come orfani dell’AIDS. 2 milioni e mezzo di bambini cercheranno di vivere con l’HIV/AIDS; meno del 5% di loro avrà mai accesso al trattamento retrovirale.
Nel corso dei prossimi minuti, 23 bambini diverranno bersaglio dei conflitti etnici o religiosi in atto attualmente nel globo. Solo nell’ultimo decennio, 6 milioni di bambini sono rimasti senza casa e 12 milioni sono stati feriti o mutilati – come civili, non combattenti; essi sono diventati i principali obiettivi e il 90% delle vittime di guerre etniche e religiose.
Mentre parliamo, 300.000 bambini sono reclutati con la forza negli eserciti e nelle milizie, usati per missioni suicide, negli strategici stupri collettivi dei nemici ed in numerose attività terroristiche. Essi sono coloro che i comandanti adulti e gli ufficiali ragazzini mandano in prima linea di combattimento o nei pericolosi campi minati in avanscoperta rispetto alle altre truppe.
Oggi 15.000 persone scapperanno dalle loro terre, cercando di sfuggire alla violenza e alla devastazione dei loro luoghi d’origine; la maggioranza di questi rifugiati saranno bambini. I bambini saranno coloro che subiranno i maggiori traumi emotivi e abusi fisici, tra i 5,5 milioni di profughi che solo quest’anno si avranno a causa della crescente marea di intolleranze religiose ed antagonismi etnici nel mondo. Nel 1990, 50 milioni di persone, cioè una persona su 120 degli abitanti del pianeta, sono stati costretti a scappare dalle loro case a causa di conflitti e guerre civili. I bambini sono la percentuale maggiore tra le 3.000 persone che in questa giornata (circa 1,2 milioni di bambini nel corso dell’ anno) verranno vendute come schiave e indotte alla prostituzione, sequestrate e stuprate, vittime di una nuova e mortale campagna militare che usa la violenza sessuale come moderno metodo di guerra.
Mentre riflettiamo sul significato della minorità, del potere e dell’itineranza nel nostro mondo oggi, sappiamo che oltre 600 milioni di bambini a livello mondiale vivono in assoluta povertà, il 50% di tutti i bambini nei paesi in via di sviluppo sono malnutriti, 153 milioni di bambini sotto i 5 anni andranno a letto affamati questa notte.
Messi insieme questi vari fatti tracciano un terrificante quadro di impotenza e una assordante sfida alla nostra solidarietà con le prossime generazioni. Prima di chiuderci in qualsiasi teoria formativa che possa aiutarci ad orientare il nostro cammino religioso attraverso il 21° secolo, dobbiamo verificare la nostra comprensione di questo “mondo in extremis” e valutare le ipotesi psicologiche ed organizzative che portiamo alla nostra sfida teologica.
Il mondo in extremis: un tempo di povertà globale e violenza intra-nazionale
Anche se agli albori, il 21° secolo rivela priorità e sfide drammaticamente differenti rispetto a quelle che hanno caratterizzato il 20° secolo. Il mondo sicuro di sé della modernità è scomparso.. Le sue concezioni religiose di certezza, universalità e uniformità sono state stata rimpiazzate da discorsi preoccupati su tradizioni perdute, richieste ignorate, diritti negati, posizioni non vere, voci represse e storie negate. (…)
Al centro dell’attenzione è il “mondo in extremis” ed è lì che Dio apparirà come un Dio d’amore e/o sarà apertamente negato, nel sorgere e nello svilupparsi della sofferenza globale.
Le esperienze di stenti dei bambini sopra citate hanno una base comune e un percorso affliggente. Ognuna di esse è radicata in una povertà globale crescente ed immensa che viene ora esacerbata dal risveglio di conflitti intra-nazionali, religiosi ed etnici. Mentre la natura e la frequenza delle crisi internazionali sono drammaticamente mutate sono state ridotte, c’è stata una proliferazione di conflitti locali e regionali basati su etnia, nazionalità e religione che utilizzano tipologie di violenza estremamente decentralizzate, spesso simili a quelle terroristiche.
Società e culture, già debilitate da anni di dominazione straniera, devono ora confrontarsi con una nuova e mortale combinazione di sfide sociali: istituzioni politiche instabili, sistemi sanitari ed educativi inadeguati, schiacciante indebitamento nei confronti dei fautori e principali beneficiari della globalizzazione e le virulenti tensioni di violenza tattica che emergono dai conflitti etnico-religiosi dei fondamentalismi.
Il mondo in extremis, il contesto ed il soggetto del nostro lavoro per il regno di redenzione e liberazione, è un mondo precariamente in bilico tra le dinamiche della povertà globale e le dinamiche delle lotte sociali violente ma localmente racchiuse.
