INCONTRO NAZIONALE 2006 PO E AMICI
“A 40 anni dal Concilio: dov’è la Chiesa dei poveri?”

 

Provo a reagire alla domanda un po’ “a modo mio”, cercando di unire insieme delusioni e speranze, critiche e proposte, almeno per quanto possibile.
Certo, oggi in Italia pare di essere tornati indietro di anni (ma forse questo non riguarda solo l’Italia!). Le forti resistenze al Concilio (che avevano tra i loro portavoce il Vescovo di Cracovia Karol Wojtyla, non dimentichiamolo) nel tempo hanno trovato maggior spazio. Forse anche per la scarsa capacità di convincere da parte di chi il Concilio lo esaltava a parole, ma faticava a viverlo in prima persona. Mi pare che uno tra i segni più evidenti di questo arretramento sia stato il continuo interventismo del Card. Ruini sul campo politico. Nostalgia di una chiesa “ricca” non solo di denaro, ma di potere, di peso politico e sociale.
La motivazione era la “difesa di valori etici irrinunciabili”. Dato per vera tale motivazione, che davvero la preoccupazione fosse soprattutto etica (non voglio negare la buona fede di nessuno), mi pare però evidente che si era cercato un falso “sostegno” a quei principi. Un “sostegno” che in realtà ne diventa la negazione: la legge invece della convinzione; la legge al di sopra della coscienza. La “ricchezza del potere” che si sostituisce alla “povertà della testimonianza”. Mentre non dobbiamo dimenticare che siamo chiamati ad annunciare, non a legiferare. La Fede non cerca puntelli nella legge. In qualche modo si continua a rimpiangere una “chiesa ricca”, non solo di denaro. Per parte mia, tendo a rivalutare sempre di più quel “Beati i poveri in spirito” di Matteo, che a volte, errando, viene interpretato come un “addolcimento” del “Beati voi, poveri” di Luca. In realtà mi pare si tratti di una radicalizzazione: la povertà “sociologica” di per sé può rendere più sensibili a certe esigenze di giustizia, ma rischia ancora la ricerca della giustizia “per sé” o per una ristretta cerchia. Anche Luca non si riferisce ai “poveri” in termini sociologici, ma si rivolge ai “discepoli” (“Beati voi, poveri”), a coloro cioè cui era stato detto: “Se vuoi venire dietro di me…”. A coloro, che con Pietro, potevano dire con piena verità: “abbiamo lasciato tutto… e ora?”. Interessante a questo riguardo l’opera in due volumetti Padre dei poveri di Alberto Maggi (Cittadella): nel primo, dedicato alle Beatitudini, pone ben in evidenza il fatto che “i poveri non sono beati”, ma piuttosto sono beati coloro che “scelgono” di essere poveri, di vivere poveri tra poveri, di condividerne speranze tensioni e lotte. Questi sono i “poveri in spirito”. La povertà come scelta di vita, non come pio sentimento che permetterebbe di “sentirsi poveri” anche stando dalla parte opposta. La povertà, accettata a tutti i livelli, per “seguire Cristo”. La povertà che dovrebbe essere di tutta la Chiesa.
Su un piano sociale, politico ed economico, mi pare che troviamo dei paralleli, in questa nostra società dell’opulenza, sostenuta dalla mitologia di uno “sviluppismo” che in realtà ha costantemente aumentato la povertà, sia quantitativa che qualitativa, a favore di minoranze sempre più esigue di individui e popoli sempre più ricchi, nelle intuizioni di Serge Latouche, nel suo volumetto “Come sopravvivere allo sviluppo”: l’invito a ricuperare una sobrietà di vita, anche attraverso una “decrescita conviviale”, fondata sulla scelta di attuare una più equa distribuzione dei beni.
La “Chiesa dei poveri” vive per l’impegno e la determinazione di chi ci crede. Ho l’impressione che talora ci si senta “isolati” perché, tolta qualche eccezione, mancano sostegni “istituzionali”. Non rischiamo anche noi di cercare l’appoggio di chi è “ricco di potere” (e non solo di quello)? Personalmente, ad esempio, mi troverei piuttosto male a parlare di povertà indossando abiti che valgono migliaia di euro… e non sono certo “necessari” per “compiere la propria missione”, anzi…
Non è mancata, anche nella “via crucis” del Papa una parola di riprovazione per questo mondo “diviso in due stanze, una in cui si spreca e l’altra in cui si crepa…”. Non mancano affatto nella nostra Chiesa le “opere” a favore dei poveri. Tutto questo è innegabile, ma denuncia anche un’altra realtà: la preferenza per coloro che “si chinano sui poveri” per aiutarli rispetto a coloro che solidarizzano con i poveri, fino a dare la vita per loro. I primi sono additati come esempi, anche con la canonizzazione (ad es. Madre Teresa), mentre si fatica molto di più a riconoscere la stessa opzione di santità agli altri (ad es. Mons. Romero, Mons. Angelelli…). Il rischio di ridurre la Carità all’aiuto immediato, alla “elemosina” sia pure ricca e pienamente disinteressata, dimenticando che l’amore che spinge a cercare soluzioni radicali alla povertà, attraverso riforme strutturali, vissuto nella fede, è pur espressione della Carità, dell’amore che viene da Dio e ci porta ad amare efficacemente i fratelli. A proposito poi della nostra “scelta dei poveri”, ricordo ancora una “provocazione” di Armido Rizzi a riguardo della “scelta di classe”, in un tempo in cui la “classe operaia” era considerata “classe emergente”: ci diceva che faceva fatica a considerare come “scelta dei poveri” la scelta di una “classe emergente”. Certo, la “scelta” fatta non era fine a se stessa e si giustificava proprio perché era finalizzata a ben altro: un “mondo altro” rispetto al mondo dominato dallo spirito capitalistico. Un qualcosa di simile ai temi riproposti oggi dal “Forum Sociale Mondiale” di Porto Alegre: “Un altro mondo è possibile”. Ma anche questo “altro mondo” non si costruirà con i segni della potenza e del potere. Abbastanza significativa mi pare sia stata la scelta di Frei Betto di dimettersi dal Ministero per la lotta contro la povertà (Programma Hambre cero) del governo brasiliano di Ignacio Lula da Silva. Non fu una fuga; forse si potrebbe giudicare come un eccesso di “purismo”, ma personalmente vi leggo piuttosto una manifestazione del fatto che a certi traguardi non si giunge attraverso le leve del potere; che ogni realizzazione politica è troppo limitata e spesso può soffrire contraddizioni. Un gesto simile, per spiegarmi, a quanto scriveva don Milani al famoso Pipetta: “Non fidarti di me, quando brinderai alla vittoria…”. Non vorrei che tutto facesse pensare a una “scelta intimistica”; tutt’altro, voglio una scelta storicamente ben determinata, efficace, ma non calata dall’alto: fatta perché ci si crede. Solo chi ci crede davvero anzitutto “vive” le realtà in cui crede: “Non chi dice Signore, Signore, ma chi fa la volontà del Padre…”). E non si preoccupa troppo degli avalli gerarchici…
Concludendo, vorrei segnalare una iniziativa argentina: si è costituito un Gruppo di “Sacerdoti per l’opzione per i poveri”, con un sito internet in spagnolo, che risponde all’indirizzo: www.curasopp.com.ar.

Toni Revelli


 

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