E’ qui che la formazione religiosa deve rivendicare un nuovo interesse e maggiore competenza, all’intersezione in cui la schiacciante disparità economica e i bisogni culturali reali si scontrano. Si tratta di una transizione significativa e di una coraggiosa sfida. (…)
Molti giovani religiosi arrivano a percorrere l’intero periodo di formazione religiosa senza mai cambiare o confrontare i loro orizzonti economici di fondo. Le strutture economiche sulle quali le loro attività caritatevoli e sensibilità culturali si sono sviluppate sono ritenute adeguate e al di là delle critiche. Il nostro prospettato cambiamento nella letteratura formativa, da un discorso di diversità ad uno di disparità, vuol dire collocare la nostra discussione in un mondo interdipendente ma iniquo e legare accuratamente le spiritualità di trascendenza e giustizia.
Sfortunatamente, questo è un mondo spesso trattato con indifferenza individuale e ambivalenza istituzionale da parte delle guide religiose, come se la povertà e la violenza non fossero concretizzazioni umane e soggette alla stessa grazia che muove il cuore umano alla conversione personale. Abbiamo bisogno di assumere un’altra prospettiva sui nostri presupposti per interpretare la povertà nel mondo.
La povertà, come oggi l’intendiamo, è “l’esplicito risultato di deliberate decisioni politiche ed economiche prese da parte di alcuni uomini”. La povertà consiste in una serie di privazioni che si accumulano nelle vite della gente e che poi si rafforzano le une con le altre. Sto parlando di povertà intesa oggi come bisogni materiali, privazioni fisiche, mancanza di necessità basilari, istituzioni economiche venute meno, ineguaglianze sessuali e politiche e perdita di opinioni e forza personale. Come Peter Henriot SJ, anche io credo che la povertà non sia un’inevitabile dato di fatto. E’ la conseguenza del disegno umano (non divino) inerente le nostre strutture sociali, politiche, economiche e relazionali.
La povertà è una realtà che strutturiamo e che tolleriamo. Quando Gesù disse ai suoi discepoli che avremo avuto sempre i poveri con noi, egli stava concretizzando “un’osservazione empirica, non un mandato politico”.
Intendo sostenere che la povertà è un disordine strutturale di opportunità, di acquisizione di possibilità, e di sicurezza che gli uomini richiedono; un disordine che crea e combina l’estrema vulnerabilità dei normali e a volte incontrollabili eventi che le persone affrontano, come i disastri naturali, le malattie, la violenza e le crisi economiche.
Il disordine strutturale di una grave povertà richiede una formazione nella conversione strutturale delle nostre comunità religiose.
Il disordine strutturale della disparità economica ed il suo sradicamento
Quando guardiamo alla composizione strutturale delle nostre società odierne, notiamo che il mondo è costituito da una immensa povertà fra una grande ricchezza. Tra i 6 miliardi di popolazione mondiale, è stato stimato che quasi la metà (2,8 miliardi) vive con meno di 2$ al giorno. Quasi il 20% a livello mondiale, 1,2 miliardi, vivono con meno di 1$ al giorno. Per collocare il tutto in un contesto a noi comprensibile, ci vogliono circa 18.000$ all’anno (15.000 €) per il sostentamento di un religioso maschio, in occidente, nella sua semplice ed ascetica vita, sommando le spese per il cibo, la sanità, l’assicurazione, l’alloggio ed altre necessità. Tutto ciò è stato da me stimato come 25 volte in più rispetto a quanto utilizza per vivere la metà del mondo prima citata e 50 volte in più rispetto ai poveri del mondo, 20% dell’umanità.
Gli effetti della povertà globale sono enormi. Nei paesi ricchi meno di 1 bambino su 100 muore prima del 5° compleanno. Nei paesi poveri il 20% di tutti i bambini morirà prima dei 5 anni. Come prima menzionato, 600 milioni di bambini nel mondo vivono in assoluta povertà: la stima è di 1 su 4.
In un recente studio inerente la distribuzione dei redditi nel mondo, è stato constatato che l’ineguaglianza sta crescendo più intensamente ed il divario tra ricchi e poveri sta aumentando maggiormente; mentre i benestanti del mondo raccolgono i benefici della globalizzazione, i poveri vacillano tra la povertà e la soglia di questa. Tra il 1988 ed il 1993, per esempio, il reddito globale pro-capite in realtà è aumentato di un buon 5,7%. Tuttavia sono stati solo i primi 5, nella classifica della popolazione mondiale, che hanno realizzato tutto il guadagno. Tutti gli altri redditi sono diminuiti, con in fondo il 5% dei poveri che hanno visto il loro redditi reali ridursi di un ulteriore 25%.
Un riesame delle dinamiche inerenti la povertà globale rivela 5 tendenze. Possiamo ora asserire che la povertà si sta:
1. intensificando laddove, nonostante il grande progresso, le innovazioni tecnologiche senza precedenti e la solida crescita economica, i poveri stanno precipitando ancora più profondamente nell’indigenza e sempre più rapidamente;
2. ampliando laddove il divario tra coloro che hanno e coloro che non hanno sta crescendo in maggior misura, in quanto i ricchi trangugiano tutti i benefici della globalizzazione, mentre il reddito dei più poveri del mondo continua a diminuire precipitosamente;
3. militarizzando maggiormente laddove i conflitti armati, specialmente la ripresa delle guerre civili e dei combattimenti etnico-religiosi, acuiscono ed assottigliano la già allarmante confluenza di fattori di rischio dovuti all’indigenza;
4. maggiormente femminilizzando e giovanilizzando laddove le donne e i bambini si impoveriscono più facilmente e frequentemente degli uomini.
5. maggiormente internazionalizzando laddove l’incremento del volume e della varietà nella transazione dei beni, dei servizi e del capitale attraversa i confini (fondamentalmente, la globalizzazione) lasciando così tanti paesi indebitati alla mercé di pochi paesi molto ricchi che scrivono le regole e stabiliscono le tariffe del commercio.
Non è raro, tra coloro che fra noi sono impegnati nel lavoro per la giustizia e la pace internazionale, lamentarsi a proposito di quanto sia difficile ottenere e mantenere l’attenzione della comunità quando la conversazione volge al tema della giustizia. Durante una riunione, non molto tempo fa, con i Ministri Generali dei più importanti Ordini Francescani, uno di essi mi ha posto una domanda che è pertinente rispetto al nostro lavoro di oggi. Egli si domandava perché si ha l’impressione che il Francescano stia perdendo entusiasmo ed energia per ciò che concerne la giustizia, la pace e l’integrità del creato.
Non ho potuto smentire la sua tesi. Si tratta di uno degli aspetti più sconcertanti del nostro lavoro: non si spiegherebbe altrimenti come religiosi buoni, rispettabili e dediti sembrino alle volte così disinteressati e altre persino antagonisti rispetto alle fatiche che dovrebbero rafforzare la loro consapevolezza, estendere le loro conoscenze e chiamarli all’azione rispetto alla piaga dei poveri nel mondo.
Una ragione è che supponiamo che la povertà globale sia inevitabile e che l’attenuazione di questa sia virtualmente impossibile. La schiacciante povertà di metà dell’umanità persiste persino a dispetto degli incredibili progressi tecnologici, delle fenomenali evoluzioni scientifiche e della illuminante agenda morale che ha già rigettato la schiavitù, il lavoro minorile, il colonialismo e la violazione dei diritti umani. Essa persiste perché non possiamo ancora arrivare alla conclusione che abbiamo le motivazioni per riformare l’ecologia della disparità.
In questo nuovo libro, Povertà nel mondo e diritti umani, Thomas Pogge arriva alla conclusione che ciò che fronteggiamo è una mancanza di convinzione morale. Egli scrive, “l’estesa e grave povertà può persistere perché non consideriamo il suo sradicamento moralmente vincolante”. Egli prosegue dicendo che non sarà moralmente imperativo per noi finché non reputeremo l’inesorabile aumento delle disuguaglianze globali abbastanza preoccupante da costringere ad una seria riflessione morale.
In sostanza, noi non troviamo la condizione attuale delle nostre sorelle e dei nostri fratelli moralmente insopportabile al punto da cambiare il corso delle nostre azioni. Ciò avviene perché i poveri che incontriamo e che vivono al di fuori dei nostri confini, sono fra … “le vittime autorizzate” del mondo… coloro “la cui vita e dignità può essere – ed è – violata, col minimo sdegno sociale, informazione pubblica o protesta civile” coloro che gridano, sia pure intensamente, continuamente o decisamente, vengono resi impercettibili o sfumati nelle grandi discussioni e nei grandi discorsi morali delle nostre chiese e istituzioni.
Però, c’è una ragione più profonda, che mette alla prova i nostri sforzi verso la minorità e l’ itineranza in quanto Francescani. Si tratta di una soggiacente ambivalenza psicologica e difesa istituzionale nei riguardi della conversione strutturale necessaria per spingere le nostre comunità verso la compassione internazionale che dobbiamo avere.
La relazione continua sviluppando i temi della minorità, della itineranza e dello sradicamento della povertà. Ci limitiamo a tre citazioni particolarmente significative.
Il Sesto Concilio Plenario dell’Ordine ha stabilito la connessione tra l’ideale evangelico di povertà e la scelta di minorità:
Essere umili è un’autentica manifestazione di povertà interiore, che nel progetto di vita Francescano si esprime anche esternamente, come umiltà di cuore e mancanza di potere, e come solidarietà con i bisognosi ed i poveri. Senza la minorità, la nostra povertà non avrebbe senso e diverrebbe fonte di superbia, proprio come senza la povertà materiale, la povertà interiore sarebbe irreale.
John Corriveau, nelle sue riflessioni sui risultati di questo Concilio Plenario, ha notato che l’impegno Francescano nella povertà ha chiamato i nostri primi fratelli a difficili scelte economiche (e non semplicemente a inclinazioni spirituali) che hanno sfidato l’economia prevalente dei loro tempi.
Queste scelte economiche furono anche una rottura cosciente con più ovvie ingiustizie del crescente mercato economico dei loro tempi, che era basato sull’appropriazione di potere e ricchezza da parte di pochi escludendo i molti. La loro scelta di povertà fu una scelta di discepolato, vale a dire, rapportarsi gli uni con gli altri ed a chi era loro vicino alla maniera di Gesù. Fu una scelta consapevole per un mondo più fraterno ed umano.
Corriveau dichiara che fu intenzione di Francesco (e quindi dei suoi compagni) costruire una nuova sicurezza basata sulla mutua dipendenza e solidarietà fraterna. Commentando le nostre sfide Francescane odierne, egli continua asserendo che siamo chiamati niente di meno che a fondare una “economia fraterna” che sfidi il regno del capitalismo nella nostra concezione sociale e religiosa.
A tale proposito commenta, “il capitalismo propone la competizione come la migliore risposta per proteggere e amministrare le risorse”. Ma la chiesa propone solidarietà e mutua dipendenza come una più sicura, duratura e giusta base per la sicurezza ed il benessere dell’umanità.
Riflettendo sulle dinamiche spirituali e psicologiche dell’itineranza, Carlos Alfonso Azpiroz Costa, OP, riferendosi al testo Biblico dell’Esodo scrive, “chiunque desideri consultare Dio dovrà recarsi alla tenda del convegno, posta fuori dall’accampamento.”(Esodo 33:7). Ciò induce Costa ad osservare:
‘Fuori dall’accampamento’ in mezzo a tutti gli ‘altri’ relegati fuori dall’accampamento, lì incontriamo Dio. L’itineranza chiede di uscire dall’istituzione, fuori dalle percezioni e credenze culturalmente condizionate, perché è ‘fuori dall’accampamento’ che noi incontriamo un Dio che non può essere controllato. E’ ‘fuori dall’accampamento’ che incontriamo l’Altro che è diverso e scopriamo chi siamo e cosa dobbiamo fare.
David B. Couturier
Noi siamo convinti che il metodo che qui viene indicato non riguardi solo la formazione dei giovani francescani cappuccini o più in generale dei ministri della parola, ma è la Chiesa nella sua interezza, anche nella sue strutture e nel suo modo di presentarsi che viene chiamata in causa.
Il card. Lercaro all’inizio del Vaticano II poneva al centro il “Mistero di Cristo nei poveri”, rispetto al quale la Chiesa deve vivere una dipendenza totale. E continuava dicendo”il tema del Concilio è la Chiesa, in quanto particolarmente Chiesa dei poveri”.
La chiesa che per essere di tutti deve essere “dei poveri” e non può essere dei poveri senza farsi “chiesa povera”. Questo esige conversioni strutturali. Solo una tale Chiesa può essere all’altezza della sfida globale rappresentato dal “mundus in extremis”.
Deve continuare l’opera che Paolo VI aveva annunciato: “ Bisogna che noi liberiamo la Chiesa dal manto regale che da secoli è stato gettato sulle sue spalle”. Un manto che sembra la tela di Penelope che sempre di nuovo nella notte viene ritessuto. E’ la Chiesa stessa, anche nelle sue alte visibilità che è chiamata ad un “Itinerarium in extremis”, impossibile quando non si abbandona il manto regale.
David B. Couturier, OFM.Cap., Itinerarium in extremis: Franciscan Formation and the Anthropology of the Fraternal Economy. Presentation to the Seventh Plenary Council of the Capucin Order. March 13, 2004. Traduzione dal testo a cura di Virginia Iannaccone e Roberto Fiorini.